Come sono "sbarcato" in Italia...

 

Mi ricordo bene quei miei connazionali che tornavano al paese con automobili di ogni tipo e con vestiti all’ultima moda

 

Di Karim Ayari, novembre 2001

 

Ho amato molto la Tunisia, come fosse mia madre. A scuola ci insegnavano che la patria ha bisogno di ciascuno di noi ed io pensavo che "la patria" ci dovesse anche aiutare invece, crescendo, mi sono accorto che non era vero: i miei genitori soffrivano tante privazioni, per cercare di darmi una vita migliore della loro.

Iniziai a lavorare molto giovane, accettando qualsiasi fatica, pur di vedere la felicità dei miei genitori. Facevo il cameriere di bar e dovevo sopportare, ogni notte, le pretese e le scenate dei clienti ubriachi.

In quel bar ho assistito a tante cose schifose: poco più che bambino, vedevo e sentivo tutto il peggio che gli uomini possano esprimere sotto l’effetto dell’alcool, ma non avevo nessuna intenzione di lasciare il lavoro, col quale potevo aiutare la famiglia.

Così continuai a lavorare, tutti i giorni, per tutto l’anno, senza neanche un riposo, e soprattutto durante l’estate, quando arrivavano i turisti, io dovevo massacrarmi di fatica. Guardavo con tristezza gli amici che si divertivano, mentre io lavoravo. Ma soprattutto guardavo con stupore i turisti europei e gli emigranti che ritornavano in Tunisia per le vacanze.

Arrivavano con automobili di ogni tipo, con vestiti all’ultima moda, ed io lavoravo per tutto il mese senza riuscire a comperare un paio di pantaloni, o di scarpe di marca, perché sarebbero costate più del mio stipendio. Questi paragoni, questi sogni di benessere, hanno rovinato la mia vita, come hanno rovinato quella di tanti altri ragazzi tunisini: i "signori", che arrivavano dall’Europa, era come arrivassero da un altro pianeta.

Cresciuto in una famiglia povera, di fronte a questo, ho sentito la necessità di cambiare, di fare un salto in avanti nella vita, così ho deciso di emigrare all’estero e di mettere alla prova la mia fortuna.

Ricordo, come fosse oggi, il giorno in cui presi la decisione: mentre servivo due clienti, che conoscevo bene e sapevo che lavoravano come scafisti, sentii che stavano per partire con un "carico" di 50 persone.

Senza pensarci due volte chiesi se potevo partire anch’io, assieme a loro, naturalmente versando la tariffa per il viaggio: 700 dinari (pari a 1.200.000 lire italiane). Mi risposero subito di sì, al che lasciai il bar, di corsa, e mi precipitai al mio quartiere, per cercare il modo di mettere assieme i 700 dinari. Per me erano tanti, credetemi, non ero mai riuscito ad avere quella somma in mano, tutta in una volta, perlomeno.

Quella sera la trascorsi in una ricerca drammatica e frenetica del denaro, aspettando solo che arrivasse il momento di ritrovare quelle persone. Il giorno dopo tornai al bar verso le sei di sera: avevo soltanto 150 dinari e glieli diedi, come anticipo. Seppi così che la loro partenza era fissata per l’indomani sera.

Cercai di essere molto gentile con gli scafisti, pagai loro anche le consumazioni, però il momento della partenza era vicino e non avevo modo per pagare il resto del pedaggio. L’unica soluzione che seppi escogitare fu quella di fingermi disposto a tutto, pur di realizzare il sogno di emigrare: portai loro una falsa collana d’oro (sapevo che la sera non si può controllare se l’oro è vero, oppure falso), dicendogli che l’avevo rubata a mia madre.

Così sono potuto partire, verso un paese del quale non sapevo nulla. Quello che conoscevo dell’Italia l’avevo visto tramite la televisione, o l’avevo sentito dagli immigrati, che ritornano in Tunisia e raccontano storie fantastiche, che oltre la frontiera c’e una vita sicura, bella e meravigliosa, una vita da sogno.

Sono partito senza aver detto nulla ai miei famigliari, per timore di trovare la loro opposizione. È difficile provare a descrivere ciò che abbiamo passato in quel maledetto viaggio: quattro giorni in mare, su una specie di barca, che sembrava piuttosto una scatola di sardine.

Alla fine siamo arrivati a destinazione… cioè a Lampedusa, che è pur sempre in Italia! Gli scafisti ci consigliarono di dividerci in piccoli gruppi, per non essere notati.

Ma Lampedusa è piccola e presto ci siamo ritrovati, tutti quanti, in una caserma, dove siamo rimasti per due giorni, mentre facevano accertamenti sulla nostra identità. Temevamo che ci rimandassero indietro, invece avemmo fortuna, Perché ci diedero un foglio di via e ci lasciarono liberi, dicendoci "semplicemente" che dovevamo andarcene. Siamo rimasti, invece…