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Tu chiamale, se vuoi, evasioni...
Si può scherzare su un problema scottante come le evasioni dai permessi?
Di Ornella Favero e Nabil Tayachi, agosto 1999
Farsi sbeffeggiare da un detenuto in permesso e pubblicargli poi l’articolo che racconta la beffa non è affatto piacevole, ma ho deciso di accettare la sfida, e non perché sono magnanima, al contrario sono rabbiosa, Questo scherzo però, condotto magistralmente da Nabil contro di me, che sono la coordinatrice di questo giornale, in fondo spiega molte cose interessanti: - che a Padova si tenta, con un certo coraggio, di coinvolgere anche i detenuti stranieri nei permessi premio e nelle attività fatte fuori dal carcere; - che tutti noi , volontari e operatori, sappiamo che ci sono dei rischi, perché lo straniero ha poche possibilità di regolarizzare la sua posizione nel nostro paese dopo aver regolarmente "pagato il suo debito" alla giustizia italiana, e quindi è tentato dall’ idea dell’evasione dal permesso, che in fondo lo farebbe tornare a una condizione che già conosce, quella clandestinità in cui molti hanno vissuto prima dell’arresto; - che l’entità del rischio è però ampiamente compensata dal fatto che i detenuti stranieri, che usufruiscono di permessi e altri benefici, hanno la possibilità di ricostruirsi una vita e una rete di rapporti decenti fuori da quegli ambienti e da quelle "amicizie", che li hanno portati dritti in galera.
Si può scherzare su un argomento così serio? E lo si può fare in una società spaventata dalla microcriminalità e in cerca di certezze del tipo "in galera, che se ne stiano in galera e basta"? Credo di sì, credo che possa servire a ricordare che in permesso escono delle persone, non delle bestie feroci, e che la società forse ha un po’ meno da temere da loro che da detenuti rimessi in libertà a fine pena, incattiviti e logorati da anni passati a vegetare. A Nabil ricordo invece che io ero rabbiosa all’idea della fuga, ma se lui fosse scappato davvero, più furiosi avrebbero potuto essere i suoi compagni di galera, perché è innegabile che l’evasione da un permesso, concesso per organizzare delle iniziative all’esterno del carcere, rompe le regole di correttezza stabilite tacitamente da chi vuole tentare di ricostruirsi una vita "fuori" cominciando proprio con i piccoli passi dei permessi.
Scherzi da galera
Signori della redazione, signori lettori di Ristretti Orizzonti, sono qui per festeggiare un anno di attività del nostro giornale. Abbiamo fatto sacrifici e abbiamo lavorato sodo con la volontà di riuscire a dare un certo livello culturale a un giornale fatto in carcere. Non siamo ancora al massimo ma stiamo andando nella giusta direzione. Anche se pochi di noi possiedono un titolo di studio, la volontà e il talento non ci mancano; per anni sono rimasti nascosti e ora li abbiamo scoperti! Oggi devo uscire per andare alla festa di Legambiente, in seguito al successo dell’anno scorso, anche quest’anno siamo stati invitati e tocca a me rimanere allo stand come rappresentante del giornale. Dopo una giornata di lavoro in carcere ritorno alla mia sezione, quella dei semiliberi: sono le 15.30 e devo uscire tra un’ora. Di corsa mi spoglio e vado in doccia portando con me il necessario per lavarmi: in mezza ora ho finito, mi sento fresco e in buona forma. Ma il lavoro non è ancora concluso, devo decidere come vestirmi, questa va bene, questa non va bene, alla fine sono riuscito a scegliere gli abiti adatti, mancano solo il dopobarba, il gel nei capelli, il profumo. Non è mica facile fare il rappresentante di un giornale come Ristretti Orizzonti, siccome sono un detenuto modello dentro il carcere, devo essere chic e sexy quando esco. Da quando ho lasciato le sezioni normali mi trovo a svolgere un lavoro esterno, ma sempre dentro il carcere. Ornella, la coordinatrice del giornale, non la vedo e non le parlo, ma avrei molto da dirle. Ogni tanto lei passa per il bar degli agenti, dove lavoro, lei mi vede ma io non posso parlare con lei, perché il mio contratto di lavoro prevede che non possa parlare con nessun esterno, per nessun motivo. Peccato. Peccato anche per Paola, non posso parlare neanche con lei. Peccato per tutte le persone che mi hanno aiutato a stare calmo e a frequentare corsi scolastici e che mi accompagnano in permesso, posso frequentarli fuori, ma dentro no. È una storia strana, non ho capito niente. Alle 16.30 esco dal carcere, aspetto una volontaria che mi venga a prendere e non vedo l’ora che arrivi. Quando arriva salgo in macchina con lei e per strada ci fermiamo a prendere dei panini e qualcosa da bere. Le dico che ho giurato ad Ornella di non bere più e prendo una coca cola. È ancora presto per andare alla festa e decido di telefonare a Ornella per chiederle se viene anche lei alla festa. Intanto, dalla strada, una voce mi chiama. - Ehi tu, marocchino, senti… Io non mi giro, ma la voce continua. - Ehi tu, tunisino. - Hai capito, allora, che non sono un marocchino? E’ un amico che mi ha riconosciuto e che conosce anche Ornella: mi dice che dovrei convincerla io, con il mio talento, a venire alla festa. La chiamo e lei mi chiede chi sono.
Prima telefonata - Come chi sono? Sono io, Nabil. - Come stai? - Molto, molto bene! A Milano si sta meglio che a Padova… - Cosa fai a Milano? Non dovresti essere a Festambiente? - È vero, ma il dovere mi chiama e ho dovuto cambiare strada. - Ma come? Da dove stai parlando? - Sono con mio padre, mia madre, i miei fratelli alla Malpensa e sto per andare in Francia, dove dobbiamo festeggiare il 75° compleanno della nostra famiglia. - No, no, Nabil! Per l’amor di Dio, non andare, ti prego! Ti supplico! Non rovinare tutto quello che hai costruito: tu hai talento e scrivi bene, hai imparato l’italiano, sei uno di noi. - Senti, io non sono come gli altri che scappano senza avvertire, io almeno te lo dico prima. Attendez, que j’arrive plus vite. - Ma cosa dicono? Non si capisce niente! - Parlano in francese, dicono che l’aereo sta per partire! - No Nabil, tu sei mio, non sei di nessun altro, io ho scoperto il tuo talento e per questo devi rimanere in Italia. - Non hai capito niente, io devo partire: se in Italia ho scoperto il mio talento, in Francia diventerò un professionista, ma mi terrò sempre in contatto con voi, vi manderò i miei articoli, così non sentirete la mia mancanza. - No, Nabil, tu quell’aereo lo puoi prendere, tu devi rimanere qui con la redazione. - Ornella, ti fidi di me? La telefonata si interrompe, i soldi sono finiti ma la storia continua.
Seconda telefonata
- Ciao Ornella, come va? - Sto male, Nabil. Prima mi fidavo di te, adesso è finita, hai rovinato tutto il lavoro. - Guarda, prima di scappare ti ho avvertito, nessun altro l’avrebbe fatto. - Dimmi la verità, sei veramente a Milano? - Adesso ti passo la prima persona che passa, così puoi domandarle dove ci troviamo. - Scusa, signore, rispondi alla mia amica e dille dove siamo (questo signore era naturalmente mio complice nello scherzo). - Adesso sei convinta che mi trovo a Milano? - Nabil, ti prego, non scappare. Ritorna a Padova, abbiamo bisogno di te. - Scusa Ornella, ma il dovere mi chiama, devo partire, ma non preoccuparti che gli articoli te li mando dalla Francia, e poi Parigi è meglio, preferisco la mentalità parigina.
Il problema, a questo punto, è che lei comincia ad avere dei dubbi e lo scherzo rischia di non funzionare più, così "ritorno in fretta a Padova" e la faccio resuscitare dal coma in cui era precipitata. Tutto finisce bene, grazie a Dio.
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