"Vedi Napoli e poi muori": storia vera

di un immigrato nella città del golfo

 

Di Nabil Tayachi, febbraio 1999

 

Napoli per me è come una seconda patria, una città che presenta grandi contraddizioni e proprio per questo interessante da visitare: la gente è spesso buona ed accogliente, però la città per come me la ricordo io, qualche anno fa, era anche sporca e violenta.

Sono arrivato in Italia con una nave della Tirrenia ed i documenti in regola, sbarcando a Trapani e poi andando a Palermo, dove ho trascorso una settimana. ma la mia intenzione era già di raggiungere Napoli, dove speravo di trovare degli amici.

Da quando, alla metà degli anni ‘80, noi tunisini abbiamo cominciato ad emigrare in Italia si è sparsa una informazione dettagliata sul vostro paese: in primo luogo sulla moda, perché a noi piace molto vestirci all’europea, e poi sul clima e sulle possibilità di lavoro, sull’accoglienza che potevamo aspettarci… anche se non era facile capire davvero come ci avrebbero trattato, perché in ogni paese c’è gente brava e gente che lo è meno!

Però chi aveva esperienza di vita all’estero concordava nel consiglio di stare alla larga dai connazionali ed ora che sono in carcere devo proprio dargli ragione!

Dei napoletani invece si parlava molto bene e per questo avevo deciso di andare a Napoli: ci arrivai in treno, verso le due di notte, e la prima immagine che mi si presentò furono i barboni che dormivano per terra alla stazione e la piazza antistante sporchissima.

Non mi sembrava di essere Europa, ma in qualche povero Paese dell’Africa e, senza volerlo, esclamai: "Dio mio proteggimi!".

Nei giorni successivi incontrai alcuni compaesani che lavoravano come operai agricoli stagionali, ma a me non piaceva perché il lavoro in campagna è pesante e poco pagato senza contare che si correva il rischio di essere rapinati e anche peggio.

Io sono nato in una grande città e l’ambiente dei piccoli centri rurali non fa per me, così trovai lavoro a Napoli in un autolavaggio, dodici ore al giorno per 100.000 lire la settimana.

Capivo che mi stavano sfruttando ma avevo assoluto bisogno di guadagnare qualcosa, nessuno mi aiutava e almeno riuscivo a stare lontano dai "giri" dei miei paesani: a Roma, ad esempio, evitai di andarci dopo aver sentito che parecchi immigrati lì non si comportavano granché bene. Nell’autolavaggio lavorai per sette mesi senza un giorno di riposo e divenni amico di tanta gente, clienti anche di buona posizione sociale: medici, avvocati, commercianti, poliziotti, siccome vedevano che lavoravo sodo tutti mi volevano bene.

Tutti mi chiamavano con il soprannome di Alì. Un giorno passavo vicino ad un ospedale ed un vigile urbano che conoscevo bene mi chiamò per presentarmi ai medici, agli infermieri ed anche ai malati: tutti a chiedermi, per scherzare, se avevo fatto soldi, se avevo la ragazza, mi chiamavano con il soprannome di "Alì".

Il vigile mi disse: "Qui tutti parlano bene di te e voglio aiutarti perché anch’io penso che sei un bravo ragazzo, ho proposto ad un amico di assumerti come posteggiatore e lui ha accettato. Ti darà una buona paga. da mangiare e un posto per dormire".

Gli ho risposto di sì perché mi fidavo di lui, ma il proprietario dell’autolavaggio dove lavoravo mi sconsigliò di andarci, e anzi mi disse che mi avrebbe messo in regola e questo per me era importante poiché mi avrebbe fatto avere il permesso di soggiorno. Però non poteva regolarizzarmi dandomi 100.000 lire la settimana, e alla fine me ne offrì 150.000 ed erano sempre poche: con un lavoro part-time di scaricatore avrei comunque arrotondato a 200.000!

Certo è duro fare due lavori, 15/16 ore al giorno, ma ero arrivato in Italia con un progetto, quello di lavorare e mandare soldi alla mia famiglia per mostrare loro che sono in gamba: giovane ed in salute, potevo anche resistere ad un po’ di fatica!

Dopo due giorni, comunque, vennero a prendermi per portarmi al nuovo posto di lavoro: erano con una Mercedes accompagnata da quattro potenti moto, tutti giovani tra i 25 ed i 27 anni ed il vigile stava con loro.

"Ciao Alì, sei pronto?".

"Sì…".

"Ti presento Alberto".

"Piacere". (Era un ragazzo alto, biondo e muscoloso).

"Mi ha parlato di te Antonio (che sarebbe il vigile), per me vai bene e ti garantisco tutto quello che lui ti ha promesso, oltre ad un milione al mese. Ok?".

 

"L’ufficio" era l’ombrellone con il tavolino dove avevo mangiato

Poi sono salito sulla macchina con Alberto, che era figlio del padrone del parcheggio.

Scortato dalle moto mi sembrava di essere un diplomatico o un presidente, ma non dicevo nulla. Ci siamo diretti ai quartieri spagnoli, passando da un vicolo all’altro, fino a che siamo arrivati al posto di lavoro. Erano quasi le otto di sera. Scendiamo nel quartiere: c’era un uomo seduto sotto un ombrellone da spiaggia, che mi fu presentato come il padre di Alberto. Mi disse di sedermi con lui e poi chiese al figlio di portare una birra ed una pizza per me.

Mentre mangiavo lui mi parlava di tante cose, si chiamava Franco, ma io ero impaziente di vedere il parcheggio dove avrei lavorato. Finalmente Alberto si decise a mostrarmelo: mi aspettavo di salire su una macchina o un motorino per raggiungerlo invece mi disse di seguirlo a piedi nel labirinto di vicoli e vicoletti. Mi mostrò le automobili addossate ai muri. 100 in questo vicolo, altrettante in quello che fa angolo. Quello era il "parcheggio…", mentre "l’ufficio" era l’ombrellone con il tavolino dove avevo mangiato, le chiavi delle macchine erano appese al muro sopra il tavolino.

Tra me mi dicevo: "Dovrei difendere queste macchine da tutti i ladri di Napoli!? Qui si ammazzano per un motorino, forse è meglio che ci ripensi prima che sia tardi…". Ma Franco mi fece: "Alì, ti faccio vedere dove dormi".

Partiamo con il motorino ed in 30 secondi siamo arrivati: in un cantiere edile, chiuso tra i palazzoni del quartiere, c’è la "mia" roulotte, pulita ed adatta alle mie esigenze.

Alberto mi rassicura: "Qui tutti mi rispettano perciò non devi aver paura di niente, vedrai che ti troverai bene…".

Io non osavo aprire bocca perché, da una parte, non credevo ai miei occhi, dall’altra mi sembrava una pazzia accettare quel lavoro, ma il mio carattere mi obbligava a rispettare gli accordi presi. a non tornare indietro: "Quando comincio a lavorare"? chiedo.

"Questa sera", mi risponde (anche di notte si lavora, questa è proprio bella!) "Va bene", dico, accettando definitivamente.

Ritorniamo in "ufficio" e lui se ne va dicendomi che sarebbe ritornato subito. Rimango così solo mentre cominciano ad arrivare le automobili con i clienti: mi chiedono chi sono ed io li informo che sono il nuovo parcheggiatore. Mi chiedono dov’è Franco, dico a tutti che tornerà presto: loro rispondono che non lo vedono da parecchio tempo. Mi lasciano le chiavi e se ne vanno. Per fortuna arriva Alberto a farmi vedere come vanno sistemate le macchine. Suo padre non si fa più vedere e con lui posso parlare liberamente tutta la sera. Mi sembra un bravo ragazzo. Arrivano anche molti suoi amici, un vero esercito, scherzano e ridono come matti, io cerco di essere serio ma loro continuano a sghignazzare. Capisco il motivo quando vedo che scaldano dell’hascish. Cominciano a fumare ed invitano anche me a farlo, mi dicono di non avere paura e che quella ‘roba" in fondo viene dal mio Paese. "Vi sbagliate", gli rispondo, "l’ho vista soltanto in Italia, in Tunisia non c’è: non sono mica algerino io!".

Continuarono a fumare ed a scherzare fino alle quattro del mattino e prima di andare a casa usarono il collirio per cancellare dagli occhi il rossore causato dall’hascish nel timore di essere scoperti e rimproverati dai loro genitori.

Rimasto ancora solo mi prese la paura e pensai che dovevo accettare di fumare con loro, almeno se fossi morto non me ne sarei accorto. pensavo seriamente che in quel posto sarei finito ammazzato!

Come Dio volle arrivò la mattina e i clienti abbonati al posto macchina andarono a lavorare, arrivarono altri automobilisti che si fermavano solo qualche ora ed anche una signora bionda che Alberto mi presentò come sua madre.

Passano così i primi due mesi e sono già diventato amico di tutta la gente del quartiere: uomini, donne, ragazzi e bambini, proprietari di negozi. Con Alberto ed i suoi amici ho imparato a fumare hascish, ma ho anche cominciato a sentire voci strane riguardanti suo padre: sarebbe tossicodipendente di cocaina. Per me fu un duro colpo. Una mattina era appena arrivato e provai a chiedergli il denaro che mi doveva, volevo depositarlo al sicuro in banca.

Lui mi prese in giro e sparì dalla circolazione per evitare di pagarmi; suo figlio Alberto ne aveva paura perché aveva trascorso 15 anni in carcere, lo aveva lasciato che era bambino e rivisto quando oramai aveva vent’anni, e non aveva per lui vero affetto.

La madre era nella stessa condizione: aveva aiutato Franco in tutti gli anni di carcere ed appena lui era uscito l’aveva tradita con un’altra donna, dalla quale aveva avuto un figlio.

Fu proprio la madre di Alberto a dirmi: "Alì, ti voglio bene come un figlio, ecco i soldi che ti spettano e se Franco non ti paga a fine mese sei libero di andartene".

 

Una notte mi trovai davanti due uomini intenti a rubare una delle "mie" macchine

Nel frattempo era arrivata l’estate e nel tempo libero andavo a passeggio per i quartieri spagnoli scoprendo i misteri della città.

Mi chiedevo da tempo dove andassero uomini e donne, che rimanevano fuori casa fino a tarda notte: parecchi si trovavano in bische clandestine per giocare a carte e sniffavano cocaina per non farsi vincere dal sonno. Loro stessi mi consigliarono di non giocare e di stare alla larga da quel "giro".

Passato qualche giorno però mi offrirono un "tiro" di cocaina, e mi sembrò piacevole farlo con loro perché erano tutte persone simpatiche.

Franco aveva cominciato a trattarmi bene, mi portava al ristorante e mi dava perfino soldi in anticipo ma un giorno abbiamo litigato e gli ho detto che sarei andato via.

Tornai alla mia roulotte e dopo un paio di ore arrivarono tutti gli "amici" per convincermi a rimanere: Alberto, suo padre, sua madre e altre persone del quartiere. Alla fine mi convinsero.

Una notte mi ero messo a dormire dentro una macchina quando sentii dei rumori insoliti, mi alzai e mi trovai davanti due uomini intenti a rubare una delle "mie" macchine. Gridai loro di andarsene ed uno dei due mi sparò due colpi di pistola.

Non mi colpì, per fortuna: una delle due pallottole entrò in una finestra e l’altra si conficcò nel muro. Mi ero buttato a terra e quando arrischiai di alzarmi loro se ne erano andati. Non avevo avuto realmente paura perché ero pieno di cocaina.

La gente del quartiere scese a vedere cosa era accaduto e mi dissero di non preoccuparmi perché una cosa del genere non sarebbe più successa: arrivò anche Franco, che si complimentò con me perché ero stato coraggioso impedendo il furto.

Dopo aver detto questo tirò fuori un sacchetto di cocaina e sniffammo insieme. Da quel giorno mi offrì regolarmente la droga: secondo lui, con il mio coraggio mi ero guadagnato la sua riconoscenza.

Una notte stavo seduto su un’auto e un ladro, avvicinatosi silenziosamente, mi puntò la pistola alla testa ordinandomi di dargli le chiavi. Io mantenni la calma e gli dissi che quella macchina era del "signor X", conosciuto in tutto il quartiere e che il parcheggio apparteneva ad uno dei suoi uomini. Quello non mi credeva e per convincerlo ho dovetti dirgli come si chiamavano il figlio e la figlia del "signor X". A questo punto il ladro si prese paura, capiva di aver sbagliato e si scusò per questo con me. Così anche quella volta me la cavai. Intanto quasi tutti i clienti erano partiti per le ferie estive; una sera arrivano due uomini in motorino, uno lo conoscevo bene e l’altro non lo avevo mai visto. il primo mi disse: "Ti presento il signor X!"

Io non volevo credergli, ma quell’altro (il signor X) mi disse: "Ho sentito parlare molto di te, mi dicono tutti che sei un bravo ragazzo".

Mi invitò a sedere al tavolo con lui e mi chiese se potevano fare una "sniffata": io gli risposi che tutto il parcheggio era a sua disposizione per fare ciò che voleva. Ne offrirono anche a me ed io accettai. Poi il signor X mi disse che se qualcuno voleva farmi del male o si comportava male con me dovevo dirgli che ero amico suo e questo sarebbe bastato a farmi rispettare da tutti .

In seguito, ripensando a quella sera, capii il motivo per cui nei vicoli non si vedeva anima viva: il padrone era in giro! Dopo un po’ arrivò un taxi con quattro uomini che non avevo mai visto e che raggiunsero il signor X al tavolo.

Prudentemente mi allontanai, mentre quelli si trattenevano a parlare e sniffare. Andai dal taxista, che conoscevo bene, e feci appena in tempo a salutarlo che lui mi disse in tono di rimprovero: Alì, sei venuto in Italia per guadagnare e mandare soldi alla tua famiglia ed ora sei un drogato, ti sei messo nel guai: stavi seduto con una persona "sbagliata" e già due volte hai rischiato la pelle. Vai via, Alì, va’ via di qua!".

Quella sera rimasi molto scosso dalle sue parole, andai a sedermi lontano dal signor X e dai suoi amici per pensare alla mia situazione: ogni tanto mi chiamavano, andai a comprargli dei dolci ma evitai di tornare a sedermi con loro. Se ne andarono soltanto verso le cinque del mattino. Verso le 10 io andai a casa di Franco e lui mi disse:

"Cosa hai fatto, hai lasciato il parcheggio incustodito!?".

"Quale parcheggio?", rispondo io, "tutti i clienti sono andati in vacanza". Lui mi disse di sedermi e mi chiese cosa non andava. Io gli dissi che volevo andare in vacanza ad Ischia per una settimana.

Tutti i ragazzi del quartiere erano andati ad Ischia e mi avevano detto di raggiungerli.

Allora lui tirò fuori il sacchetto con la cocaina e cominciammo a parlare, finche si decise ad aprire una valigia e mi mostrò una pila di atti giudiziari e ritagli di giornale. Erano tutti documenti riguardanti i reati che aveva fatto e le condanne subite. Andammo a pranzo al ristorante e poi passammo dalla mia roulotte per prendere i vestiti leggeri che mi sarebbero serviti in vacanza.

Da lì raggiungemmo il porto dove, salutandolo, gli promisi di tornare per l’inizio di settembre.

Appena lui se ne fu andato tornai all’uscita e presi un taxi per farmi portare alla stazione ferroviaria. Saltai sul primo treno in partenza e la destinazione era Mantova!

"Vedi Napoli e poi muori…".