La recidiva è qualcosa che può essere in agguato sempre

 

Se calcolo brutalmente quanto ho fatto soffrire e quanto ho sofferto io, e quanto sono costati i miei reati e la mia galera alla mia famiglia, allo Stato, ad altre persone, il mio bilancio di vita è fallimentare

 

di Nicola Sansonna, settembre 2004

 

Quello della recidiva è un tasto importante e dolente che abbiamo toccato più volte, ma questa volta abbiamo deciso di affrontarlo “a 360 gradi”, coinvolgendo nella discussione un po’ tutte le diverse “categorie” di detenuti, se così si può dire: tossicodipendenti, rapinatori, immigrati, detenuti per reati di sangue, ma che nulla hanno a che fare con ambienti criminali. Personalmente ho già avuto modo di elaborare un mio pensiero sul tema e trarne delle conclusioni. Sono partito facendo un bilancio della mia vita e mettendo da una parte le cose negative e dall’altra le cose positive che questo tipo di vita comporta: in pratica, a parte 18 mesi di latitanza per una fuga da un permesso, il resto dal 1977 ad oggi che siamo nel 2004 è tutta galera. Il mio bilancio, e la conseguente valutazione sull’opportunità, o la convenienza di tornare a delinquere, è risultato pendere pesantemente per la scelta dell’onestà, nel senso che se calcolo brutalmente quanto ho fatto soffrire (se ciò fosse calcolabile) e quanto ho sofferto io, quanto è costata la mia galera alla mia famiglia, allo Stato, a chi è stato vittima dei miei reati, il mio bilancio di vita è di tipo fallimentare. Lo spunto per riprendere ora il discorso me lo dà uno scritto di un lettore di Ristretti Orizzonti, Alberto Verra, che si qualifica come “cittadino incensurato”, e parlando di un mio articolo sul tema della recidiva scrive: “Vi faccio un esempio che conosciamo perché tratto da una testimonianza sul vostro giornale: Nicola in uno dei suoi scritti, analizzando le cause del suo comportamento nel 1995 (una rapina mentre lavorava all’esterno in misura alternativa) dice di avere avuto troppa fretta, individuando nella fretta la causa scatenante del suo reato, ma la fretta è sempre una conseguenza, mai una causa: da dove nasceva allora questa fretta? Analizzare questi aspetti è utile non solo a Nicola stesso e a persone che possono trovarsi nella sue condizioni del 1995, ma anche a noi cittadini ‘normali’ per capire quali sono i campanelli d’allarme a cui prestare attenzione”. Io personalmente non so dire se ci sono dei campanelli d’allarme… magari ci fossero, uno li ascolta e trova il modo di superare il problema. Certamente, quando sono uscito di galera, la fretta ha contato molto nella mia vita, fretta nel voler cercare di recuperare tutto il tempo perso, tempo sospeso dalla vita reale, tempo sottratto agli affetti, tempo che misurava con anni e mesi il mio reato. Ma recuperare quel tempo è impossibile, vivere “in fretta” nella speranza di pareggiare i conti, e rientrare in possesso del tempo perso in carcere, è impossibile. La fretta però stava forse anche nel voler rincorrere quello stile di vita, dove non si conoscono ristrettezze economiche, dove si è abituati ad avere tutto e subito. Mia sorella Teresa mi scrisse alcuni anni fa: “Nik non vedo l’ora che anche tu inizi a misurarti con i veri problemi della vita, con le cose di tutti i giorni, riuscire con uno stipendio modesto ad arrivare a fine mese, queste saranno le sfide che ti aspettano e devi farcela!”. Da allora non l’ho ancora delusa, né lei né chi mi vuole bene o semplicemente mi ha dato fiducia. Ma la recidiva è qualcosa che può essere in agguato sempre, ed è per questo che noi stessi dobbiamo mantenere sempre altissima la nostra attenzione. La mia tecnica è elementare: non faccio assolutamente niente che non posso permettermi. Sia come acquisti, sia come pretese. Devo dire che questo mi ha portato molta serenità, non ho ansie derivate dal dover dimostrare qualcosa a qualcuno, che spesso poi è solo un problema tuo, perché sei ancora attaccato all’immagine che gli altri possono essersi fatta di te. Ho imparato a mostrami per quello che sono nella mia interezza, senza paura di far vedere anche le debolezze quando ci sono. Per evitare di tornare in galera per un altro reato, può essere particolarmente importante accettarsi per ciò che si è veramente, e non per quello che gli altri pensano tu sia. Parlo per me come soggetto umano e mi riferisco anche a tutti quelli che si sono scontati oltre la metà della loro vita sepolti vivi, e sono tanti. Non credo a pentimenti, stravolgimenti di coscienza, folgorazioni sulla via di Damasco… credo nella ragione, nell’intelligenza dell’uomo, nella razionalità che prima o poi deve venir fuori. Nella scelta davvero consapevole. E quando parlo di scelta intendo una dolorosa presa di coscienza, che nulla ha a che vedere con i pentimenti fittizi atti a beccarsi benefici facendo arrestare i vecchi amici di un’epoca passata. Ma quello che penso possa essere di reale aiuto a non ricadere nel reato, è una maggior stima di se stessi, e lasciarsi trasportare dalla tenue corrente delle piccole dolci cose della vita.