Lettera di Lassad, "sballato" da Padova al carcere di Bolzano

 

Non c’è la possibilità di un lavoro, qui, sono solo cinque o sei le persone che lavorano e, quando si libera un posto, dobbiamo scannarci come maiali per prenderlo

 

Di Lassad, agosto 2000

 

Lassad è stato "sballato" da Padova a Bolzano e da lì ci ha scritto, raccontandoci tutto il suo disagio. Questo è quello che ha visto lui del carcere di Bolzano: una grande assenza, assenza di lavoro, di attività, di tempo utilizzato per qualcosa di buono. Se qualcuno ha invece un’esperienza migliore da raccontare su questo carcere, il nostro spazio è naturalmente aperto a ogni possibile confronto.

 

Ho deciso di scrivervi per spiegarvi lo stato di abbandono che regna nel carcere di Bolzano.

A Padova mi trovavo molto meglio, avevo alcuni amici e potevo anche lavorare, così da riuscire a pagarmi i beni di prima necessità, come le lamette da barba, il sapone e quel che necessita per corrispondere per via postale con i miei familiari in Tunisia. Ma sono stato trasferito, e certo è facile per alcune persone trasferire un detenuto, sbattendoti da un carcere all’altro, è facile specialmente se il detenuto è un extracomunitario come me, che non ha nessun diritto e deve solo sottostare a chi ha il potere di decidere del suo futuro.

Beh! Non vorrei sembrare troppo patetico, ma questo mio "status" di immigrato è veramente penoso perché ti annienta la dignità, la persona, ma non lo spirito, e questo me lo sento ancora vivo. Il sole che mi riscalda la pelle e mi fa ritornare alle origini… ma poi svanisce tutto, perché la mia vita è orribilmente inutile e niente potrà ormai ripararla.

Non era questa la vita che volevo, comunque ora sono qui per pagare il debito che ho con la giustizia e vorrei già da ora modificare il mio futuro, almeno pensarci, ma invece vedo solo il nulla, un angolo di strada dove posso starmene in santa pace con una siringa piantata nel braccio…

Poi non mi sentirò più diverso, una nullità, un extracomunitario che viene evitato solo perché ha la pelle scura. E qui a Bolzano cosa posso mai fare io? Chiedo di parlare con l’assistente sociale e mi accorgo di parlare ad un muro, nessuno mi aiuta, lo psicologo, l’educatrice, nessuno riesce a darmi una mano, ed ora ho solo incertezze e non capisco più se essere uomo vuol dire soffrire in silenzio o dichiarare a voce alta la sofferenza che viene dall’animo, quella dignità ormai annientata.

In questo carcere "maledetto" non funziona quasi niente e questa condizione vale per tutte le persone che vivono come me , e noi extracomunitari ci sentiamo degli handicappati.

Nessun diritto viene garantito, e anche la nostra cultura viene scippata, in questa biblioteca del carcere di Bolzano. Non c’è la possibilità di un lavoro, solo cinque o sei persone lavorano qui e, quando si libera un posto, dobbiamo scannarci come maiali per prenderlo, se poi capita ad un nordafricano, so già che quella misera paga servirà anche per aiutare i suoi paesani. Per noi funziona così.

Quando vengono chiuse le celle alle ore 15.30, rimaniamo fino alla mattina dopo dentro e non c’è la possibilità di socializzare. Non c’è una sala per ritrovarci a giocare a calcetto, carte o ping - pong e il tempo non passa mai. Se hai bisogno dell’ufficio matricola per spedire urgentemente un’istanza che può segnare la sorte del tuo destino, sei fortunato se ti chiamano dopo alcuni giorni.

E allora mi chiedo a cosa serve la Costituzione italiana se poi la singola persona viene violentata da tutti questi aspetti, lavorativi, religiosi, sociali che solo se rispettati renderebbero un uomo degno di essere chiamato con quel nome.

Anche il sistema sanitario non funziona, specialmente per un extracomunitario come me che ha la sfortuna di cadere nel tunnel della droga e che non può avere una occasione di rivalsa verso quella sfortuna che lo attanaglia.

Questo è Bolzano, ma ci deve essere anche per noi la possibilità di riscatto e un futuro meno nero, e poter dire che ne valga la pena, la vita è bella, e poter anche scuotere le coscienze della gente, che la smetta di guardarci e valutarci come bestie.