Hamid: un clandestino in cantina

 

Di Hamid, novembre 2000

 

"Alle nove di mattina, il giorno del mio fine pena, viene a prendermi in carcere la polizia che mi trattiene in Questura fino alle sette di sera. Penso che finirò in un campo di trattenimento prima di essere rispedito in Marocco. Invece un ispettore gentile, dopo molte telefonate, mi dà un foglio dove c’è scritto che ho 15 giorni per andarmene dall’Italia, da solo. Mi dice anche che il permesso di soggiorno è scaduto mentre ero in carcere e che non risulta che abbia chiesto la sanatoria. Ma anche se il permesso fosse stato ancora valido, avrei dovuto lo stesso andare via dall’Italia, perché ho l’espulsione in sentenza e non risulta che ne abbia chiesto la revoca.

Non ci capisco niente: avevo chiesto di rinnovare il permesso e di poter fare la sanatoria! E poi, se sapevano che avevo l’espulsione e che dovevo per forza andare via, perché l’assistente sociale e l’educatrice mi hanno anche cercato lavoro (vabbè che non l’hanno trovato) senza dirmi che prima dovevo chiedere la revoca dell’espulsione? Che casino, che confusione…!

Capisco solo che per 15 giorni sono autorizzato a rimanere in Italia. Quindici giorni per trovare un lavoro, un alloggio, un permesso di soggiorno, una cosa da niente per un ex detenuto, ex tossicodipendente, extracomunitario. Mi sono venuti in mente certi film di 007…".

 

Hamid si ritrova sulle scale della Questura con indosso un paio di jeans, una maglietta ed un giubbotto (tutti gli indumenti li ha lasciati ai compagni perché tra loro si usa così); nel portafogli novecentomila lire, messe da parte lavorando in carcere, qualche tessera telefonica, comprata durante l’ultimo permesso premio, ed un biglietto pieno di numeri di telefono. Ma i cellulari sono spenti, disattivi o rispondono altre voci. Se lo aspettava perché sa che i telefonini devono essere cambiati spesso…

Attorno alla stazione e ai giardini, non riconosce nessuno.

"Chissà perché mi aspettavo di ritrovare tutti al loro posto, come li avevo lasciati il giorno del mio arresto, tre anni e mezzo fa e invece vedo solo facce nuove.

I miei amici avevano come me attorno ai 30 anni, un’età drammatica, in cui si dovrebbero avere abbastanza soldi per tornare a casa e mettere su famiglia. Qualcuno c’è riuscito, molti hanno solo cambiato zona, molti sono in carcere, qualcuno è finito peggio, morto, tossico o malato".

A settembre alle otto è ormai buio e Hamid deve pensare a come trascorrere la notte. Può scegliere tra la sala d’aspetto della stazione o uno dei vagoni ferroviari in sosta su binari periferici.

"Quando si arriva in Italia o ci si trasferisce in una nuova città, si sa di dover passare almeno qualche notte in stazione ed io mi sento come uno appena arrivato. Nel vagone a quest’ora non c’è quasi nessuno: solo un paio di barboni, un tossico ed una ragazzina che attacca bottone. Si chiama Martina, ha diciotto anni e la sua famiglia ha un palazzo a Treviso, ma a lei piace vivere così… A forza di frequentare stazioni, dormitori e cucine popolari, ha imparato quasi a parlare l’arabo. E’ carina e pulita, dice che non è tossica e neppure matta, ma anche se sono appena uscito di galera, non mi fido. E poi mi addormento quasi subito".  

 

Solo ora Hamid si rende conto che il vagone è pieno zeppo di gente

Martina lo sveglia che è ancora quasi notte. Gli dice che è meglio scendere adesso, se non vuole essere preso a pedate dalla polizia che arriverà tra poco. Solo ora Hamid si rende conto che il vagone è pieno zeppo di gente. Scavalcano corpi sdraiati sul corridoio, ciondolanti dai predellini, acciambellati, raggomitolati…

Martina gli dice che qualcuno ben nascosto che non viene trovato dalla polizia finisce che si svegli a Salerno, perché dopo un po’ la locomotiva viene attaccata e il treno parte.

"Sempre meglio però il treno delle case abbandonate, soprattutto se sei da solo" consiglia Martina. "Se ti trovano, certi poliziotti non ci vanno leggeri e proprio ieri ho saputo che un tuo paesano l’hanno quasi ammazzato di botte".

"La mattina, mi viene in mente, come se fosse la cosa più urgente, di andare a ritirare la mia pagella nella scuola che tiene corsi in carcere. Una bella pagella, davvero. Il preside e i professori mi fanno i complimenti, mi incoraggiano, dicono che sono bravo e devo continuare a studiare in una scuola serale. Se penso alla notte prima, mi sembra di essere in un altro mondo. Una delle professoresse mi dice che ha un amico che mi prenderebbe a lavorare come muratore, solo che devo essere in regola. Le dico che con i miei documenti non ci capisco niente, allora lei mi consiglia di andare ad un Convegno sugli immigrati dove ci saranno degli avvocati che potrebbero aiutarmi. Mi sento meglio a questa idea e rimango ancora nella scuola, ma poi devo per forza andare via, perché chiude."

Quando Hamid va al convegno, è la terza notte che dorme sul treno: ha la barba lunga, la stessa maglietta di quando è uscito e sente un forte prurito agli avambracci.

Deve essere per questo che assistenti sociali, assistenti volontarie, educatrici, dopo averlo salutato con calore prendono le distanze.

Una delle operatrici gli va incontro sparandogli una festosa raffica di domande.

"Dove dormi? Hai trovato lavoro? Hai rinnovato il permesso di soggiorno? Guardami negli occhi: non hai bevuto, non ti sei fatto, non hai ricominciato a spacciare?".

"Dormo alla stazione, non ho un lavoro e il permesso di soggiorno me lo dovevate rinnovare in carcere".

"Alla stazione?" cambia discorso quella, "ecco perché ti hanno mangiato le zanzare!".

Hamid ha il sospetto che si tratti di pulci, ma non lo dice.

L’operatrice si scandalizza. Non può essere che non si trovi un posto dove dormire. E, visto che nell’auditorium ci sono assistenti sociali e volontari, comincia a chiedere: l’ostello di qua, la casa d’accoglienza di là, l’asilo notturno… ma gli ostelli si pagano, le case di accoglienza spesso non fanno accoglienza, e per il dormitorio bisogna avere documenti, permesso di soggiorno e anche prenotare. Comunque tutti sono commossi, anche se nessuno ha un posto libero."

Vedendo il suo interessamento, Hamid dice: "Che fortuna averla incontrata, sono sicuro che, anche se in carcere non mi ha rinnovato il permesso di soggiorno, mi aiuterà".

Non è uno sfacciato, ma la disperazione fa virtù.

L’operatrice stavolta si arrabbia: "Adesso sta a vedere che è colpa mia se ti trovi in queste condizioni! Noi abbiamo inviato la richiesta di sanatoria, ma dalla Questura ci hanno mandato a dire che i documenti che avevi non bastavano! Che ne so, io?! E poi potevi pensarci due volte prima di venire in Italia a spacciare!"

"Di colpo, apre la cerniera della borsa e per un attimo penso che ne tiri fuori una pistola per spararmi. Invece è un telefonino. Chiama preti, frati, suore e altra gente che non capisco chi sia. Ad un certo punto la sento dire: Grazie! E mi spiega che mi ha trovato posto da un amico, posso stare da lui finché non tornano i genitori dalle vacanze, in cambio di un piccolo aiuto in casa".

Hamid si aspetta uno studente, invece Glauco è un quarantenne che vive in una bella villetta immersa nel verde. Solo che i genitori sembrano assenti da anni, invece che da un mese e il "piccolo aiuto" consiste nel fare opera di bonifica di giardino, bagno, cucina, dove bivaccano amici.

"Sono tutti molto simpatici e mi accolgono come se ci conoscessimo da un sacco di tempo. Qualcuno di loro è stato in Marocco e conosce Casablanca meglio di me. Sanno che sono stato in carcere, mi danno pacche sulle spalle, come se fossi un reduce di guerra. Mi chiedono se ho bisogno di abiti e mi offrono qualche giro di spinello. Perciò, anche se devo pulire i vetri delle finestre, le vasche e i water, mi sento una specie di attrazione. Finché tra gli amici di Glauco non vedo una faccia che conosco: un mio ex cliente. Un architetto pieno di soldi e di donne. Qualche volta uscivamo insieme, avevamo addirittura trascorso un Capodanno a Cortina, lui portava le donne, io la coca, e in genere pagavo anche il conto, perché guadagnavo più di lui, minimo quattro milioni al giorno. Insomma eravamo quasi amici. Adesso mi vede accucciato a terra mentre cerco di scrostare una macchia di caffè che sembra gomma fusa e non mi riconosce… Meno male.

Dopo due giorni Glauco annuncia che i genitori sono ormai al casello dell’autostrada e riconsegna Hamid con una borsa di indumenti usati all’operatrice. Questa gli annuncia che ha fissato un appuntamento con l’avvocato per il permesso di soggiorno e che ha un lavoro per lui. "Sto traslocando e tu potresti aiutarmi", gli dice luminosa, come se gli avesse trovato un impiego in banca… "E dove dormo?" chiede Hamid. Quella tira di nuovo fuori il telefonino, ma stavolta il primo tentativo va in porto, anche se con qualche ritocco nella forma, rispetto alla volta precedente.

"Al frate che risponde dice sì che sono un ex detenuto, ma che tra qualche giorno avrà il permesso di soggiorno per motivi di studio come premio perché in carcere si è diplomato con il massimo e non appena le scuole apriranno, sarà ospitato da una anziana e ricca signora". Hamid pensa che non crederanno a una balla del genere e invece quei frati lo fanno dormire per una settimana con tutti i riguardi in un grande convento con vista sul fiume.

 

"Nel frattempo sono tornato clandestino vero e proprio"

"Intanto comincio ad aiutare l’operatrice nel trasloco che in realtà non è uno, ma tre, perché dobbiamo andare a prendere alcuni mobili dalla casa di un’assistente volontaria che sta lasciando la città e portarli a casa dell’operatrice e portare alcuni mobili dell’operatrice nella casa di Don Giulio, un sacerdote che sta traslocando pure lui. E poiché anche l’assistente volontaria e don Giulio hanno bisogno di aiuto, nell’imballaggio e nelle pulizie, guadagno un po’ di soldi. Pochi, ma quanto basta perché riesca a non toccare quelli che ho messo da parte in carcere. Inoltre quando lascio i frati Don Giulio mi dice che posso rimanere per qualche giorno a dormire da lui, così lo aiuto a portare i suoi vecchi mobili nella casa di alcuni profughi kossovari. Penso di essere stato fortunato ad uscire in un periodo in cui tutti traslocano. Quando anche il parroco ha smesso di traslocare, rimango praticamente disoccupato. Torno a dormire nel vagone del treno, nella sala d’aspetto della stazione, in una casa abbandonata. E’ il momento più brutto, perché nel frattempo sono tornato clandestino vero e proprio, il che significa che devo cercare di essere invisibile. E’ sufficiente che mi fermino e mi chiedano i documenti per essere espulso. Quindi devo evitare i paesani, le cucine, la stazione, proprio i posti dove si finisce sempre per ripararsi, perché comincia a fare freddo, perché si deve pure mangiare ed anche parlare con qualcuno!

Trovare da spacciare sarebbe facilissimo, anche se la piazza in quattro anni è cambiata e molti paesani si sbarazzano dei concorrenti - magari quelli appena usciti dal carcere che pensano di ritrovare le zone di prima - denunciandoli alla polizia. Però se ci sai fare e ti fai stimare, basta un telefonino e qualche conoscenza. Io però in carcere non ci tornerò mai più. Lo so che tutti dicono così, però io vedo dei ragazzini che entrano ed escono come se niente fosse, mentre a me il carcere mi ha distrutto.

Con l’operatrice ho appuntamento dall’avvocato. Dopo aver guardato le carte dice che si può provare a chiedere un riesame della pratica, anche se devo procurarmi un’offerta di ospitalità ed una di lavoro. Conferma anche che tanti casi si potevano evitare se in carcere avessero almeno provato a chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno.

L’operatrice si arrabbia un po’ con l’avvocato dicendo che non è colpa sua, ma poi telefona ad altri frati Missionari che fanno accoglienza. Stavolta dice che ormai ho tutto pronto, permesso di soggiorno e lavoro, ho solo bisogno di un posto dove stare quindici giorni prima di iniziare a guadagnare. Assicura che allo scadere del tempo stabilito verrà lei in persona a prendermi. Padre Mariano insiste molto che io vada via a metà mese, penso perché dopo sarà inverno e non avrà il coraggio di sbattermi fuori. Io, comunque, riesco a rimanerci tre mesi".

Nei tre mesi che rimane dai frati, Hamid lavora come muratore in nero, mentre continua a cercare offerte di lavoro che non trova. Compra una bicicletta e va a mangiare alle cucine ancora con gli abiti di lavoro.

"Il cibo è piuttosto cattivo, ma non si può guardare tanto per il sottile e poi alle cucine ci sono dei medici volontari che ci danno medicine se ne abbiamo bisogno e ci fanno il vaccino contro l’influenza. Tutti pensano che le cucine siano piene di spacciatori, ma non è così perché quelli hanno i soldi per andare al ristorante oppure in uno degli appartamenti dove alcuni paesani cucinano il nostro cibo. Io invece, quando ho qualche soldo in più, compro un piatto di cous cous da Amor, un tunisino vecchio che gira a venderlo con l’automobile. Qualche giovedì sera vado alla stazione perché la Croce Rossa distribuisce cibo gratis a tutti, anche con il dolce. Non ho più tanta paura dei poliziotti, perché alla stazione sono sempre gli stessi e ormai mi vedono passare con gli abiti da muratore. Quando arriva il Ramadan mi compro un fornelletto a gas e cucino quand’è ancora notte.

Penso che i frati sentiranno l’odore, ma da tempo non mi dicono più niente, al punto che spero che si siano dimenticati di me. Dopotutto l’Istituto è grandissimo, loro non mi vedono mai e padre Mariano è sempre via. Il venerdì vado alla Moschea, qualche sabato esco dalla finestra (perché l’Istituto chiude alle undici) e vado al Centro Sociale a sentire un po’ di musica, la domenica rimango chiuso nella mia stanza.

Poi arriva Natale e il lavoro finisce. Ma non sono disperato perché la mia ex insegnante mi ha trovato una ditta disposta a farmi la dichiarazione di lavoro e, se don Mariano mi darà l’ospitalità, ho tutto pronto per chiedere il permesso di soggiorno. Ma le cose non vanno proprio così".

Quando torna, Mariano con la faccia tirata gli dice che deve andarsene. Hamid allora gli chiede, come gli ha suggerito l’Operatrice, se può restare pagando l’affitto della stanza, visto che un po’ di soldi adesso ce l’ha. Ma il frate scuote la testa e aggiunge che neanche vuol più sentir parlare di quell’Operatrice che lo ha imbrogliato…

"Io non capisco perché, se ci sono tante stanze libere, mi comporto bene e posso anche pagare, mi mandano via. Eppure lo sanno che senza documenti non posso trovare neanche un posto letto. Non capisco e neanche ho il tempo di capire perché, a fine gennaio, mi ritrovo un’altra volta per strada, anche senza lavoro perché il padrone si è ricordato che sono clandestino e dice che ha paura dei controlli. Sul vagone fa troppo freddo e, visto che la gente è sempre di più, la polizia la sfolla a calci. Così, dormo nella sala d’aspetto e poi a casa di una tossica che ho conosciuto alla stazione. Abita in una casa più fredda del vagone, ma è disponibile a farmi restare ed anche a farmi la dichiarazione di ospitalità, se le procuro un po’ di coca. Ma ho paura che se anche tocco una sola volta la roba mi porta sfortuna. Perciò prendo la bici e me ne vado. Ho fatto bene perché quando vado alle cucine trovo una sorpresa."

La suora delle cucine gli dice che lo ha cercato la Franca, la cuoca dei frati: deve andare subito perché ha un lavoro per lui.

"La Franca mi porta dalla Cecilia, una sua vicina di casa che deve sgombrare e far ripulire la cantina. E’ una vecchietta sveglia che parla sempre. Mi prende subito in simpatia e mi racconta dei suoi problemi con la nuora ed il figlio che abitano nel palazzo di fronte e che non la vanno mai a trovare… Lavoro volentieri nella cantina: la imbianco, sistemo gli interruttori della luce, monto un lavandino sotto il rubinetto dell’acqua, appendo due teli alle finestre (che ci sono, anche se hanno le sbarre) e gonfio un materassino da mare. Poi chiedo alla signora se me ne affitta una parte. Lei dice che suo figlio le ha già detto che non vuole un marocchino per casa, ma che in fondo non gliene importa niente perché lui si ricorda di lei quando gli pare. Solo che ha paura perché sono clandestino…

Allora telefono all’operatrice che si presenta come una specie di poliziotta e assicura alla signora che, se rilascia una dichiarazione di ospitalità alla Questura, non corre nessun rischio, anche se sono ancora clandestino. Poi carica la vecchietta in automobile e la porta subito in Comune, tante volte dovesse ripensarci. Così, dopo essere uscito dal carcere, mi ritrovo sulle scale della Questura con in mano la ricevuta della richiesta di permesso di soggiorno come se fosse un trofeo. Non è sicuro che me lo daranno, ma intanto posso chiedere il libretto di lavoro. Non sono ancora un regolare, ma dopo sette mesi sono finalmente un clandestino autorizzato".