|
Assetato di affetto Da quando è morto mio padre mi sono fissato che devo fare un colloquio con mia madre, perché soltanto a guardarla negli occhi potranno sparire i cattivi pensieri che vengono a visitarmi tutte le sere
di Mohamed Madouri, novembre 2006
Quando mi hanno arrestato avevo ventitre anni e al processo mi hanno condannato a ventitre anni di reclusione. Appena ho sentito la condanna che mi hanno inflitto, il mio pensiero non era solo per la mia vita che avevo appena rovinata, o per come avrei fatto a passare tutti quegli anni chiuso in una cella. Pensavo ai miei genitori perché alla perdita della libertà si aggiungeva la condanna di non vedere più mio padre e mia madre. Ero consapevole di aver perso la cosa più preziosa che avevo. Quando telefonavo e c’era mio padre all’apparecchio, non resisteva più di dieci secondi, giusto il tempo di dirmi ciao e sentire la mia voce. Poi passava l’apparecchio a chi gli stava vicino, che era altrettanto consapevole di avermi perso per sempre. Oltre alle telefonate c’erano anche le lettere che mio padre mi scriveva, di poche righe, che si concludevano sempre dicendo: “Spero di vederti prima di morire”. Un desiderio mai realizzato e spento insieme a lui sei anni fa. La sua morte mi ha rattristato moltissimo, mi fa stare male continuamente l’idea di non averlo salutato per l’ultima volta, almeno essere stato presente al suo funerale, essere stato vicino a mia madre e alla mia famiglia. In quei giorni, invece di essere a casa, mi trovavo lontano e solo, in una cella. Mi sentivo impotente perchè l’unico conforto che potevo dare a mia madre e alla mia famiglia era una telefonata di sei minuti alla settimana (il nuovo Regolamento ha “allungato” le telefonate di quattro minuti, “ben” 10 minuti per parlare con tutta la famiglia e “saziarsi” di affetto per tutta la settimana). Ma per fortuna che mia madre ha un carattere forte e piano piano mi ha aiutato ad uscire da quella malinconia. Da quando è morto mio padre mi sono fissato che devo fare un colloquio con mia madre. Ho come una sete di amore verso di lei, una voglia di abbracciarla e di baciarla. La nostalgia mi distrugge. Le telefonate non bastano, ma soltanto un contatto fisico, guardarla negli occhi, potrà alleviare la sofferenza che sento, e farà sparire i cattivi pensieri che vengono a visitarmi tutte le sere quando appoggio la testa sul cuscino. Quei pensieri che mi fanno visita ogni sera e che io cerco di respingere. Non li voglio nella mia testa e ogni sera mi trovo a fare i conti e a combattere con loro. La nostra è una lotta continua, la maggior parte delle volte vincono loro e mi fanno fare le notte in bianco, e la mia mente rimane sempre ancorata al brutto presagio e al timore di non poter fare mai un colloquio con mia madre e salutarla per l’ultima volta. Mi alzo dal letto alle tre o alle quattro di notte e mi attacco alla finestra della cella a contare le stelle per svuotare la mente dagli incubi. Però qualche volta riesco a sconfiggere i cattivi pensieri, specialmente dopo aver fatto la telefonata a casa mia ritorno in cella e mi immagino mentre gioco a pallone sulla riva del mare con i miei nipoti che conosco solo tramite le fotografie. Qualche volta mi immagino preparare una bella pizza o una bella torta a mia madre nel giorno del suo compleanno, e lei che mi guarda stupita e sorridente ed io che mi sento al settimo cielo. Qualche volta mi immagino mano nella mano con la mia ex ragazza mentre passeggiamo in centro, e poi in uno dei vicoli dove non passa tante gente ci abbracciamo e ci baciamo teneramente, ma qualche volta la immagino anche con un bel vestito bianco da matrimonio ed io di fianco a lei sull’altare. Ormai sono vent’anni che la mia famiglia non si riunisce al completo perché manco io. Gli unici vaghi ricordi risalgono alla festa del sacrificio del 1986, quando mio padre appendeva l’agnello all’albero di fichi nel nostro giardino, poi con l’aiuto dei miei tre fratelli tagliava la carne e la passava a mia madre, che la metteva sopra la griglia con l’aiuto di mia sorella. Mio padre mi faceva mangiare la milza cruda perché spettava a me, ultimogenito. Quella festa è stata l’ultima volta che io, mia sorella, i miei fratelli con i nostri genitori ci siamo riuniti a casa. Oggi, in casa mia ognuno ha preso la sua strada e niente è rimasto come allora, anche il giardino e l’albero di fichi non ci sono più. Pensando a questi ricordi mi accorgo che non mi sono saziato abbastanza della mia famiglia, e la privazione del loro affetto mi fa sentire orfano. |
|