Maledetti questi occidentali, hanno rovinato i nostri figli!

 

Madri tunisine e nipoti occidentalizzati a confronto

 

Di Nabil Tayachi, febbraio 2000

  

Insomma, eccomi qui, in Italia, un paese che ho amato tramite la televisione. Da piccolo avevo altri desideri, volevo imparare il tedesco perché avevo una grande voglia di andare in Germania, per vivere in mezzo alla "razza ariana".

Mi piaceva anche la Francia, vedendo gli emigranti che rientravano da quel paese a Tunisi per le vacanze con macchine di lusso e raccontavano di aver comprato perfino la casa e di avere il conto in banca: roba da non credere! Famiglie molto numerose, che avevano bisogno di un capitale per fare le vacanze: alcuni erano in undici, come una squadra di calcio, altri perfino in diciotto; che avessero meno di otto componenti, tra genitori e figli, non ce n’erano.

Il problema di queste famiglie quando tornano in patria è che spesso i figli non sanno parlare l’arabo, ma solo il francese, e quando sono ospiti dai loro parenti rimasti in Tunisia non riescono a farsi capire da loro.

Anche mia madre, quando arrivano i nostri parenti dalla Francia, è contenta di ospitarli, ma si stanca molto per la difficoltà di parlare con i bambini vissuti in Europa.

Quando uno di loro, alle dieci del mattino, un giorno le ha chiesto di portargli le scarpe perché voleva uscire a giocare, lei gli ha fatto il cappuccino, perché il francese non lo conosce. Lui ripeteva che voleva le scarpe e lei gli ha portato una brioche; lui insisteva con le scarpe e lei metteva più zucchero; finché il bambino è stato costretto a prenderla per mano e portarla dove si trovavano le scarpe, per farle capire cosa le chiedeva.

Da quel giorno, mia madre pensava di aver capito tutto: secondo lei, chi le chiede qualcosa verso le dieci del mattino, vuole sicuramente le scarpe.

Il giorno dopo, arriva il fratello del bambino che voleva le scarpe e le chiede, in francese, una bibita: lei, naturalmente, va sicura e gli porta le scarpe, ma lui non vuole quelle, insiste a chiedere la bibita e poi comincia a piangere.

Lei cerca di calmarlo, lo prende per mano, gli mostra i vestiti, ma lui dice di no; gli mostra i giocattoli, e lui dice ancora di no; lo porta al bagno, neanche quello; alla fine lo porta in cucina e il bambino comincia a sorridere, allora mia madre apre il frigorifero e lui indica la bibita: meno male che c’è!

Con mia madre, si deve parlare l’arabo, perché solo quello capisce e, da quando i nipoti vengono a trovarla, le sono diventati i capelli bianchi per le preoccupazioni: per l’anno prossimo, o imparano l’arabo, oppure vengono accompagnati dai genitori.

 

"Meno male che non portano gli orecchini: giuro che, se ci provano, gli taglio l’orecchio!"

Un giorno, i due nipotini cominciano a piangere perché vogliono andare a giocare con i figli dei vicini di casa. Mia madre non capisce, pensa di avergli detto qualcosa di sbagliato e di averli fatti arrabbiare, poi alla fine li lascia uscire e si ferma sulla porta di casa per controllarli mentre giocano: "Tu stai attento di non cadere", "Tu fai piano, altrimenti gli fai male e lo dico a tua madre", "Tu vai via di qua che sei cattivo".

La vicina di casa esce, trova mia madre, la saluta e poi dice al figlio che gioca di fare il bravo e di trattare bene quei due gioielli, come fossero suoi fratelli. Mia madre le si avvicina e le racconta sconsolata: "Sai, cara, sono figli di emigranti ed hanno dimenticato la lingua dei loro genitori. Pensa che uno arriva alle dieci del mattino e mi chiede le scarpe, ma io gli porto una bibita; l’altro mi chiede una bibita ed io gli porto le scarpe".

"Eh, lo so", risponde la vicina, "sono abituati a consumare molto, grazie ai loro genitori che possiedono i franchi francesi. I miei figli, dopo la colazione, escono di casa e non tornano prima di mezzogiorno".

"È logico, se tu li avessi educati bene, gli avessi comprato le scarpe da calcio e un altro paio per passeggiare, allora anche loro rientrerebbero alle dieci del mattino per cambiarle, ma quando ne hanno solo un paio usano per forza quelle! Guarda quel bambino, il figlio dei vicini, che gioca a piedi nudi: lui è molto intelligente, ha un solo paio di scarpe e, se si rompono, rimane senza e i suoi genitori lo picchiano anche.

Per questo gioca a piedi nudi e, quando diventa uomo, sa cosa vuol dire la povertà e, quando ha i soldi, sa bene come spenderli. Non come i miei figli e nipoti, che vogliono mettere questo o quell’altro paio di scarpe, che vogliono seguire la moda, che non fumano neanche le sigarette nazionali, ma vogliono quelle estere, che costano il triplo.

In più non vogliono lavorare, si svegliano a mezzogiorno e vogliono sempre soldi. Pensa che il loro padre fa brutta figura con gli amici, quando si impegna a trovare un lavoro per i ragazzi e loro, alla fine, rispondono di no, che preferirebbero essere morti, oppure restarsene disoccupati, che fare quel tipo di lavoro. A scuola sono andati male tutti quanti, così adesso non possono neanche lavorare come impiegati di banca, o nelle assicurazioni. Sono meglio le femmine, che studiano con più impegno, accettano volentieri di lavorare e, quando sono di riposo, aiutano pure nelle pulizie di casa. Mia figlia, quando le dico che una cosa non va fatta, lei non la fa.

Invece, i maschi, quello che gli dici gli entra da un orecchio e gli esce dall’altro, sai, è difficile educare i figli di questa generazione: hanno la testa dura e dicono che noi abbiamo una mentalità troppo vecchia.

Pensa, che con i soldi di uno stipendio sono capaci di andarsi a comperare un paio di jeans tagliati sul ginocchio e pure dietro; dicono che questa moda viene dall’occidente.

Maledetti questi occidentali, hanno rovinato i nostri figli. La stessa cosa per i capelli, ogni mese un taglio diverso, un vera tortura, ma loro dicono che va bene così. Meno male che non portano gli orecchini: giuro che, se ci provano, gli taglio l’orecchio!

Ci manca solo che diventino come le femmine, così non troverei nemmeno più i miei, di orecchini. Sai, cara, non ci sono più i maschi di una volta: non c’è più religione!".