Ritorno… dove?

 

di Maher Gdoura, dicembre 2007

 

Agli italiani sembra semplice dire: “Hai commesso un reato, non basta che paghi con il carcere, devi tornartene al tuo paese”. Certo, in patria abbiamo le nostre famiglie, casa nostra, ma non è per niente facile la prospettiva di tornare lì. La parola “ritorno” ad un emigrato suscita molta ansia, a volte lo fa proprio spaventare, soprattutto quando ha trascorso gran parte della sua vita in un Paese che ora non lo accetta più. Mi ricordo del mio arrivo in una città europea nel 1991: ero in grande disagio e per capire le abitudini, la mentalità, il modo di vivere, il linguaggio, il ritmo di quella città sono trascorsi mesi e mesi. Ma quando sei ancora un ragazzo, gli anni passano senza che tu te ne accorga. Dopo nove anni però la nostalgia dei miei era diventata davvero troppo forte, allora sono tornato nella mia patria. Credevo che sarei stato bene, a mio agio, felice di rivedere le persone care, e invece ho trovato tutto cambiato… dovevo imparare ogni cosa daccapo!!!

Poi ho riflettuto un po’ e ho capito che ero io ad essere cambiato, la mia testa ora ragiona metà europeo e metà tunisino. Certo era una grande gioia per me abbracciare i miei e il mio fratellino, vedere il resto della mia famiglia, camminare sulla mia terra, sentire il profumo mediterraneo mischiato a quello del gelsomino, passeggiando sulla sabbia dorata in compagnia di una ragazza bella e dolce. Ma il mio cuore non si metteva in pace, mi sentivo un estraneo, dovevo tornare in Europa, era lì la mia vita, ormai sono abituato a vivere da migrante. E così, sono partito un’altra volta e al mio arrivo in Europa però ho provato la stessa sensazione: ti manca sempre qualcosa, non stai bene né di qua, né di là…

Adesso mi domando sempre se ci sarà un capolinea per me, se riuscirò a fermarmi da qualche parte e a sentirmi a casa, ma mi fa soffrire l’idea che siano gli altri a dirmi che qui non posso stare, che non è sufficiente che mi sia fatto anni di galera, devo anche andarmene, tornare in un luogo in cui mi sentirei ancora più estraneo e senza identità.