Quanto può essere difficile il lavoro in regime di semilibertà

 

Di Luciano Bonafini, luglio 1998

 

Mi chiamo Luciano e mi trovo in questo carcere dal 1993. Nel 1996, dopo varie peripezie, il Tribunale di Sorveglianza mi ha concesso il beneficio della semilibertà.

Nel mese di aprile, dopo esser stato messo in attesa del trattamento per chi usufruisce di tale beneficio, per circa 20 giorni, mi hanno trasferito nella Sezione Semiliberi. Comunque mi ritrovai in una cella grande da solo e me la lavai da cima a fondo perché sembrava una stalla. E iniziai così il mio percorso riabilitativo e di reinserimento nella società, andando a lavorare come restauratore di mobili, in una sede separata della cooperativa "Aurora" dove stavano attuando il Progetto Katabasi che si divideva in 4 momenti successivi.

La 1a fase era di assistenza a bassa soglia, tossicodipendenti con gravi problemi, che non avevano un posto dove andare durante il giorno, lì gli davano un pasto caldo a mezzogiorno e al venerdì lire 72.000 come gettone di presenza. La 2a fase avrebbe dovuto essere la mia, e cioè insegnare, a chi aveva problemi di inserimento, e si trattava sempre di persone che avevano anche problemi di tossicodipendenza, a restaurare mobili, abituarli ad un orario preciso e convincerli a non bucarsi più, facendosi dare dal Ser.T. il Metadone scalando le dosi. La 3a fase invece era sotto la direzione di un prete, che faceva lavorare a cottimo sia persone in semilibertà che in affidamento: si trattava di assemblare selle per le biciclette. La 4a fase, che doveva essere quella del reinserimento lavorativo e sociale, non esisteva proprio. Il sottoscritto è stato mandato proprio dove c’erano gli assistiti a bassa soglia. Per i primi 2-3 mesi, dato che avevo un certo entusiasmo, avevo coinvolto tutti gli utenti nel fare piccoli lavori col legno, tipo sedie, comodini, cose piccole, però più il tempo passava, più loro erano demotivati ed io di conseguenza pure.

La mia delusione nasceva dal fatto che mi sembrava di essere un utente anch’io: prendevo lo stesso gettone di presenza, lire 280.000 al mese, che la cooperativa spediva in carcere, di quei soldi circa lire 50.000 erano per il fondo liberazione, lire 35.000 per le spese di mantenimento carcere e io dovevo campare tutto il mese con lire 200.000 circa.

 

Piano piano ho ricominciato a farmi anch’io

Per 7-8 mesi sono andato avanti così alla meno peggio, anche perché mi sentivo sempre più demotivato, oltre al fatto che dove tenevo gli attrezzi, in gabinetto o fuori della cooperativa trovavo siringhe, filtri etc., o gli utenti si facevano in gabinetto, e piano piano ho ricominciato a farmi anch’io.

Premetto che prima che succedesse tutto questo ne avevo parlato con l’Assistente Sociale e gli operatori del Ser.T., esponendo tutti i problemi che c’erano. Promesse vaghe, ma l’alternativa era "o così o in carcere di nuovo", e io mi sono sentito in un vicolo cieco e la frustrazione mi ha portato ad impestarmi ancora con l’eroina.

A dicembre ‘96, chiusa la succursale della cooperativa dove lavoravo perché non c’era più la convenzione, mi trovai a terra completamente, anche perché non avevo più il gettone di presenza, e cominciai a vivere di espedienti fino a gennaio ‘97, quando sono crollato psicologicamente.

Decisi allora di prendere le mie cose anche dalla sezione Semiliberi e di andarmene via, cioè evadere, e così feci, soltanto che il passaporto era scaduto, inoltre me ne andavo troppo intossicato da eroina. Al Brennero, in dogana, forse avendo visto come ero conciato, mi chiesero i documenti e vedendo che era scaduto il passaporto mi dissero di rientrare da dove venivo, pena l’arresto immediato. Così feci: tornai in carcere qui a Padova 11 ore dopo l’ora in cui avrei dovuto rientrare, stravolto e psicologicamente a terra. Mi mandarono in infermeria perché non ero nelle condizioni adatte per poter stare in Sezione con i comuni, ma dopo 15 giorni mi misero in sezione insieme agli altri.

Il 28 febbraio uscii di nuovo dal carcere, perché nei trenta giorni previsti dalla legge non mi avevano fatto la Camera di Consiglio per la revoca del regime della semilibertà. Mi rimandarono nella Sezione Semiliberi ed uscii il giorno dopo senza saper dove andare se non al Ser.T., dove ritrovai la stessa situazione di prima.

Tensioni e conflitti con il Ser.T. erano all’ordine del giorno, cos’ì passò un mese e mi rinchiusero dalla semilibertà, ma ero a terra completamente e pensai anche di togliermi la vita.

In definitiva il regime della semilibertà è stato un vero fallimento, non solo per me ma nel mio caso anche per tutti quelli che hanno fatto sì che svolgessi attività lavorativa dove c’erano solo utenti del Ser.T., quasi tutti tesi a procurarsi l’eroina. Penso che invece avrebbero dovuto accertarsi dove andavo a finire e come potevo reggere a certi rischi, ma non fu così. E di quale reinserimento nel tessuto sociale si può parlare, quando un tossicodipendente si trova spesso, in una di queste misure alternative, a dover affrontare da solo anche le problematiche della sua tossicodipendenza, a volte senza un sostegno concreto? E’ quanto a me è accaduto, e io penso che questa storia possa servire a costruire dei percorsi diversi, affrontando a viso aperto anche gli errori e le debolezze delle esperienze passate.