Un’esperienza nata dall’incontro di tante culture, e nutrita di cibo diverso da quello della “casanza”

 

In redazione abbiamo imparato a discutere di tutto ciò che per pudore, rassegnazione, tabù, senso dell’opportunità, spesso viene taciuto

 

di Nicola Sansonna, luglio 2005

 

Sono uno dei soci fondatori di Ristretti. E Ristretti è certamente qualcosa di anomalo, che va spiegato. È una rivista nata da un progetto editoriale in continua evoluzione, all’interno di quel mondo carcerario, che invece è sempre simile a se stesso, ma se stimolato in maniera intelligente permette la crescita di esperienze veramente interessanti. Cinquanta numeri di Ristretti sono un traguardo notevole, ma ancora sono tante le cose da dire e da fare, e noi proveremo a farle.

Molti amici fuori dal carcere sostengono che lavorare in carcere, per il carcere, proporre attività, portare dove è possibile al suo interno frammenti della sociètà più sensibile, equivale a legittimare l’uso che si fa del carcere stesso. Io però non condivido questa linea di pensiero, che ha pure una sua nobile fondatezza, perché mi domando quale sarebbe allora la soluzione, se persone come i volontari che hanno contribuito a fare “Ristretti” a partire da una redazione dentro la galera avessero deciso di non fare niente in carcere per non “puntellare” con la loro attività l’istituzione penitenziaria. Dovrebbero lasciare marcire e crepare nell’inedia e nella depressione chi ha la sfiga di esserci finito dentro, magari per un reato grave, o magari solo perché si è comprato un pezzo troppo grosso di fumo? Certo è illegale. Come illegale dovrebbe essere la violenza, la disperazione, la povertà, l’esclusione sociale, che sicuramente fanno anche più danno.

In carcere poi trovi lo sfigato che, convinto di fare il colpo della sua vita, se la rovina del tutto, come ci trovi anche il grande malavitoso. Vuoi invece trovare il politico corrotto, i bancarottieri, i grandi evasori fiscali, quelli che non pagano i contributi alle colf, agli operai, quelli che sfruttano la miseria assumendo in nero i clandestini, pagandoli con un posto letto in una baracca e qualcosa da mangiare e buttandoli per strada quando non gli servono più? Siamo spiacenti, di queste ultime categorie il carcere è poco provvisto, gente fortunata… loro.

Chi ha soldi sta bene dappertutto, anche in carcere riesce a rendersi la vita meno schifosa, e certamente ci resta dentro il meno possibile, mentre gli sfigati ci crepano! Oppure si fanno la loro galera con dignità e rassegnazione, o tentano di reagire studiando, impegnandosi. Molti invece proprio non ce la fanno, alcuni, e sono parecchi, si suicidano, impazziscono, si auto-lesionano, nel migliore dei casi si rincoglioniscono, io mi metto in questa categoria, se fosse vero il contrario non avrei certo scontato tutta questa galera… anche se ciò è frutto delle mie scelte sbagliate… forse era più conveniente darsi alla politica, rende molto di più e in carcere si va molto di rado (con tutto il rispetto per i politici onesti, penso che sugli altri, i disonesti, si possa ironizzare, anche perché una delle caratteristiche di Ristretti è appunto l’ironia, e l’autoironia, che non sfocia mai nella critica volgare fine a se stessa).

 

Siamo qui, 50 numeri dopo quel primo incontro tra quattro persone intorno ad un tavolo di scuola elementare carceraria

 

Al carcere si può cercare di reagire, ma con intelligenza! Questo è il messaggio che ha portato Ristretti nelle carceri italiane: obiettività per quanto è possibile, moderazione nei toni, ironia ed autoironia ma soprattutto forza nei contenuti e determinazione nel raggiungere gli obiettivi. Ristretti è nato in carcere dall’incontro di persone con culture ed estrazioni sociali diverse, e si è nutrito, come un bambino avido di cibo “diverso” da quello che passa la “casanza”, della cultura e dell’intelligenza di chi viene dall’esterno, a partire da Ornella Favero, che è stata con alcuni di noi fra i “soci fondatori” di Ristretti. Le nostre litigate sono state proverbiali, il confronto è sempre stato aperto a 360 gradi su tutto ciò che si può affrontare francamente in una discussione, ma anche su tutto ciò che per pudore, rassegnazione, tabù, senso dell’opportunità, spesso non viene affrontato. Noi abbiamo cercato di fare del nostro meglio, anche se non sempre è stato semplice.

Molti gli amici incontrati sulla nostra strada, molte anche le critiche, i tentativi di metterci in difficoltà. Ma… siamo qui, 50 numeri dopo quel primo incontro tra quattro persone intorno ad un tavolo di scuola elementare carceraria in un’aula affollata tra ragazzi di tutte le nazionalità che ritagliano giornali per farne una rassegna stampa. Siamo qui con la nostra carica emotiva e la nostra gioia e voglia di fare. Ed anche se so che i ringraziamenti e le leccatine subdole da Ristretti sono banditi, dico grazie a chi ci ha sostenuti sin dal primo momento. Ai nostri lettori ed a tutti quelli che come me si illudono, sperano, credono davvero che un altro mondo è possibile!