Se solo ci fosse una migliore interazione nei rapporti

fra le persone recluse ed i loro famigliari…

 

Di Marino Occhipinti, ottobre 2001

 

Sarebbe importante allora tornare a parlare di "stanze dell’affettività", luoghi nei quali si potrebbe anche semplicemente abbracciare in maniera più intima e naturale un figlio, una moglie o un genitore

 

Nei numeri precedenti del nostro giornale abbiamo parlato molto di rapporti tra genitori detenuti e figli, ma l’argomento è tutt’altro che chiuso. Qui ospitiamo un altro intervento di un detenuto, utile anche perché torna a parlare di una questione purtroppo già dimenticata da chi dovrebbe occuparsene, quella delle cosiddette "stanze dell’affettività" nelle carceri.

 

La novità, qui al Due Palazzi, è apparsa proprio oggi. Quando ho notato il "capannello" di persone che davanti alla saletta leggevano uno dei consueti avvisi, ho immaginato che non poteva trattarsi della solita variazione dei prezzi della spesa e neppure della proposta di qualche nuovo corso: l’interesse ed i commenti soddisfatti dei presenti mi hanno fatto capire che l’argomento verteva su qualcosa di ben più importante.

Se gli avvisi riportassero anche le notizie sportive e di cronaca, avrei pensato ad uno dei "tormentoni" di questi giorni: il passaggio di Zidane dalla Juve al Real Madrid, il G8 di Genova, o magari una concreta possibilità di amnistia ed indulto.

Nulla di tutto questo, invece, ma solo la possibilità di effettuare, seppur in via sperimentale, i "colloqui all’aria aperta".

A qualcuno, soprattutto a chi è da poco in carcere, a chi ha la previsione di rimanervi poco tempo, oppure a chi non effettua colloqui, la notizia non sarà parsa gran cosa, ma sono certo che la maggioranza dei "ristretti" avrà accolto con entusiasmo il passo avanti in fatto di rapporti con i famigliari.

Personalmente ho avuto un flash che mi ha riportato indietro di sette anni, e ho rivisto la possibilità di trascorrere qualche ora in un giardino con mia moglie e le mie figlie, com’era consuetudine quasi ogni pomeriggio quando il clima lo consentiva.

Quando sono stato arrestato Sofia e Camilla (i nomi sono di fantasia) avevano tre e sei anni, ora dieci e tredici, ed in questi sette anni sono molto cambiate, soprattutto fisicamente: Sofia era grassottella, con i capelli corti ed i dentini storti per il ciuccio sempre in bocca che le aveva deformato il palato; ora è un figurino, i capelli lunghi ed i denti quasi perfetti. Il carattere è rimasto lo stesso, sempre affettuosa, simpatica e "sbarazzina". Ogni volta che ci vediamo vuole essere coccolata e devo raccontarle le cose che facevamo quando era piccola, alcune le ricorda ed altre le ha oramai dimenticate. La notte spesso si svegliava, mi chiamava e battendo la manina sul letto mi diceva: "Papà, papà, veni, c’è potto…", così da dormire assieme.

Camilla è una splendida signorina, sempre più bella e molto sensibile, ma con un carattere spigoloso e ribelle che denota in maniera esasperata tutto il suo disagio interiore. Ha assorbito in maniera enormemente traumatica tutta la mia vicenda giudiziaria, ne mostra chiaramente le angosce e le paure, non accetta il distacco di quel cordone ombelicale virtuale che, fortunatamente, ci tiene uniti nonostante tutto. Quando mi racconta le simpatie per qualche amichetto o compagno di scuola, credo che mi si legga in faccia la classica gelosia del papà nei confronti della figlia femmina. Si confida molto con me, cerca il mio appoggio e mi scrive lettere bellissime, per le quali pretende risposte riservate, solo per lei, che non devono essere lette da nessun altro componente della famiglia.

Ha avuto un bruttissimo lungo periodo, legato alla mia detenzione e quindi alla mia mancanza, che le ha provocato "crisi epilettiche - convulsive da angoscia di separazione dal padre", che il consulente del Tribunale, nella relazione redatta allorquando presentai richiesta di permesso per incontrare Camilla fuori dall’ambiente carcerario, descrisse esattamente così: "… la conferma viene offerta da quanto avviene nel periodo post - critico (cioè nel periodo successivo ad una crisi epilettica) quando cioè Camilla esprime comportamenti incongrui e dissonanti, talora francamente confusi, ma che documentano sostanzialmente il disagio dei vissuti interiori, costantemente legati alla figura paterna che comunque ha mantenuto in lei una presenza ed un significato importanti (in queste occasioni talora Camilla si rinchiude in un armadio o comunque in un ambito angusto, quasi a voler condividere con il padre la condizione di restrizione e di costrizione).

È ovvio quindi che una migliore interazione ed una più facile disponibilità relazionale con il padre potrebbero rivelarsi decisivi per il ripristino di un migliore equilibrio psicoaffettivo e comportamentale e riflettersi quindi favorevolmente anche sul decorso della malattia …".

Anche Camilla, spesso, mi chiamava la notte; dormiva sulla mia pancia, arricciandosi continuamente i miei capelli fra le dita, abitudine, quest’ultima, che ha mantenuto tuttora quando ci vediamo. Quando sono stato condannato all’ergastolo ha quasi fatto finta di nulla, salvo aggirare l’ostacolo chiedendomi se il mio coimputato, al quale è stata inflitta la medesima pena, sarebbe dovuto morire in carcere. La domanda diretta, probabilmente, sarebbe stata troppo dolorosa per entrambi.

Tornando ai "colloqui all’aria aperta", potrei aggiungere un sacco di belle parole, frasi fatte e considerazioni sull’importanza di effettuare colloqui in maniera meno traumatica possibile, così da non creare sofferenze ed angosce ai propri cari, ma sarebbero comunque riflessioni "di parte".

Lo spunto di discussione migliore è, invece, proprio quello del consulente del Tribunale, quindi persona "neutra", nella parte conclusiva della relazione, laddove consiglia di favorire una migliore interazione ed una più facile disponibilità relazionale con il padre.

In questo contesto trova perfetta collocazione il progetto, purtroppo rimasto tale, legato alle "stanze dell’affettività", che i media ed i vari organi di informazione ribattezzarono, maliziosamente e volgarmente, le "stanze del sesso", luoghi nei quali, invece, si sarebbe anche semplicemente potuto abbracciare in maniera più intima e naturale un figlio, una moglie o un genitore, con enorme beneficio psicofisico di tutti. Linfa vitale che consentirebbe di tenere vivo il rapporto che, con il passare degli anni e con le conseguenti difficoltà, può facilmente arrivare al distacco.

Mi piacerebbe tanto si realizzasse una statistica/ricerca, forse un po’ singolare, sulla sopravvivenza dei legami famigliari, in particolare marito - moglie, fra i paesi che prevedono le stanze dell’affettività e non: sono certo che l’ago della bilancia penderebbe decisamente a favore della prima ipotesi, con evidente facilitazione di reinserimento nella società delle persone ristrette, a vantaggio della collettività tutta.

 

Colloqui all’aria aperta, dicevo, ed a costo di apparire patetico voglio concludere queste mie poche considerazioni esternando il pensiero che sento nel cuore: "Forza Camilla, presto potremo abbracciarci e magari sederci sull’erba di un giardino, affinché tu non debba più rinchiuderti in un armadio e pagare per colpe che non hai".