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Liberante extracomunitario
Tutte le sofferenze che la detenzione ha portato con sé, per uno straniero offuscano la gioia della libertà ritrovata
di Mohamed Ali Madouri, ottobre 2005
Dopo il rispetto e l’amore che ti ho dato, mi hai tagliato fuori dalla tua vita. Malgrado il passare degli anni e malgrado io abbia riposto in te tutte le mie speranze e i miei sogni, tu mi hai deluso. Ma io non sono capace di dimenticarti. Io sento quello che senti tu e soffro delle tue sofferenze, e Dio sa quanto sono triste per la tua lontananza, e perché sei finito in carcere. Soprattutto perché tu sei una parte di me. Ho pregato Dio di far venir fuori la tua innocenza per farti così tornare qui, al tuo paese. Tu eri una persona buona e affettuosa, con il passare del tempo sei cambiato e io non so perché… Di certo, la ruota del tempo girerà, ogni inizio ha una fine. Io ti ho amato alla follia, cosicché il mio amore per te è l’unico reato che forse ho commesso e questo non lo potrò mai negare…
Questa è una delle tante lettere scritte da ragazze, fidanzate o mogli che abitano in terre strane e lontane. È una lettera che è stata scritta da una ragazza tunisina al suo fidanzato nel 1997, quando lui aveva già scontato tre anni di galera e ne aveva altri otto da fare. Lui non ha mai trovato il coraggio di rispondere, perché non aveva affatto le idee chiare. Era entrato in un tunnel buio e non riusciva a vedere la luce nel fondo. Pensava sì alla ragazza alla quale lo legava un amore puro, una delle poche belle cose che gli erano capitate nella vita, ma il carcere aveva bloccato la sua mente, in testa aveva tanta confusione che lo aveva portato nella condizione di non saper più reagire. Lui aveva la certezza che alla notizia della condanna la sua fidanzata non l’avrebbe aspettato. Si era arreso senza combattere per il suo amore. Lei era stata una parte di lui, un cuore che gli apparteneva sin dall’infanzia; ma lui aveva smesso da subito di lottare per lei, e l’unica cosa che aveva saputo fare era stato conservare la lettera per il resto della sua prigionia, fino all’ultimo giorno. Le sue ultime ore di galera le abbiamo passate insieme, l’ultima socialità. Avevamo appena finito di cenare quando lui ha tirato fuori dalla tasca la lettera e mi ha raccontato l’unica storia che non ha mai raccontato a nessuno… Lui ha 29 anni e ha appena espiato per intero una condanna a undici anni di carcere. Io ho condiviso con lui gli ultimi quattro anni finché, il 28 maggio 2005, ha finalmente riacquistato la libertà. La mattina del suo ultimo giorno di galera, alle otto e mezza, vedo questo mio “compagno di viaggio” spuntare davanti alla cella dandomi il buongiorno e nascondendo nel suo sorriso tante emozioni, come se gli dispiacesse essere arrivato alla sua fermata di fine corsa e dover scendere lasciandomi ancora per molto tempo sul treno della sofferenza. I suoi occhi sprigionano la felicità di chi, da lì a poco, assaggerà il sapore della libertà vera. Nel suo viso magro c’e l’entusiasmo di gridare al mondo ma soprattutto a sua madre e ai suoi famigliari: “Sono un uomo libero, ho pagato tutto il mio debito con la giustizia!!!”. Conoscendolo lo immagino dopo un’ora di libertà con una birra in mano, ubriaco di gioia, in una cabina telefonica che versa lacrime su lacrime chiacchierando con i suoi cari. Dal suo viso serio e dai respiri profondi che faceva ho visto un uomo che vuole recuperare i lunghi anni svaniti nel nulla, sciupati in una cella; che vuole riprendere il rapporto con i suoi famigliari; che vuole recuperare gli affetti, il sesso, i legami amorosi, la privazione dei quali è la peggiore punizione che una persona detenuta subisce. Ma soprattutto vuole riavere l’amore della sua fidanzata che gli ha scritto questa lettera senza avere avuto mai una risposta. Vuole continuare la storia interrotta con l’unica ragazza che ama e ha sempre amato, anche se non glielo ha mai confessato per non distruggerle la vita, dopo che la sua è andata in rovina con undici anni passati in galera. Dal suo viso turbato e impaurito, con l’angoscia e i pensieri di ogni “liberante extracomunitario”, ho capito che al momento dell’uscita c’erano mille domande che gli passavano per la testa, ma che ce n’era una unica e prima in classifica: “Adesso che ne sarà di me?”, e che da quella scendevano un’infinità di dubbi, di paure, di insicurezze: “Mi mollano o mi portano in questura?”, “Mi portano in un centro di accoglienza o mi mandano in patria?”, “Ritroverò le persone che mi hanno voluto bene?”. Con questa confusione credo che tutti gli stranieri affrontino oggi il giorno del ritorno in libertà. |
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