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Benvenuti nel misterioso, intoccabile mondo del popolo Nomade
Storia di uomini e donne per i quali la libertà di girovagare è stata, e forse è ancora molto più preziosa che accumulare beni materiali.
Di Januzi Alija, detto Joe, agosto 2000
Chi siamo noi Nomadi? Perché facciamo così tanta fatica a mantenere rapporti amichevoli con chi ha una dimora fissa ? Siamo veramente dei disadattati o siamo forse semplicemente incompresi ? ma siamo poi proprio sicuri che vogliamo essere compresi? Cosa ci rende a volte così impopolari? Forse il fatto di non aver nulla da perdere, di aver affidato la nostra identità alla "romipen" (la gitanità), e alla nostra lingua romane, una lingua "di una intensità sfrenata, esagerata, socievole, adatta a descrivere emozioni estreme".
Cercherò allora di dare delle risposte a queste e a moltissime altre domande: e voglio provarci davvero, lasciando per una volta da parte quella nostra innata diffidenza. Noi Nomadi abbiamo delle regole da seguire, ma la nostra regola numero uno è di non svelare a voi ‘Gagé’ (termine per definire tutti coloro che non appartengono al nostro mondo) la nostra lingua e le nostre usanze. Per questo motivo cerchiamo di immaginare ciò che voi volete sentire dire da noi, aggiustando un poco la realtà… e il gioco è fatto... Tra noi non ci sono menzogne, mentiamo soltanto a voi, ma non lo facciamo per malizia o cattiveria, è soltanto uno dei nostri "sistemi di sicurezza", così che il nostro mondo non vi venga rivelato… restando avvolto nel mistero, nascosto e indecifrabile. Inoltre, non abbiamo una storia fissa da tramandare, ma abbiamo una serie di leggende in cui la verità è una versione di un fatto "forse" accaduto. L’incertezza delle nostre origini, il non sapere da dove veniamo, dall’Egitto, da cui la parola "gipsy" che significa Nomade, o dall’India, da cui la parola "dom", che si riferisce a un particolare gruppo di tribù, che si guadagna da vivere con il canto e la musica. Oggi, consapevoli che l’identità non sta scritta sui documenti, ci dichiariamo apolidi, cioè privi di ogni cittadinanza. La nostra prima speranza, quando entriamo in un paese, è che le autorità locali non ci mandino in qualche posto che per noi non può esistere. Ma se le autorità decidono di punto in bianco di estradare i Nomadi, dove ci mandano spesso è un paese di provenienza spesso solo presunto. Siamo circa otto milioni, siamo il gruppo minoritario più numeroso del continente europeo e abbiamo anche il più alto numero di primati: è purtroppo constatato che moriamo prima degli altri, ci sposiamo prima dell’adolescenza, abbiamo il più alto indice di analfabetismo e di natalità. Siamo un popolo che non ha e non aspira a una nazione, non abbiamo una terra promessa, né eroi o miti, non abbiamo una religione fissa, né un libro, non abbiamo monumenti né templi. Abbiamo voluto dimenticare perfino l’olocausto, e dopo la guerra, il grande "Alt" (il divieto di vagabondare), approvato dalla Polonia nel 1952 e seguito da Cecoslovacchia, Bulgaria e Romania, ha portato alla scomparsa dei nostri tradizionali mestieri, lasciandoci come unica risorsa l’abilità di sopravvivere e di vivere anche alle vostre spalle. Ma non è questo che moltissimi nomadi come me vogliono. Di "manghel", che significa mendicare, non ci si vergogna, osservando che in Spagna e in Ungheria siamo diventati emblemi della cultura nazionale. E li posso capire, quelli che lo fanno, solo se non possono fare altro per guadagnarsi da vivere, ed è allora comunque sempre meglio chiedere che rubare. Nella maggior parte dei casi il nostro passato viene raccontato dai vecchi ai giovani intorno ai fuochi di bivacco alla sera, ed è confuso con il presente, così che la memoria storica, inesistente, lascia il posto ad un racconto piacevole da sentire, che poi a sua volta non viene preso per una cosa seria dai giovani, ma già al secondo giorno si dimentica, cosicché la nostra identità non viene da una appartenenza precisa a un popolo. Se poi il concetto di "popolo" ha senso solo se riformulato in quello di cittadinanza, io proprio non lo so se posso dire che noi siamo un popolo, visto che la cittadinanza nomade non esiste. Lascio a voi giudicare se siamo un popolo o no. Semplicemente ci identifichiamo con dei piccoli o grandi clan (gruppo appartenente ad un’unica famiglia originaria), e abbiamo una lingua più o meno condivisa, che conosciamo più o meno tutti, e nostre usanze e rituali dai quali escludiamo voi "gagé" come impuri, rendendo un punto di attrazione il fatto che voi non riusciate ad essere informati su di noi. La modernizzazione ci ha costretti a fare dei cambiamenti anche nei modi in cui ci procuravamo da vivere. In passato facevamo molti lavori agricoli stagionali. Di solito i contadini ci permettevano di accamparci sul loro terreno mentre lavoravamo, ma poi la meccanizzazione ha nettamente ridotto queste nostre opportunità di lavoro e così, non avendo più bisogno della nostra manodopera, in genere i contadini stessi hanno smesso di lasciarci accampare da loro. Perciò siamo stati costretti a recarci nelle città, dove abbiamo trovato delle piccole occupazioni nel commercio dei rottami e nell’edilizia. Poiché ci sappiamo fare con gli animali, alcuni di noi invece preferiscono lavorare nelle fiere ambulanti e nei circhi. Dato il nostro amore per la musica, altri sanno invece molto bene come fare ad intrattenere il pubblico. Le nostre donne, acute osservatrici della natura umana, sono spesso molto brave a predire la "fortuna". In queste occupazioni ci arrangiamo abbastanza bene, così che riusciamo ad evitare di essere legati a un posto per molto tempo. La libertà di girovagare per noi è molto più preziosa che accumulare beni materiali, però la stessa modernizzazione ci ha costretti a rivedere il nostro pensiero riguardo all’istruzione. In passato per noi era soltanto uno spreco di tempo, ma oggi abbiamo capito che l’istruzione è un elemento importante per poter convivere con le altre persone residenti nelle zone dove ci fermiamo. Per questo motivo possiamo assicurare una coesistenza pacifica, è questo che ci ha fatto cambiare idea sull’andare a scuola e diventare sedentari. Anche se non siamo più crudelmente perseguitati, capita ancora e spesso che ci troviamo in difficoltà e in serio pericolo, come è successo nel campo nomade a Napoli, a cui è stato dato fuoco, mettendo a rischio la vita di donne e bambini per vendicarsi di due ragazzi nomadi che avevano travolto con la macchina una ragazza del luogo, o ancora il sindaco di un civilissimo paese lombardo che ipotizzava l’irrigazione con lo sterco del campo nomade per costringere le persone che sostavano lì ad andarsene: persone con pensieri simili sono fuori da ogni ragionamento umano, io credo, ed i problemi maggiori li hanno o li avranno prima o poi con la loro coscienza. Ma oggi nonostante tutto il nostro popolo si sta inserendo in Europa, negli Stati Uniti, nell’America del Sud e in Australia. La nostra lingua comune, il perenne istinto di muoversi, una cultura non scritta, tenuta viva in quelle serate trascorse attorno al fuoco, e la convinzione d’essere un popolo che è sempre riuscito a cavarsela, ci hanno aiutati a conservare la nostra identità. Il tempo, però, ha prodotto alcuni cambiamenti nel nostro modo di fare e di vivere: alcuni di noi infatti sono sempre più inclini a stabilirsi in un posto, anche se ce ne sono ancora migliaia che conducono la vita nomade, però sono sempre meno quelli che viaggiano sui vecchi e pittoreschi ‘vardos’ (i carri trainati da cavalli). Nell’Europa occidentale la maggioranza di noi è infatti motorizzata, e come risultato abbiamo perso gran parte dell’immagine romantica di un tempo. Comunque, quando e perché abbiamo iniziato la nostra migrazione verso occidente resta un mistero, dato che non abbiamo mai tenuto registrazioni scritte e le nostre tracce storiche si trovano solo negli annali delle nazioni dove abbiamo soggiornato.
Le parole zingaro, gitano, sinto, rom… in effetti significano persone di abitudini o di origini nomadi: siamo comunque delle persone con una lingua propria, che si chiama Romane, e abbreviato è "Rom" (uomo, marito), ed aldilà di tutti i luoghi comuni è questo che siamo: uomini e donne che vogliono poter vivere con serenità la propria vita, stanziale o nomade che sia. |
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