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Quando si vuole legiferare sulla spinta dell’onda emotiva Non si deve temere una legge che aiuta i detenuti a inserirsi nella società Bisogna, semmai, preoccuparsi di chi la pena la sconta fino in fondo in galera
di Marino Occhipinti, ottobre 2008
È stato recentemente arrestato un detenuto che nel mese di agosto non era rientrato in carcere, come aveva regolarmente fatto tutte le sere – dopo 15 anni ininterrotti di prigione usciva ogni mattina per lavorare – per i tre anni precedenti. Le polemiche sono subito divampate: cosa ci faceva “in libertà” un uomo condannato per omicidio che avrebbe terminato la sua pena nel lontano 2017? “Ammazzano, e poi entrano ed escono dal carcere, magari per lavorare, come se fossero in un albergo a 4-5 stelle…”, ha commentato la notizia, ovviamente sparando ad alzo zero, il conduttore televisivo di una emittente nazionale, che poi ha condito il tutto con una lunga serie di dati che, con quello specifico fatto, non c’entravano proprio nulla: 7 processi su dieci vengono rinviati per svariati motivi, il 30 per cento dei beneficiari dell’indulto è già rientrato in carcere, il 90 per cento degli arrestati esce quasi immediatamente dalla prigione, ci vuole la certezza della pena eccetera. Hanno cominciato a circolare anche alcuni articoli con i quali, per “accontentare” l’opinione pubblica la cui paura e insicurezza sono continuamente fomentate dagli organi di informazione, qualche personalità politica ha, naturalmente, promesso di ridurre drasticamente i benefici penitenziari previsti dalla legge Gozzini. Naturalmente, anche stavolta si vorrebbe legiferare senza “far di conto”, e cioè tralasciando i numeri assolutamente positivi di questa legge che, dalla sua emanazione a oggi, ha consentito un graduale reinserimento nella società di oltre mezzo milione di persone. Infatti, coloro che in questi anni sono transitati nel circuito penale e hanno potuto usufruire delle misure alternative alla detenzione, sono tornati a delinquere “solo” nel 19 per cento dei casi, mentre chi è uscito per fine pena senza un adeguato “accompagnamento” è rientrato in carcere in misura molto maggiore, superando addirittura il 70 per cento. Questo perché i benefici della legge Gozzini “obbligano” le persone detenute a seguire prima un percorso di recupero in carcere, e poi di reinserimento vero e proprio, passo passo, nella società. Il prodotto finale della legge Gozzini, a dispetto di chi crede e sostiene il contrario, consiste quindi in una maggior sicurezza per la collettività. I detenuti che fruiscono delle misure alternative alla detenzione, infatti, commettono nuovi reati in percentuale infinitesimale – all’incirca lo 0,45 per cento – ma nonostante ciò si spara nel mucchio e si cerca di strumentalizzare un solo percorso finito malamente per togliere la speranza a tutti, anche a quelle migliaia di persone detenute che si sono comportate correttamente e che hanno colto al meglio le opportunità che gli sono state offerte, trasformandosi da un peso, e soprattutto da un pericolo per la società, in una risorsa. Ogni qualvolta si verifica anche un solo episodio negativo, che seppur a malincuore dovrebbe essere considerato “fisiologico”, viene puntualmente strumentalizzato ad arte per avanzare proposte di modifiche e restrizioni: anche l’ultima proposta, depositata in Senato dai parlamentari Berselli e Balboni, prende origine proprio dai casi di Izzo e Piancone, due “fallimenti” sui quali si vorrebbero incardinare una serie di limitazioni che colpirebbero tutti, anche quel 99,55 per cento di detenuti che i benefici li utilizza correttamente e con sacrificio, visto che le misure alternative prevedono, giustamente, una serie di requisiti per essere concesse, e anche una sfilza di limitazioni e di controlli durante la fruizione delle stesse.
Si continuano a cavalcare le infinite emergenze tutte italiane
Forse, anziché continuare a legiferare sulla spinta dell’onda emotiva, sarebbe estremamente importante abbassare i toni e gettare acqua sul fuoco, e magari spiegare lo stato delle cose, come ad esempio il fatto che da almeno una decina d’anni i reati sono in costante calo, oppure si dovrebbero divulgare le statistiche indiscutibilmente positive dei benefici penitenziari. Invece si continuano a cavalcare le infinite emergenze tutte italiane: emergenza bullismo, emergenza prostituzione, emergenza criminalità, emergenza droga, emergenza alcol, emergenza incidenti stradali, emergenza morti sul lavoro, emergenza siccità d’estate ed emergenza alluvioni d’inverno, emergenza Alitalia, emergenza quote latte, emergenza immigrati, emergenza sicurezza e chi più ne ha più ne metta, e per ogni emergenza, naturalmente, si propone una adeguata “cura”: la creazione di qualche nuova fattispecie di reato oppure, e non so quale tra i due mali sia il peggiore, si inaspriscono le norme già esistenti, anche quelle come la Gozzini che (e i numeri sono assolutamente chiari) funziona nella quasi totalità dei casi. Insomma, invece dell’acqua sembra che sul fuoco si preferisca spargere benzina, tanto poi si trova sempre, o almeno si promette, il giusto rimedio per ogni male. “Paura: datemi un incubo… e vi governerò il mondo”, recita la locandina di un prossimo spettacolo del comico (si noti bene: comico) Antonio Albanese nei panni, appunto, del fantasioso (?) ministro della paura… Che sia davvero solo uno scherzo? |
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