Ci si può suicidare perché spaventati dalla propria coscienza

 

di Marino Occhipinti, dicembre 2007

 

Dopo il suicidio del ragazzo albanese non mi meraviglia tanto la reazione del figlio delle vittime che accusa quella persona di essere “sfuggita” alla pena suicidandosi, perché io credo che le vittime di reati così gravi abbiano il diritto di dire qualsiasi cosa, non mi sorprende la reazione dell’opinione pubblica oppure i tanti commenti sentiti per i telegiornali. Quello che davvero mi sorprende è la reazione di alcuni detenuti, che alla notizia del suicidio dicevano: “Ma sì, era ora! anzi lo doveva fare prima …”. Riesco a capire commenti simili provenire da persone libere, ma quelle di quei detenuti mi sembrano affermazioni pesanti, soprattutto perché siamo noi i primi ad aver sbagliato e quindi dovremmo essere gli ultimi a giudicare, ma soprattutto a giudicare una persona che è appena morta.

Io qui dentro mi guardo intorno e vedo persone condannate come me per reati gravissimi, ma non riesco a giudicarle, non riesco a dire di nessuno di loro “Quello è un mostro”, forse perché conosco le persone, forse perché ci si frequenta, forse là fuori le persone sono autorizzate a giudicare, ma qui dentro credo che sia una cosa sbagliata. Le persone fuori ascoltano i telegiornali, si fanno una loro opinione attraverso i media, e quindi danno un giudizio a senso unico, mentre noi dentro in carcere ci conosciamo e vediamo le nostre storie, quanto siano particolari e difficili, e forse dobbiamo essere più consapevoli che la vita è complessa e che non si può giudicare da una unica azione.

Se poi si vuole discutere dei motivi che questa persona poteva avere per suicidarsi, io credo che la cosa sia troppo soggettiva, nel senso che ognuno di noi vede il proprio reato in modo diverso. C’è chi lo giustifica e trova delle scusanti, magari ritenendo di aver ucciso per vendicarsi di un torto grave subito. Poi c’è chi non riesce neppure a comprendere la propria azione, non sa spiegarsi come ha fatto ad arrivare a un gesto così violento, e c’è chi trova difficile confrontarsi con quello che ha fatto, e io credo che sia questo il caso della persona suicidata. Allora io credo che lui abbia deciso di morire per sparire, per sfuggire, ma non per sfuggire alla pena, bensì per sfuggire alla difficoltà di comprendere il proprio gesto. La mia impressione è che questa persona che si è uccisa non perché spaventata dal carcere, ma perché spaventata dalla propria coscienza. Perché sono convinto che il peso più grave non è quello del carcere, ma quello dei rimorsi, del convivere con le proprie responsabilità.