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Il primo colloquio non si scorda mai… soprattutto se hai aspettato anni prima di poterlo fare
Di Karim, gennaio 2002
Ho rivisto mia sorella dopo sette anni; lei si è fatta tutto il viaggio da Stoccolma a Padova per vedere me, che sono detenuto da circa 2 anni. L’incontro con lei non è facile da descrivere: capisco che tutti i colloqui con i propri cari sono una cosa unica, ma io ho provato delle sensazioni che ricorderò finché avrò vita. Prima guardavo spesso ai compagni che ogni settimana vengono chiamati per i colloqui: si preparavano fin della mattina, poi scendevano a trovare le loro famiglie… non era proprio invidia la mia… però avrei voluto provare anch’io quella sensazione. Tanti miei paesani tengono nascosta alle famiglie la loro situazione e, anch’io, per ora non voglio che mia madre sappia che sono in carcere… quando telefono a casa (ogni due settimane) le racconto che sto lavorando… che non ho tempo per andare a trovarla… insomma è una sofferenza inventare sempre storie credibili. Tutto questo non lo faccio certamente per cattiveria, ma per non farla preoccupare ulteriormente. La nostra cultura fa sì che siamo molto legati alla famiglia e, anche se commettiamo i nostri errori, non vorremmo mai far soffrire i genitori, non ce lo perdoneremmo proprio! Solo mia sorella e mio fratello sanno dove sono veramente. Per telefono parlo solo con mia madre e con mio fratello maggiore, la telefonata dura poco e non riesco a dire tutto quello che voglio, o a poter sentire la voce del resto della mia famiglia. Mia sorella è in Svezia da circa quattro anni e non le parlavo né la vedevo da tanto tempo: l’avevo lasciata che era ancora piccola, una bambina di 12 anni, e mi sono ritrovato davanti una donna sposata! Nell’ultima lettera mi chiedeva indicazioni sul modo di venirmi a trovare in carcere. Io mi sono informato, tramite i compagni, che mi hanno aiutato a capire la procedura per ottenere i colloqui: in pratica, era necessario compilare il modulo della richiesta, indirizzandolo poi al direttore (essendo la mia pena definitiva). Così ho potuto inviarle una lettera con la quale le ho spiegato dettagliatamente come doveva fare, ma fino all’ultimo momento non ci credevo… Quando, quel giovedì pomeriggio, l’agente mi ha chiamato per il colloquio era come se mi stesse chiamando per uscire in libertà: ho fatto la doccia veloce come un fulmine, ho messo il miglior vestito, ho procurato dolci, bibite, caffè, come avevo visto fare a tutti gli altri quando devono incontrarsi con i parenti. L’ora di questo incontro l’avevo immaginata, ma mi sembrava una cosa impossibile da realizzare: la lontananza, la burocrazia, il costo e la fatica e, non ultima, anche la difficoltà di comprensione della lingua con le autorità italiane erano tutti impedimenti che mi sembravano insuperabili. Ma forse la tanta volontà di ritrovare una persona cara è bastata a superare tutte le avversità… anche oltre alle mie più ottimistiche fantasie. Ero lì, di fronte a mia sorella e a suo marito, eravamo così presi dall’emozione che quasi non siamo riusciti a parlarci, lei ha pianto per tutte le 2 ore… non sapevo se era per sfogare l’emozione del momento, se per gioia o per inquietudine, ma probabilmente tutte queste cose si fondevano, bloccando le parole. Mi toccava, come per assicurarsi che fossi davvero presente, che stessi bene (mi vedeva dimagrito), con una preoccupazione quasi materna. Io ero interdetto, incerto tra farle una smorfia di sorriso e mostrarle tutto il mio stupore: quando l’avevo lasciata era una bambina e ora sembrava diventata mia madre, con le sue stesse preoccupazioni e ansie. Così sono passate le prime due ore… senza quasi che ci accorgessimo del trascorrere del tempo, per fortuna avevo chiesto di fare altre due ore di colloquio il giorno dopo, venerdì, e un’altra ancora per il sabato: con una semplice richiesta al direttore tutto questo mi è stato accordato, anche perché sanno che, da quando sono detenuto, non avevo mai fatto un solo colloquio. Quando sono risalito in sezione, quel giovedì pomeriggio, mi sono rinchiuso in cella… a ricordare, momento per momento, l’incontro appena terminato. Non ho mangiato, non sono riuscito neanche a guardare le televisione, ero tutto preso a conservare gelosamente quei momenti indimenticabili. Io vi racconto questo perché per me è stata un’emozione fortissima, non avrei mai immaginato di poter essere così felice da detenuto: il carcere per me rimane un luogo di sofferenza, però è bastato rivedere mia sorella, dopo così tanto tempo, perché in me tornasse la certezza di riabbracciarla, presto, fuori di qui.
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