I famigliari dei detenuti non hanno diritti

Un Garante anche per i famigliari dei detenuti

Come potevo e posso coltivare i legami affettivi con dei colloqui che di intimo non offrono nulla?

 

di Maurizio Bertani, dicembre 2007

 

Sono detenuto dal lontano gennaio del 1976, con l’unica “pausa” di un paio di anni di libertà. Ovviamente, questo è esclusivamente colpa mia, per cui non ho nulla da recriminare, se non per la superficialità con cui la società tratta me, e l’indifferenza che ha verso le persone che ho amato ed amo, e verso la loro vita.

Ci domandiamo spesso se vi è in carcere la necessità di avere un Garante, che ci tuteli dagli abusi subiti nell’arco di tanti anni. Non c’è alcun dubbio che, nella mia detenzione, in fondo quello che mi pesa di più, anni fa come adesso, è la totale mancanza di affettività con i miei famigliari, che nessun’altra colpa hanno se non quella di essere legati sentimentalmente ad una persona come me, detenuta.

Viviamo in una nazione che non permette ad un detenuto di coltivare i propri affetti, ma non solo, non viene permesso neanche ai famigliari dei detenuti questo, legando con ciò inesorabilmente i famigliari alle colpe del loro caro in carcere.

Si fa presto allora a dire che le responsabilità penali sono individuali, ma se poi di fatto avviene il contrario, e altri pagano per le nostre colpe, c’è forse qualcosa che non quadra nella legge.

A dire il vero ogni tanto si sviluppano ragionamenti sul fatto che bisogna mettere in condizione i detenuti di avere rapporti più intimi con i propri congiunti, e per rapporti intimi intendo detenuti e detenute che possano incontrarsi, senza controlli visivi, con i propri compagni, siano essi coniugi o conviventi, ma questi rapporti non sono consentiti. Eppure noi viviamo in uno Stato in cui il Parlamento non fa una legge sui Dico, ossia le convivenze che non siano “consacrate” dal matrimonio, perché ritiene inderogabile la sacralità della famiglia, ma viene da domandarsi sempre di quali famiglie si parli, perché quelle dei detenuti, per esempio, non vengono tutelate da nessuno.

È per questo che ho visto e continuo a vedere tanti matrimoni disgregarsi.

Non dico che la possibilità di avere un po’ di intimità sia la soluzione di tutti i mali, però sicuramente sarebbero meno delle attuali, le famiglie che si sfasciano. Ma purtroppo non credo sia di facile attuazione una legge che dia la possibilità di avere colloqui intimi, proprio perché nel nostro Paese non c’è mai stato un cambiamento culturale in questo senso, e neppure si profila all’orizzonte, ma ritengo importante che si continui per lo meno a parlare di questi problemi, e di una possibile soluzione.

E poi qual è il motivo per cui un genitore in carcere non può dedicarsi alla crescita del proprio figlio, magari attraverso colloqui che non siano gli striminziti colloqui di oggi, un’ora in una sala in mezzo a trenta persone vocianti, ed in un continuo alzare di voci per riuscire a farsi sentire e per riuscire a sentire.

Naturalmente non si può pretendere di avere una sala colloqui personale né di avere tre o quattro ore di colloquio continuato, ma come potevo e come posso coltivare i legami affettivi con dei colloqui che di intimo non offrono nulla, quali concetti posso sviluppare con mio figlio in simili condizioni. Forse che per un padre o una madre questo diritto decade con la condanna, o meglio con il semplice arresto?

Ho sempre cercato con mio figlio di pormi di fronte a lui in modo tale, che non facesse i miei stessi errori, ma sicuramente non sono mai riuscito ad instaurare un rapporto padre-figlio come avrei voluto, o come lui avrebbe desiderato, proprio perché lui è stato posto sul mio stesso piano, giudicato come lo sono stato io, per il semplice fatto di essere mio figlio, e per non aver rinnegato il padre, questa è stata la sua unica colpa.

 

I parenti dei detenuti non hanno tutele

 

Vi sono stati anni in cui, quando mia madre era ancora in grado di viaggiare, non riuscivo però a fare i colloqui con lei perché a Pianosa, dove allora mi trovavo detenuto, pretendevano di effettuare perquisizioni corporali integrali, per motivi di sicurezza, ad una donna di 70 anni che penso non si sia mai fatta vedere nuda da suo marito. E tutto questo è stato fonte di sofferenza per una donna che aveva il figlio in carcere, una sofferenza causata sicuramente da me che avevo commesso il reato, ma uno Stato che non permette ad una madre colloqui decenti con il proprio figlio è veramente immune da colpe?

Mi rendo conto che bisogna prima cambiare le leggi, che bisogna prima cambiare la mentalità, che bisogna prima che il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria recepisca questa esigenza e si organizzi, per far sì che per lo meno i colloqui avvengano in condizioni non dico di intimità, ma almeno di discrezione, ma siamo nel 2008, non vi sembra che ci sia un ritardo incredibile?

Ecco, in questo credo che il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale abbia una rilevantissima importanza, per portare avanti questa ed altre istanze, e credo che la figura del Garante non sia solo una esigenza di oggi, ma sia una esigenza non dico della prima riforma penitenziaria del 1975, ma sicuramente della riforma del 1986, perché già allora si era notato che la figura designata a tutelare i diritti dei detenuti, ossia il Magistrato di Sorveglianza, difficilmente poteva svolgere questo compito con una totale imparzialità. Questo compito lo può svolgere il Garante dei diritti delle persone private della libertà, in quanto figura terza, fra il detenuto e il Magistrato di Sorveglianza, fra il detenuto e tutte le altre istituzioni, una figura capace di raccogliere le istanze del detenuto e portarle avanti nelle sedi istituzionali competenti.