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In ricordo di Giuliano, morto in galera a 74 anni
Se la salute in carcere è a rischio per tutti i detenuti, lo è doppiamente se una persona è anziana
Giuliano è morto in carcere, a 74 anni, pare per un’allergia. La prima cosa che viene in mente è che, se la salute in carcere è a rischio per tutti i detenuti, lo è doppiamente se una persona è anziana, e quindi più fragile e scoperta di fronte alla malattia. Ci piace almeno pubblicare il ricordo di un suo compagno, perché resti qualcosa di un uomo che è stato espropriato di tutto in un’età in cui si vorrebbe possedere qualcosa e godersi una vita più sicura e serena, e anche perché emerga con chiarezza che in carcere le persone fanno di tutto per mantenere integra la loro umanità, a dispetto di condizioni di vita che troppe volte di umano hanno ben poco.
di Marino Roviera, agosto 2004
Caro amico Giuliano, consentimi di appropriarmi di questo titolo postumo che, ora, mi pesa non averti riconosciuto in vita. Sono giunto a Padova dieci mesi or sono convinto di aver subito un’ingiustizia e mi sono chiuso in me stesso perché trovavo inutile, dopo 26 anni di galera, continuare ad affezionarmi a persone che non rivedrò poi più, quindi anche tu sei rimasto vittima di questa mia decisione. Mi fa ancor più male questo mio atteggiamento perché ho constatato che nei tuoi confronti l’indifferenza era anche di chi ti doveva invece un interessamento. Ti vedevo passare tutte le mattine su e giù per la sezione per racimolare qualche sigaretta, ma da me non ti sei mai fermato forse perché dissuaso dalla mia espressione truce o, più probabilmente, perché, da persona sensibile qual eri, avevi capito e rispettavi la mia scelta. In tanti mesi ti sei fermato due volte, forse perché eri più disperato del solito: ti diedi le sigarette ma chiusi la porta a qualsiasi dialogo. Poi iniziai a lavorare e, almeno in parte, fui costretto a rivedere la mia scelta; tu rinunciavi alla pietanza ma ti faceva piacere un mestolo in più di pasta e io ti accontentavo volentieri. Un giorno mi fermasti: “Marino, ho finalmente ricevuto la pensione, per qualsiasi cosa tu abbia bisogno vieni da me”. Fui colpito da queste tue parole: cosa avevo fatto per meritarmi una simile riconoscenza? Naturalmente mi guardai bene dall’accettare questa offerta, ma mi avevi incuriosito e così mi interessai a te., Venni a sapere che avevi 74 anni (tu in doccia, nostro unico punto d’incontro, scherzavi dicendo di averne 37, e poi, con una risata, aggiungevi “per gamba”), che ti eri costituito, venendo dalla Spagna dove vivevi, per una pena definitiva vecchia di 20 e più anni; la tua salute era precaria, se mi passi questo eufemismo, e non avevi nessuno all’esterno che si interessasse a te. La giustizia è una macchina crudele, scevra di sentimenti, una fredda calcolatrice - colpa = espiazione -, che non si è sentita in dovere di andare a vedere che eri un anziano malato e non in condizioni di nuocere alla società, anzi con gli anziani si sente esentata anche dal dovere di tentare un reinserimento futuro., Dicono che la pena non deve essere una vendetta ma un periodo di riflessione che possa portare a un ravvedimento… dicono! Mi chiedo di cosa potevi ravvederti a 74 anni e in quelle condizioni. Ogni tanto alla mattina eri irriconoscibile tanto eri gonfio, ma credo che nessuno si sia preso la briga di verificare davvero i motivi di questo: per loro eri unicamente la matricola 5560. Credo che tu fossi un uomo orgoglioso e giusto: ho saputo che Ilirian, che si era affezionato a te, ti aveva proposto di passare in cella con lui, così ti sarebbe stato vicino prendendosi cura di te, ma tu hai rifiutato consapevole di avere un carattere impegnativo. Eri solo, ma fiero, e non accettavi pietismi. Venendo a conoscenza della mia fede bianconera ti compiacevi di parlarmi della nostra Juventus, ma ciò che non dimenticherò mai è il tuo modo di salutarmi. Quando mi vedevi passare davanti alla tua cella, i tuoi limpidi occhi azzurri comunicavano la gioia sincera del tuo saluto che aveva il potere di scaldarmi il cuore: tu che non avevi nulla possedevi ciò che pochi hanno. Una mattina di qualche settimana fa ci siamo svegliati e tu non c’eri più, nella notte alle prime ore di ferragosto sei stato male e ti è stato concesso tutto il tempo necessario per morire. Ho la sensazione che l’indifferenza ti abbia accompagnato anche in quest’ultimo passo, per frantumarsi, solo poi, in una tardiva presa di coscienza. In parecchi di noi hai lasciato un grande vuoto perché ci siamo resi conto, una volta di più, che qualsiasi essere umano, bianco o nero, ricco o povero, deviante o onesto, è una miniera in cui non si è attinto mai abbastanza. Queste poche righe vogliono essere un ricordo che spero ti accompagni, ovunque ti abbiano sepolto. |
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