Non voglio che mia figlia sappia che mi trovo in galera,

per questo ho rinunciato a vederla

 

Di Marco, luglio 2001

 

So per esperienza personale che affrontare l’argomento dei figli, per un detenuto, non è affatto facile. Non esiste alcuna regola al riguardo, e ognuno dei detenuti, con cui affronti il discorso, ha una sua ragione su come ha impostato questo problema.

Per esempio, c’è chi ha più figli, e i più grandi sono a conoscenza del fatto che il padre è in carcere, magari senza conoscerne il motivo, i più piccoli non lo sanno e pensano che il padre sia lontano per motivi di lavoro. Nella maggior parte dei casi invece, e questo lo si capisce benissimo andando ai colloqui, finisce che anche i più piccoli lo sanno, perché lo vedono e vivono loro stessi questa situazione.

Mia figlia ha nove anni e non sa che io sono in carcere; ora, che da sei mesi sto scontando una pena definitiva, le è stato detto che mi trovo all’estero dove lavoro e per il momento non posso ritornare. Prima, mentre ho trascorso diciannove mesi agli arresti domiciliari, veniva a trovarmi, poiché Elena, così si chiama la mia bambina, non vive con me, ma con sua mamma da cui io sono separato da circa quattro anni. Me la portava mia madre uno o due pomeriggi alla settimana, e posso giurare che quelli erano i momenti più belli e importanti per me.

Comunque so che prima o poi dovrò dirle la verità, senz’altro quando lei sarà più grande, perché non è giusto che mia figlia venga a sapere da altri o in maniera traumatica il passato del proprio padre: sarebbe solo una grande delusione che, sono convinto, porterebbe alla perdita di quella fiducia e quel rispetto, che sono innati in un figlio verso il proprio padre.