Una strada verso il far west

 

A Taormina un cittadino spara a una banda di ladri per tutelare la sua famiglia e la sua proprietà: tra le vittime della sparatoria c’è anche lui, mentre suo figlio è rimasto ferito. Eppure una proposta di legge, già approvata dal Senato, vuole allargare le maglie della legittima difesa per rendere tutti più sicuri, al riparo dai malviventi. Possibile che gli Stati Uniti (il paese delle armi, e della criminalità che non cala) non ci abbiano insegnato nulla?

 

di Marino Occhipinti, ottobre 2005

 

Sparare per difendersi. Imbracciare (e usare) un’arma non solo per proteggere se stessi da un’aggressione, ma anche i nostri beni materiali minacciati da qualche delinquente. C’è una proposta di legge che potrebbe rendere legittima questa seconda situazione: una sorta di autorizzazione, per tutti i cittadini, a farsi giustizia da soli. Una novità che non poteva non suscitare parecchie perplessità anche fra i giuristi. Il Senato ha già pronunciato il suo sì in estate: si tratta del disegno di legge numero 1899 che modifica l’articolo 52 del Codice penale sulla legittima difesa, sancendo il cosiddetto “diritto all’autotutela in privato domicilio”.

Chi scrive ha una pessima esperienza in fatto di armi, e proprio per questo si sente di poter dire, in tutta sicurezza, che le armi portano solo guai. Ce lo ha ricordato di recente la cronaca: due tragici episodi di sangue, ad Abano Terme e a Taormina, dove nel corso di due rapine – la prima in un’oreficeria e la seconda presso una villa – e dei conseguenti scontri a fuoco, sono morte sia le vittime del reato sia i rapinatori. Eccola, la doppia faccia della medaglia dell’uso delle armi.

 

Si dà per scontato che tutti siano dotati di sangue freddo

 

La nuova proposta di legge autorizza chiunque detenga legalmente un’arma a sparare a un ladruncolo che insiste per entrare nella sua abitazione, o anche in quella di qualcun altro (per esempio del vicino di casa). Ovviamente, sempre secondo il nuovo testo normativo, il cittadino che intende difendere i propri o altrui beni, prima di sparare dovrà realizzare una serie di condizioni: accertarsi che il malvivente intende entrare nella propria o altrui abitazione con lo scopo di commettere un reato (il che non è come dirlo); mantenere il sangue freddo, quindi sfoderare e caricare l’arma; invitare il malvivente a desistere (chissà se qualcuno ha già pensato a frasi convenzionali, come il militaresco “altolà chi va là”, naturalmente da pronunciare almeno tre volte prima di fare fuoco…); infine sparare con perizia, mirando rigorosamente alle parti non vitali.

La procedura, francamente, mi pare di difficile esecuzione persino per le forze dell’ordine, sebbene addestrate, figuriamoci per chi non ha competenza né dimestichezza con pistole e fucili. Consideriamo un fatto: una pistola, al solo scopo della detenzione per difesa personale (quindi custodita nel proprio domicilio), può essere acquistata da chiunque abbia i requisiti fisici e psichici, purché sia incensurato e in possesso dell’abilitazione all’uso delle armi rilasciata da un poligono di tiro – per ottenerla basta pagare l’iscrizione e sparare poche decine di colpi di addestramento, in barba a qualsiasi teoria. Non viene il sospetto che, se la nuova legge otterrà il sì anche della Camera, molti più italiani acquisteranno un’arma da fuoco? La tentazione di trasformarsi in “cittadini sceriffo” sarà lì, a portata di mano. Quanti ne approfitteranno per sostituirsi alle forze dell’ordine? Che poi si spari alla cacciagione o ai ladri poco importa. In fin dei conti, prima di gambizzare un rapinatore, basterà rispettare poche ed (apparentemente) elementari regole.

Come lo Stato intenda “istruire” impiegati e casalinghe sull’utilizzo delle armi da fuoco e sulle procedure di difesa da mettere in pratica in caso di assalto da parte di un ladruncolo, magari un ragazzino di dodici anni, per ora non è dato sapere. Probabilmente si ricorrerà al classico “la legge non ammette ignoranza”, per cui ognuno dovrà arrangiarsi facendo attenzione alla pubblicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale, così da studiarsi meglio codici e codicilli. Naturalmente a proprio rischio e pericolo. Come quell’avvocato romano che deve scontare otto anni di carcere per aver ucciso un ladro che gli stava rubando l’automobile parcheggiata sotto casa.

 

E quelli che rubano per droga, saranno dissuasi dalla nuova legge?

 

Il vero punto dolente della proposta, come è stato sottolineato da tante voci, è il fatto che si paragonino i beni materiali alla vita delle persone, anche quando si tratti della vita di impenitenti delinquenti. Certo, vedere minacciata una proprietà acquistata con lunga fatica può portare, istintivamente, a un’estrema e violenta difesa. Ma, come ci insegna anche l’esperienza degli Stati Uniti, non è con le leggi che incitano all’uso delle armi che si tampona il problema della criminalità. Penso ai tossicodipendenti, autori della maggior parte dei furti, degli scippi, dello spaccio di stupefacenti e anche delle rapine: non credo proprio che un uso più massiccio, seppure legale, delle armi da parte dei cittadini onesti riuscirà a fermarli. Un tossicodipendente in astinenza, che mira solo a procurarsi la dose, non si metterà certo a studiare la nuova legge sull’uso delle armi. E correrà comunque il rischio.

E i nomadi abituati a rubare nelle case? Spesso sono adolescenti che diventano ladri perché spinti dai genitori, ai cui ordini difficilmente potranno opporsi. Insomma, invece di prendere la mira contro le gambe di criminali di tale portata – ladruncoli, ragazzini, tossici –, ci si aspetterebbe una ricerca seria, da parte di chi legifera, di rimedi diversi, che più che alla repressione puntassero all’inclusione sociale. In certi casi anche alla cura. Invece si legge sempre, tra le righe di nuove norme che promettono più sicurezza, una convenienza momentanea legata alla propaganda elettorale.

Commentando le probabili novità con alcuni miei compagni di detenzione, che non sembrano avere molte intenzioni di condurre una vita onesta quando usciranno dal carcere, ho sentito considerazioni del genere: «Ci saranno molte più armi? Se andrò a fare un furto verrò accolto a pistolettate? Beh, vorrà dire che invece di portarmi solo il cacciavite, come ho fatto finora, sarò costretto ad andare ‘accavallato’ (che in gergo carcerario significa armato). Non per uccidere, sia chiaro, ma per difendermi a mia volta». Curioso, vero? Una spirale di difese più o meno legittime che mi viene da immaginare come una gara di spari senza fine.

Un altro punto da sottolineare è che la legge sulla legittima difesa esiste già, all’articolo 52 del Codice penale. Attualmente l’uso delle armi è consentito quando «vi è un reale e concreto pericolo e rispettando il principio di proporzione tra azione e reazione, quindi tra offesa e difesa». L’orafo di Abano Terme e il commerciante di Taormina erano legittimati a sparare anche dall’attuale normativa: se non fossero stati uccisi, difficilmente sarebbero incorsi in un procedimento penale, tanto meno in una condanna.

Quindi cosa aggiunge la nuova legge al diritto del cittadino a difendersi? Una porta sul Far West, solo questo. Anzi, no: aggiunge anche uno scenario inquietante nelle aule dei tribunali, perché viene da pensare che saranno piene di cittadini-sceriffi costretti a dimostrare che la loro proprietà era realmente minacciata, che hanno mirato alle parti non vitali del ladro eccetera eccetera.

 

Che cosa significa uccidere un uomo

 

Infine, perché non ci si interroga sul significato di uccidere, anche se per legittima difesa? Conosco un orafo che negli anni Ottanta, durante una rapina nel suo negozio, sparò ai due malviventi che, armi in pugno, l’avevano assaltato. Uno dei due morì subito. L’altro fu trovato cadavere, pochi minuti dopo, in un parco pubblico qualche centinaio di metri più in là. Negli otto anni successivi l’orafo ha attraversato vari gradi di giudizio e i relativi processi. Ogni giudice gli ha riconosciuto di aver agito per proteggere la propria vita. Agli occhi dei più, anche degli altri negozianti della zona, è sempre apparso come una specie di eroe che ha difeso con estremo coraggio l’attività che dava da vivere a lui e alla sua famiglia. In realtà, da quel giorno, lui non è più stato lo stesso. Sebbene riservato e schivo, non ha avuto difficoltà a confidarmi che, qualora i rapinatori si fossero nuovamente presentati nel suo negozio, questa volta si sarebbe lasciato svaligiare senza reagire: «So bene cosa vuol dire uccidere. Ho ancora in testa gli occhi sbarrati di uno degli uomini a cui ho stroncato l’esistenza. Ho sentito l’odore del suo sangue. Alla fine dei processi avrò anche avuto ragione, e la giustizia ha magnanimamente stabilito che non potevo fare diversamente, ma un pugno di gioielli non vale la vita di un essere umano come me».

Sono attimi, nei quali le reazioni sono incontrollabili. Alcuni mesi fa, durante un furto, una donna ha fatto fuggire i ladri dalla sua abitazione malmenandoli con una mazza da baseball. Il giorno dopo, un colonnello dei carabinieri ha pubblicamente dichiarato che «la giovane donna è stata sì coraggiosa, ma le è andata bene perché così facendo ha rischiato la sua vita e anche quella del figlioletto, che dormiva al piano soprastante». Insomma, non è molto consigliabile armarsi per il timore di essere derubati. È sicuramente meno peggio subire un danno economico, anche ingente, piuttosto che rischiare la propria pelle o togliere la vita a un altro uomo.

«Ma allora le persone oneste devono lasciarsi rapinare senza fare nulla?», mi hanno chiesto in redazione, dopo che avevo esposto questo mio punto di vista. Ora, non mi schiero dalla parte dei ladri, ma sono convinto che a tutelare la proprietà privata deve continuare a pensarci lo Stato, e proprio in nome della maggiore sicurezza che qualcuno vorrebbe invece identificare con una proliferazione selvaggia di pistole e fucili.

A Belluno, di recente, si è tenuto un seminario di studi dal titolo illuminante, che evidenzia bene quanto sia importante trovare le definizioni giuste per poi poter affrontare le questioni che ci riguardano: «Quale sicurezza ci rende sicuri?». Il professor Massimo Pavarini, docente di Diritto penitenziario all’Università di Bologna, ha affermato che «oggi la sicurezza è diventata una delle ossessioni di tutte le campagne elettorali, dei mass media, delle discussioni da bar, ma in realtà siamo inseriti in un contesto fortemente contraddittorio. Dal punto di vista dei dati scientifici noi siamo la società più sicura che sia mai esistita. Mai abbiamo goduto come storia dell’uomo di tanta sicurezza come ne godiamo adesso, eppure oggi noi ci diciamo sempre più insicuri».

Qualcosa stride, è evidente. Speriamo ci faccia caso anche chi fa le leggi.