|
Le peregrinazioni di Nabil in Italia alla ricerca di un lavoro
TN come Tunisia, o come Trento?
Di Nabil Tayachi, agosto 1999
La mia vita a Mantova è sempre uguale, il giro quotidiano alla ricerca di lavoro, con risposte sempre negative. Nei primi tempi pensavo che si fossero messi tutti d’accordo per non dare lavoro agli extracomunitari, come fanno nei bar non servendo alcoolici ai marocchini, ma spesso hanno ragione, perché non c’è un bar in cui non abbiano fatto una rissa. Per colpa loro io e il resto di noi non possiamo bere più, e mi tocca di continuo aprire un discorso per convincere il barista che non sono violento e bevo per i cazzi miei. Ogni volta che mi trovo seduto a pensare mi passano per la testa brutte idee. Di fronte al piccolo albergo in cui sto io c’è una bella villetta disabitata e, siccome sono molto interessato, vedo ogni tanto qualcuno che viene a controllarla, o forse a portare qualcosa. Non ho più soldi e ogni giorno mi dico che domani notte salterò il muro ed entrerò in quella villetta, ma ho paura, perché in vita mia non ho mai rubato, e allora rimando la missione di giorno in giorno. Mi domando sempre perché questa vita è fatta così uno ha la casa che costa centinaia di milioni e la lascia abbandonata e altri, come me o anche tanti italiani, sono senza casa. Ma questo non conta niente e sono contento di non essere entrato in quella villetta. La fortuna ha bussato al mio albero e mi ha fatto conoscere Paolo, Mimmo e Franco. Sono ex muratori, titolari di una impresa edile, hanno lavorato sodo e hanno risparmiato tanto per riuscire ad aprire questa impresa, e ora chiamano molti muratori da Reggio Calabria per lavorare in cantieri del nord, ma in nero, niente lavoro in regola. I padroni pagano bene, anche l’albergo e il mangiare, possono permetterselo perché non danno niente allo stato. Un giorno mi spiegano che hanno bisogno di un manovale per un cantiere a Trento. La mia risposta è che sono disposto anche ad andare sulla Luna, pur di avere un lavoro. Loro mi dicono com’è il lavoro, che devo dormire in albergo e mangiare a spese loro, e lavorare dieci ore al giorno. Se ero d’accordo saremmo partiti subito, e a me stava bene così. Salgo in macchina con Paolo, un Mercedes 250 TD, prendiamo l’autostrada e intanto parliamo del mio paese. Lui mi racconta che è stato all’estero per lavorare, in Germania, Polonia e Libia. Della Germania mi dice che in molti cantieri i muratori sono quasi tutti italiani: della Polonia invece mi descrive le donne ed i divertimenti. Poi mi racconta una storia sulla Libia: era andato con un’impresa per costruire il porto di Tripoli, lì non c’erano né alcoolici né donne disponibili. Era molto dura, in un paese dove la temperatura arriva a cinquanta gradi: una volta mentre viaggiava in macchina e si era fermato ad una fontana pubblica per bere, nello stesso momento arriva una limousine con a bordo un libico, scendono molti bambini e donne che portano il chador, nonostante il caldo sono coperte dalla testa ai piedi, si vedono solo i loro occhi. Il marito, vedendo che lui le guardava, lo ha aggredito e quasi gli sparava ma come si era permesso di guardare le sue donne, bastardo! Lui si è difeso dicendo che non le guardava perché non c’era niente da vedere, solo i loro occhi. E il libico allora gli ha risposto che lui era fortunato perché era straniero e non capiva le regole del posto, se l’avesse fatto uno di lì, il suo corpo sarebbe stato servito su un piatto d’argento per i lupi del deserto i libici sono molto riservati e hanno una mentalità molto antica. Mentre facevamo questi discorsi non mi ero accorto che era cominciato a nevicare. La strada si era imbiancata e ai lati della carreggiata la neve era già alta, era come guidare nel deserto. Oramai eravamo in Tunisia, tutte le macchine erano targate TN che vuol dire Tunisia. Ma che cazzo dici, mi fa Paolo, quella è la targa di Trento. Arriviamo a Trento verso le sei del pomeriggio, dalla finestra guardo la gente che cammina per la strada con vestiti pesanti. fa molto freddo, la temperatura è di sette gradi sotto zero. Gli alberi, le macchine, l’erba, sono coperti di ghiaccio. per fortuna non sono venuto qui per cercare lavoro, se avessi dovuto dormire sotto un albero sarei sicuramente diventato un blocco di ghiaccio.
Quando telefono ai miei famigliari, dico sempre che sto bene e abito in una bella casa Quando telefono a casa non dico niente ai miei famigliari, dico sempre che sto bene e abito in una bella casa, che tra poco comincerò a lavorare. Loro mi chiedono sempre quando ritorno a Tunisi e la risposta è sempre che torno entro l’anno. Non voglio che loro si preoccupino e se racconto la verità mi dicono di tornare subito, ma io ho la speranza che arrivi il giorno in cui troverò una casa e un lavoro, costi quello che costi. Però comincio a pensare che aveva ragione mia madre, quando diceva che in Italia non si sta bene, che ci sono soltanto gli spaghetti e la mafia. Paolo si ferma davanti a un albergo, entriamo. Al banco del bar c’è una bellissima ragazza, giovane, bionda, con gli occhi azzurri. Paolo parla con lei e le dice che sono uno dei suoi operai, io sorrido sentendo un dialogo dialettale tra un calabrese e una trentina. La ragazza mi chiede i documenti e mi dice: - Chi sei, Alì Babà? - Porco zio, non sai leggere, scusa? Prendo la chiave e vado nella mia camera, dormo con altri due muratori. Faccio la doccia e poi scendo al ristorante. La ragazza del bar mi fissa e il computer del mio cervello si mette in moto, il suo sguardo non è cattivo, quindi cerca il dialogo. Le chiedo dov’è Paolo e lei mi indica un tavolo, ci vado e mi siedo, loro sono in sei e al tavolo di fianco ci sono altre otto persone. Tutti mi guardano e io saluto, Paolo spiega che da domani faccio parte del gruppo, i ragazzi sono giovani, hanno la mia età. Ordino da mangiare, non conosco i prezzi e prendo spaghetti con il ragù, bistecca ai ferri, insalata mista e birra. Quel gruppo lo conosco per averlo visto a Mantova, abbiamo parlato alcune volte. Per avviare il discorso uno di loro mi dice come mai, se sono mussulmano, bevo ugualmente birra e mangio carne di maiale. La pasta ormai l’ho mangiata e bevo perché mi piace, lo so che è peccato bere, ma anche in Tunisia la maggior parte delle persone beve, anche mio padre. Il maiale invece non lo mangio perché quello è un peccato più grave, ho mangiato la pasta con il ragù perché non lo sapevo che conteneva maiale. Paolo mi dice di mangiare e di non preoccuparmi, che paga lui. Gli ho chiesto di mostrarmi il lavoro, ma lui mi dice di andare a dormire tranquillo che saremmo andati a vederlo il giorno dopo. Siamo andati in camera: gli altri dormono tutta la notte e russano, io non riesco a dormire, sono stanco ma non ci riesco. Il letto è morbido e la stanza molto calda, è una cosa nuova per me e il mio corpo da molto tempo è disabituato al letto. La mattina alle sette la sveglia suona ci laviamo e scendiamo al bar per la colazione, poi andiamo al cantiere. Non racconto bugie, al mio paese non avrei mai fatto questo tipo di lavoro, neanche se mi avessero pagato molto bene, piuttosto sarei rimasto disoccupato. A noi tunisini della capitale il lavoro non piace e ci vergogniamo quando una ragazza ci chiede che lavoro facciamo e dobbiamo rispondere il muratore. Lei direbbe: - Sei matto? Non ti vergogni a parlarmi, io non faccio amicizia con un muratore, e tanto meno penso di sposarlo, ma vai… Faceva molto freddo, nove sotto zero, porco zio. Al cantiere, il lavoro era rimandato di una settimana, ma il geometra trentino ci ha dato ugualmente un compito per non rimanere con le mani in mano. Io sono stato il più fortunato, mi è toccato pulire il cantiere: agli altri è toccato portare su per le scale le porte blindate. Sono proprio molto fortunato. A mezzogiorno andiamo a mangiare, uno di loro, che mi sembra il capo, mi dice di prendere il suo posto e che lui avrebbe fatto il mio lavoro. Ma come, il geometra mi ha dato quel lavoro. Forse tu non hai capito bene chi comanda la squadra? Il pomeriggio lo passo portando porte blindate in ogni stanza, mamma mia come sono pesanti. Finito il lavoro andiamo in albergo, mangio e mi metto a dormire. La mattina mi svegliano e sono l’ultimo ad alzarmi, corro a lavarmi al lavandino, riempio le mani con l’acqua calda e mi accorgo di non riuscire a piegare la schiena, provo un’altra volta, sono molto spaventato per la mia salute e temo di perdere il lavoro. Mi lavo in piedi bagnandomi i vestiti, scendo in fretta al bar. C’è Anna, la cameriera, che mi dice: - Buongiorno Alì Babà! - Ancora con questo Alì! - Ma perché ti arrabbi? - Lascia perdere, ne parliamo quando torno dal lavoro. - Ok, buon lavoro Alì Babà. Un altro giorno di lavoro forzato, è molto pesante ma sono costretto a farlo, non ho altra scelta, non ho un soldo in tasca e devo avere pazienza. Piano piano ritornerò in forma, sfiderò il passato e anche il presente, non lascerò che questi montanari e quei pecorai si lamentino del mio lavoro. La sera, tornando in albergo, la prima che incontro è Anna, che mi accoglie con un bel sorriso. - Ciao Anna. - Ciao Alì Babà. - Ma porco zio, non vedi che questo nome mi dà fastidio!? - A me piace. Cosa vuoi bere? - Una birra grande. - No, Alì Babà, tu sei mussulmano e per te è un peccato bere alcoolici. - Falla finita con questo nome, non lo sopporto più, ho un passato che voglio dimenticare e inoltre io sono un mussulmano di quelli che bevono. Di Anna mi piace il modo di parlare, la voce molto carina, che colpisce il cuore. - Anna, è un peccato che ti sei sposata così presto. - Ho capito, magari aspettavo te e così mi sposavo Alì Babà. - Non scherzo, sono felice per te. Con il gruppo non c’è un buon rapporto, non capisco il motivo ma continuo a lavorare in quel cantiere, anche se sono distrutto. Questo gruppo viene da un paesino, al massimo sono cinquecento abitanti e non sanno nulla del mondo: è la prima volta che lasciano il loro paese e quando non hanno lavoro come muratori portano a pascolare le pecore. Ogni tanto mi fanno arrabbiare, succede quando mi dicono che loro non sono razzisti. Che me ne frega, mortacci vostri. A fine mese il grande pecoraio mi chiede se voglio andare con lui a Mantova. Ci vado volentieri. Durante tutto il tragitto io rimango a guardare le montagne coperte di neve, gli alberi verdi che danno gusto a quella meravigliosa natura intatta come l’ha creata Dio. La città di Trento non mi è piaciuta, meglio Mantova e Napoli. Il pecoraio corre a duecento chilometri all’ora e io ho paura, durante tutto il percorso mi parla del suo paese che gli manca molto, delle cento pecore che ha lasciato in custodia a suo fratello. Mi parla di come fanno il formaggio, della moglie e dei suoi due figli. bel discorso, ma meno male che siamo arrivati. La sera verso le undici risalgo in macchina con il pecoraio per tornare a Trento. Arriviamo a tarda notte, dormiamo e la mattina andiamo a lavorare, avanti così per tre mesi. Dopo mi sono fermato perché ho capito il motivo per cui i pecorai non mi vogliono con loro. hanno un parente disoccupato e vogliono metterlo al mio posto. Grazie a Dio ho lavorato tre mesi e ho risparmiato un po’ di soldi, ma adesso devo decidere dove andare. Certo, a Trento non rimango. Paolo mi chiede di restare con lui e mi dice che ho lavorato molto bene, che il geometra gli ha detto di come si sono comportati con me gli altri del gruppo. Mi dice ancora che ha altri cantieri a Trento ed io accetto di prendere lavoro in un’altra squadra. Preparo la mia roba, sono incazzato, maledetti tutti, zio cane, maledetto il giorno in cui ho deciso di venire in Italia. La prima parte del mio soggiorno a Trento si chiude così con una gran rabbia.
(continua)
|
|