Il lungo viaggio di Hamid

 

"Da Casablanca alla Spagna, alla Francia per approdare infine in Italia e ritrovare così suo padre. Viaggio tra lavoro nero e passaggi alle frontiere clandestinamente"

 

Di Hamid F., maggio 2001

 

Sono Hamid, uno dei tanti extracomunitari provenienti dal Magreb. Figlio di un uomo, di quelli che molti qui in Italia chiamano "vu cumprà". La strada per l’Italia l’ha aperta mio padre, insieme a mio fratello maggiore, nel lontano 1986.

Le difficoltà economiche erano tantissime, quindi partirono per poter lavorare in Italia. Volevo partire con loro, ma mio padre me lo impedì, mi riteneva ancora troppo giovane, ed inoltre, dovevo restare accanto a mia madre ed a mia sorella. Con la mia famiglia viviamo da sempre in Marocco, a Casablanca.

Mio padre ha sempre fatto il commerciante, ed anche in Italia voleva continuare a fare questo. Prima di lui, già due miei zii, i fratelli di mia madre, erano venuti a lavorare in Italia, e ne avevano parlato molto bene. Lavorando sodo si poteva guadagnare. I miei zii compravano prodotti artigianali in Marocco e li venivano a vendere in Italia nella stagione estiva.

Quando mio padre decise di venire in Italia, ero triste perché non mi portava con sé. Avevo 16 anni e, finita la scuola dell’obbligo, frequentavo la seconda classe in un istituto tecnico in cui ti insegnavano vari mestieri: falegnameria, saldatura, impiantistica elettrica; lavori che mi sono stati utilissimi in seguito e che mi hanno consentito di guadagnarmi da vivere onestamente con il sudore della mia fronte.

In Marocco praticavo anche lo sport. Giocavo a pallone in una squadra di serie B, il Nasna di Casablanca. La vita che conducevo a Casablanca era un’esistenza umile. Prima della partenza di mio padre e mio fratello vivevamo in cinque persone in una stanza. Grazie a Dio in famiglia c’era un grande affetto e devo dire che ho dei bellissimi ricordi di quando ero ragazzo.

La mia voglia di venire in Italia era talmente forte che mi fece trasgredire le consegne datemi da mio padre, e quindi, ho cercato per la prima volta di entrare clandestinamente attraverso la Tunisia per approdare in Sicilia; esattamente a Trapani. Questo tentativo non mi è riuscito e quindi sono stato respinto nuovamente al mittente. Questa storia si è ripetuta per più volte: via Malta, e via Spagna.

Poi conobbi in Marocco un mio connazionale immigrato in Francia, rientrato per ferie; gli parlai del mio desiderio di venire in Italia e stabilimmo che se volevo, lui mi avrebbe portato fino in Spagna per la somma di due milioni di lire. Mi chiese i soldi prima di partire, quindi se qualcosa andava storto io avrei perso i miei soldi. Partimmo alla fine di luglio 1990. Lui possedeva un vecchio furgone. Oltre a me, caricò sua moglie ed i suoi 5 figli e partimmo per Tangeri, in direzione Gibilterra. Viaggiai per tutto il tragitto nascosto nel furgone. Arrivati in Spagna non ci furono problemi per i controlli, quindi, visto che lui doveva andare in Francia, prendemmo la direzione per Madrid. Giunti ad un chilometro da Madrid, mi fece scendere e mi lasciò sull’autostrada. La mia meta, l’Italia, era ancora lontana.

Restai una settimana a Madrid, dormivo alla stazione finché incontrai un mio connazionale che mi prese in casa con sé. Mi trovò un posto di lavoro; andavamo a vendemmiare l’uva, la paga non era male, per me che non avevo una lira, circa l’equivalente di trentamila lire italiane al giorno. La mattina mi compravo un filone di pane, ed il mio pranzo consisteva in pane ed uva. Finita la vendemmia, lavorai come falegname. Restai in Spagna un anno.

Avevo messo da parte dei soldi, spendevo poco perché volevo risparmiare per potere mandare i soldi a mia madre per poterci successivamente riunire tutti in Italia. Partii dalla Spagna nel 1991 ed oltre ad avere mandato soldi a casa ero riuscito a risparmiare tre milioni. Per attraversare la frontiera andai a Taragona ai confini della Francia: lì ci sono persone con gli autotreni e ti portano in Francia. Sono rimasto lì 15 giorni, non potevamo farci vedere in giro altrimenti ci avrebbero rispediti subito indietro.

Dopo 15 giorni, una notte ci vennero a prendere e ci fecero salire su un grosso autotreno, che partì subito. Pensavo di essere solo ma, quando i miei occhi si abituarono al buio mi resi conto che non ero affatto solo. Vi erano altre settanta persone stipate in quel camion.

Mi dissero che mi avrebbero portato in Italia e per questo pagai un milione. Appena passata la frontiera però ci fecero scendere tutti, impossibile discutere con loro, erano armati. Presi il treno e mi recai a Bordeaux. Da lì chiamai una persona di cui avevo il numero di telefono e sapevo che trasportava clandestini in Italia. Mi disse di andare in treno fino a Nizza, dove mi ospitò a casa sua alcuni giorni. Mi chiese due milioni di lire italiane, ma alla fine ci accordammo per la metà. Mi accompagnò con la sua macchina per strade isolate e fuori mano sino a Bordighera. Andai in treno a Genova, dove c’era mio fratello che mi aspettava. Da Genova andammo a Venezia e finalmente potei riabbracciare mio padre.

Mio padre e mio fratello vivevano da un marocchino che vendeva tappeti e tutte le altre mercanzie della nostra terra all’ingrosso, pagavano centomila lire al mese per il posto letto.

In una casa di cinque stanze d’inverno si stava in trenta persone, ma d’estate si arrivava ad essere anche in cento persone, si dormiva dappertutto, nel cortile, in macchina o nel terreno circostante e tutti pagavamo centomila lire a testa. Ero in Italia da una settimana ed ancora non lavoravo quando purtroppo mi capitò un grave incidente automobilistico. Restai tre mesi in coma e porto tutt’oggi i segni di quella bruttissima esperienza, sul mio corpo. Restai due anni all’ospedale, era l’anno 1993. Riprendere la vita normale fu molto duro, ma avevo mio padre e mio fratello vicini. Nel frattempo mio padre aveva preso un appartamento per conto suo; mi ripresi bene e finalmente potei lavorare anch’io. Trovai lavoro presso un’officina, come saldatore. Lavoravo in nero perché ero senza documenti e mi pagavano ottomila lire all’ora.

Nel 1996 con l’emanazione della Sanatoria io, mio padre e mio fratello, potemmo finalmente avere il permesso di soggiorno. Per regolarizzarmi mi aiutò un sacerdote, lavoravo con lui per tenere pulita la chiesa e facevo piccoli lavoretti di manutenzione. Fu lui che mi diede ospitalità e lavoro così da potermi regolarizzare. Sono rimasto con lui quasi due anni.

Una sera in un bar entrò un carabiniere e chiese i documenti solo a me in mezzo ad una decina di persone. Io ero un po’ ubriaco e gli risposi male, fui arrestato per oltraggio, e finii in galera, anche se avevo sempre e solo lavorato. Restai per tre giorni in carcere ed ebbi una condanna a 4 mesi, ma a piede libero.

Ora sono "dentro" per un fatto quasi simile. Un vigile nell’estate del 2000 voleva sequestrare la mercanzia di mio padre mentre vendeva in spiaggia a Caorle. Gli chiesi di lasciarlo perdere, che mio padre cercava solo il pane e non guai. Lui lo lasciò perdere però fece una denuncia a me per oltraggio, minacce ed aggressione. Ma questa volta era una denuncia gratuita perché non lo avevo affatto offeso, avevo solo avuto il coraggio di replicare al suo ordine imperioso. A qualcuno può sembrare strano… ma in carcere ci sono anche persone innocenti.

Ora sono in carcere a scontare una pena di un anno di reclusione, il tempo sembra non passare mai, mancano altri dieci mesi. Spero solo di potere tornare quanto prima a lavorare e così poter fare venire in Italia la mia famiglia. Fuori ho un lavoro buono che mi aspetta, infatti prima del carcere facevo il saldatore e guadagnavo bene. Ho una casa e spero di potere vivere la mia vita serenamente con mia moglie, mia figlia e la mia famiglia.