|
Strani incontri...
Di Nabil Tayachi, aprile 1999
Non è un racconto "edificante", quello di Nabil che proponiamo qui. Presi dal sacro furore di mostrarci sempre buoni, volevamo quasi censurarlo. Poi abbiamo pensato che: * il talento nella scrittura va rispettato, e Nabil ne ha; * il talento nell’arte di arrangiarsi va criticato, ma a partire dalla consapevolezza che senza una lira in tasca è difficile anche essere buoni.
La Redazione
Il mondo è piccolo ed a volte succede che dei vecchi amici s’incontrino dopo anni che non si vedevano, durante i quali sono tutti finiti in carcere, in un modo o nell’altro. Il caso ha voluto che abbiano chiesto il permesso nello stesso giorno per visitare la città dove hanno vissuto e della quale sentono molta nostalgia. Nel carcere si imparano molte cose, trovandosi con persone di ogni tipo: questo "grazie" al fatto che vengono messi assieme ergastolani con chi ha commesso piccoli reati, rapinatori e spacciatori, truffatori e killer. Da questa miscela di personalità e vicende si esce con l’idea che per ottenere qualcosa dagli altri bisogna solo usare l’astuzia. E’ il 20 agosto quando il treno, proveniente da Roma, si ferma alla stazione e ne scendono tutti i passeggeri. Mustafà, uno dei detenuti in permesso, cammina a testa alta tra la gente che affolla la stazione, sta cercando un vecchio amico, un connazionale che gli possa prestare qualche soldo: ogni volta che vede qualcuno dal colore scuro si ferma a guardare con attenzione. Il fatto è che chi gli ha dato il permesso non si è preoccupato di come se la sarebbe cavata una volta fuori dal carcere. Ad un certo punto Mustafà nota un tipo che gli sembra di riconoscere, ma certo, è Alì, e allora comincia a chiamarlo, a gridare, e Alì si gira, e grida anche lui: "Mustafà! Come stai?". "Bene e tu?". "Insomma, tiro avanti". "Scusa, ma dove hai imparato questo modo di dire?". "In carcere, dove pensi che l’abbia imparato!? Sono in permesso premio". "Ma guarda che sorpresa, in che carcere sei"? . "Sono a Roma Rebibbia, e tu?". "Io sono a Bologna, alla Dozza". Siccome loro parlano ad alta voce, Monir lì vicino ha captato i suoni arabi e passa al setaccio la folla, con gli occhi che sembrano cannocchiali e le orecchie come radar. Arriva davanti a loro e quasi non crede ai propri occhi, pensa che è proprio vero che il mondo è piccolo. Mustafà ed Alì ricevono otto baci, quattro per guancia, il numero regolamentare che si scambiano i tunisini quando si incontrano tra loro. Se la persona è un caro amico invece i baci non si contano! Monir dice: "Ragazzi, sono contento di avervi ritrovati, però sono anche deluso perché in tutto questo tempo non vi siete fatti sentire, potevate almeno mandarmi una cartolina mentre ero in carcere"! Il fatto è che pure Mustafà ed Alì sono finiti in carcere e si sono incontrati in quella stazione per puro caso. A questo punto il discorso cambia di colpo e Monir chiede le informazioni che di solito ci si scambia tra detenuti: quanto hanno ancora da scontare, come hanno avuto il permesso, e così via. Loro dicono che oramai si sentono "liberanti", ancora un paio di anni e la pena finirà. Mentre sono intenti a parlare, Samir e Jamel, che passavano di là per caso, si accorgono di loro e li salutano: "Salaam Alaicum", "Dio è grande". La fede islamica è davvero grande e unisce tante persone. Gli ultimi arrivati vorrebbero parlare, ma Alì è più svelto di loro egli chiede se sono in permesso dal carcere. Rispondono di sì, meravigliandosi che lui lo sappia. Ma Alì ribatte che accorgersene è stato facile perché anche loro sono nelle stesse condizioni. Un italiano si ferma vicino al gruppo e tutti lo squadrano con occhio clinico, soltanto Samir gli va appresso e poi lo riconosce e presenta agli altri il suo amico Gennaro. Appena sentono il nome dicono in coro: "Napoletano!? Benvenuto, noi conosciamo bene Napoli e la gente di quella città, siamo onorati di averti come amico". Tutta la comitiva a questo punto si dirige verso l’uscita della stazione, l’obiettivo di tutti è di girare per Milano e rifarsi gli occhi con le bellezze della città: dopo essere stati in carcere ogni posto sembra loro bellissimo! Nessuno ha il coraggio di dire che ha fame, ma ad un certo punto il napoletano non ce la fa più ed esclama: "Ragazzi, ma voi non avete fame?". "Eccome", rispondono in coro, "ma non abbiamo soldi e non vogliamo correre il rischio di metterci nei guai: meglio digiunare, cioè fare il ramadan, che fare stupidaggini. "Ragazzi, siete matti!? Adesso andiamo in un ristorante dove si mangia bene e non si paga nulla: avete dimenticato il nostro codice e l’art. 16 A.D.L.? Forza, andiamo!" Il gruppo comincia a girare per la città in cerca di un buon posto per mangiare, come animali che cacciano una preda nella savana. All’improvviso Gennaro si ferma e dice: "Ragazzi, venite con me, oggi siete miei ospiti". Vanno in un lussuoso ristorante vicino al Duomo e, prima di entrare, Gennaro gli raccomanda di mostrarsi incazzati, di parlare soltanto in italiano e di lasciare che sia lui a fare le ordinazioni; li rassicura che l’art. 16 A.D.L. funziona sempre bene. Entrano, davanti Gennaro e dietro tutti gli altri, lui parla a voce alta bestemmiando tutti i Santi. "Cameriere, porco Giuda, dove sei?". Il cameriere arriva di corsa egli chiede cortesemente che cosa vuole. "Che cosa diavolo credi che vogliamo!? Vogliamo mangiare!". Il cameriere, preoccupato, li fa accomodare immediatamente. Quasi tutti gli altri clienti hanno smesso di mangiare, e guardano i nuovi arrivati. Questi ultimi ordinano il pranzo: primo e secondo piatto, 3 bottiglie di vino, caffè. Intanto i loro discorsi riguardano il carcere, e parlano a voce alta per farsi sentire dagli altri. Il vino finisce e Gennaro ne ordina ancora, poi grida al cameriere di venire subito da lui. Quello arriva egli dice premuroso: "Prego, mi dica…". "Chiamami il padrone del ristorante!". "Scusi, c’è… qualcosa che non va?". Gennaro lo guarda fisso egli dice: "Hai forse le ruote quadrate quest’oggi!? Sbrigati a mandarmi il tuo padrone". Dopo qualche secondo arriva una ragazza, molto bella, con le spalle larghe ed il corpo asciutto di una indossatrice. "Buongiorno, ragazzi, avete chiamato?". "Scusi signorina", le fa Gennaro fissandola negli occhi, "ti rendi conto che io ho passato tanti anni in questa città ed ora nessuno mi riconosce più! Ti ricordi di quella sparatoria che accadde 10 anni fa, in pieno giorno, ci furono due morti e quattro feriti. Per mesi i giornali e la televisione parlarono di me ed oggi non mi riconosce più nessuno!". La ragazza si spaventa e parla tremando: "Sì che mi ricordo, fu un inferno: io sono sempre stata dalla tua parte, ero sicura che la colpa fosse loro". (Gennaro parla con sicurezza di quella storia, perché l’ha letta sui giornali) "Ti rendi conto: mi hanno dato due ergastoli, ho passato otto anni nel manicomio criminale ed oggi sono uscito, assieme ai miei amici: Mustafà, Alì, Samir, Jamel, Monir". La ragazza impietrita risponde: "Per carità, io so che voi siete brave persone e qui siete i benvenuti". Gennaro chiede di portare due bottiglie di vino, lei fa un cenno al cameriere perché si sbrighi, da padrona di casa ospitale quale è, mentre lui continua a raccontare: "Se non fosse per i pentiti saremmo liberi, ma non importa; io oramai in carcere ci vivo bene e tutti mi rispettano. Sai, è un posto ideale, dove ci sono persone con molte belle qualità: hanno coraggio e sanno sparare senza pensarci due volte". Il telefono cellulare squilla e la ragazza sobbalza, non vede l’ora di andarsene ma ha paura di scatenare la reazione del gruppo. Gennaro le dice che non gli piacciono i telefonini e lei lo spegne, si giustifica dicendo che era il suo fidanzato. Gennaro ribatte che non le ha chiesto affatto chi era al telefono, soltanto non gli piace essere interrotto quando parla. Poi aggiunge che nel suo ristorante non si mangia mica male. Lei ringrazia e li invita a passare quando vogliono, oggi il pranzo lo vuole offrire proprio lei. "Ma come!?", finge di arrabbiarsi Gennaro, "non è giusto!". "Non preoccupatevi, siete miei ospiti". "Avete sentito ragazzi: questo locale è intoccabile!", termina Gennaro, quindi escono tranquilli, salutando la signora. Appena allontanati dal locale scoppiano a ridere a crepapelle. Samir promette a Gennaro due quartini di vino per ripagarlo del piacere fatto a lui ed ai suoi amici e lo loda dicendogli che è un fenomeno. Quello si schermisce, dice che un napoletano cose del genere le sa fare bene e chiede se a qualcuno della compagnia va di mangiare ancora qualcosa. Tutti rispondono di no, che ci sarà un’altra occasione al prossimo permesso. Chi trova un amico trova un tesoro. L’ora del rientro oramai è vicina ed i compagni si sono salutati a malincuore, senza però dimenticare di cercare di programmare un’altra data per il permesso. Prima di scendere dal treno Alì chiama Samir egli chiede di trovare un altro "Gennaro", che rimedi un ultimo gelato prima di entrare in carcere.
|
|