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L’ascolto delle vittime e l’assunzione di responsabilità “Vorrei poter entrare in contatto con la famiglia della persona che ho ucciso” Lettera aperta a Silvia Giralucci e a Benedetta Tobagi
di Mohamed Ali Madouri, luglio 2008
Sono un detenuto della redazione di Ristretti Orizzonti, mi chiamo Mohamed e vengo dalla Tunisia. Ho assistito all’intervento di te Silvia al convegno e poi all’incontro in redazione dove siete venute insieme. Cerco di riassumervi la mia storia prima di spiegarvi perché vi scrivo. Quando sono diventato maggiorenne, ho lasciato il mio paese per immigrare in Europa, per costruire il mio futuro e aiutare la mia famiglia, però le cose non sono andate bene perché dopo pochi giorni dal mio arrivo in Italia mi sono trasformato in un’altra persona. Sono entrato nella strada della criminalità e mi sono messo a spacciare da solo. Ma in quella zona vi erano parecchi che facevano lo stesso lavoro, e la mia presenza cominciò a disturbarli finché una notte, senza alcun preavviso, mi hanno fatto un agguato, ho preso due coltellate e sono caduto a terra. Allora uno di loro si è chinato sopra di me e mi ha sfregiato, ordinandomi di lasciare il posto. Il taglio era profondo e ha deturpato irrimediabilmente il mio viso. Da quel giorno la mia vita, che già stava andando su un binario sbagliato, è cambiata ancora in peggio: non ero più io, mi sono lasciato andare al bere, alla rabbia e all’odio accumulati giorno dopo giorno verso l’uomo che mi aveva sfregiato. A lungo ho sperato che i miei aggressori avessero capito il loro errore e cercassero di rimediare con me per aggiustare le cose, speravo che venissero a chiedermi scusa perché sinceramente non avevo l’intenzione di fare la guerra con loro. Devo dire che immaginavo che, se non si risolveva la questione, prima o poi andava a finire male, ed è quello che tragicamente è successo, e cioè ho ucciso la persona che mi aveva rovinato tagliandomi la faccia. Confesso che negli anni subito dopo il mio crimine ero convinto di aver fatto la cosa giusta. Tutti quelli che conoscevo e sapevano come erano andate le cose mi dicevano che avevo fatto bene, e qui in carcere ho trovato l’approvazione anche di qualche agente. Non so se siete d’accordo con me ma anch’io credo di essere stato, almeno in parte, una vittima, per quello sfregio che ho subito che mi ha rovinato la faccia e la vita, e anche la mia famiglia lo è stata, e lo è anche adesso, però oggi sono consapevole che il male che ho causato alla madre della persona che ho ucciso e al resto della famiglia è molto più elevato di quello che ho vissuto e sto vivendo io. Quando infatti ho iniziato a frequentare la redazione di Ristretti Orizzonti e sono entrato in quel clima di confronto che ci ha poi portati a discutere del nostro rapporto con le vittime, ho cominciato a ragionare, e mentre prima non me ne fregava niente della persona che ho ucciso e della sua famiglia, proprio per le ragioni che ho già detto, adesso, anche grazie a Ornella che ci bacchetta ogni giorno, mi sono convinto che non sono io la vittima, ma che le vere vittime sono i famigliari della persona che ho ucciso. Da lì ho cambiato atteggiamento e ho cominciato a vedere quello che ho fatto con più serietà e con responsabilità. Ecco perché, con serenità, avevo preso l’iniziativa di scrivere un articolo, che poi è stato pubblicato sulla nostra rivista, dove parlavo di questo mio cambiamento, che mi ha anche fatto ricevere un sacco di complimenti dai miei compagni per il coraggio di averlo messo nero su bianco. Poi l’incontro con la signora Olga D’Antona ha lasciato il segno in tutti noi e ricordo che un mio paesano si è messo a piangere, perché ha visto in quella signora la madre del ragazzo che ha ucciso, e mi sono commosso anch’io.
Riusciremo a buttar giù il muro che ci separa dalle persone che odiamo?
Oggi invece non sono del tutto sereno mentre vi scrivo questa lettera, anzi lo sto facendo proprio perché l’incontro con voi mi ha sollevato delle perplessità. Come dire, mi sono un po’ spaventato quando, a un certo punto della discussione, si è parlato di mediazione e voi da quello che ho capito, siete contrarie e non solo, non volete neanche discutere soprattutto con le persone che hanno ucciso i vostri padri. Io non so se sono la persona adatta per esprimere un parere, ma voglio lo stesso dire una cosa, e cioè che spero che diventi naturale, arrivati a un certo punto della vita, buttare giù il muro che ci separa dalle persone che odiamo, o che comunque ci hanno fatto del male. Vivere con delle pareti stanca, e a un certo punto viene istintivo uscire fuori e cercare di vedere in faccia le persone che quel muro ha tenuto lontane per anni e anni. Faccio questa riflessione perché l’incontro in redazione con voi mi ha aperto un mondo nuovo, perché ho avuto tante risposte alle domande che mi facevo da anni. Io da qualche mese ho iniziato ad andare in permesso premio, e devo confessare che ascoltando prima le discussioni in redazione, e il confronto con Olga D’Antona, e adesso anche le vostre testimonianze, ho deciso di farmi avanti per contattare la famiglia della persona che ho ucciso e chiedere scusa. Così, appena sono uscito in permesso ho parlato con un mio amico che conosce i famigliari della mia vittima, che sono anche loro come me tunisini, e gli ho chiesto di fare da mediatore. Lui in qualche modo ha iniziato a parlare con il fratello della vittima per vedere se c’era la possibilità di fare questa mediazione e mi ha fatto sapere che le cose stanno andando bene, e adesso la speranza è che, al prossimo permesso, io possa per la prima volta comunicare telefonicamente con loro. Non sarà facile per me, ma immagino che sarà una cosa ancor più difficile per loro, però in qualche modo bisogna iniziare per arrivare ad una riappacificazione, e poi magari ad una vera riconciliazione e ad un incontro faccia a faccia, perché io sono convinto che solo così loro potranno vivere più sereni senza avere intorno il muro dell’odio che li soffoca da dieci anni. Non so come andrà a finire questa cosa, ma comunque vada vi voglio bene per quel che mi avete insegnato e per il coraggio che mi avete dato. |
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