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Arresti domiciliari
Con gli arresti domiciliari la mia casa, il posto in cui mi sentivo più sicuro e sereno, si era trasformata nel mio personale carcere
Di Fabio Iannice, gennaio 2003
Finalmente dopo tante battaglie mi avevano concesso il beneficio degli arresti domiciliari. Ero contento di tornare a casa e di non stare più dietro le sbarre, provavo una gioia immensa nel poter scontare il residuo della pena vicino alla mia famiglia, sentirmi contornato dal calore e l’affetto dei miei cari era un’emozione fortissima. La mia famiglia mi dava la carica, l’energia per poter superare i momenti più duri, che indubbiamente ci sono stati. La cosa che mi faceva stare bene era che non dovevo più aspettare con ansia i colloqui settimanali e non c’era più quel muro, quel vetro che c’impediva anche di tenerci la mano. Eravamo insieme, tutto questo mi faceva sentire più sereno. Le prime settimane tutto procedeva a meraviglia: organizzavo il mio tempo per non essere soffocato dalla noia, ascoltavo musica, guardavo la tv. Ero a casa, ma le giornate si ripetevano sempre uguali, non avevo nessuno sfogo. Avevo delle regole ben precise da osservare: non potevo rispondere al telefono, né tanto meno chiamare, eccezion fatta in gravissimi casi di eventuale urgenza. Non potevo neppure recarmi nel giardino della mia abitazione. Chiunque veniva a trovarmi, se arrivava un controllo, doveva fornire le generalità ed essere a sua volta controllato. E i controlli avvenivano in qualsiasi orario, di giorno, di notte, spesso anche alle tre, alle quattro di mattina. Mi controllavano anche per telefono, però io non potevo rispondere, rispondevano i miei familiari e dopo passavano a me la comunicazione. Se non c’era nessuno, arrivava immediatamente una pattuglia. La primavera stava arrivando, vedevo il mio giardino ricoprirsi di fiori, insomma avevo voglia di prendere una boccata d’aria, ma non potevo farlo, altrimenti sarei stato chiuso nuovamente in carcere. Era una sofferenza. Ero diventato una bomba sul punto di esplodere, pericolosa per me stesso e per la mia situazione giudiziaria. Il carcere era sicuramente peggio, però in carcere avevo quattro ore di aria al giorno, andavo in palestra, giocavo al pallone, socializzavo con gli amici. Ora invece dovevo solo ed esclusivamente restare in quelle quattro stanze, e dopo che le persone incensurate amiche di famiglia non vennero più perché stufe di farsi identificare ad ogni controllo, mi trovai a trascorrere nove mesi solo in casa con mio padre. La situazione era diventata pesante. Non ce la facevo più. Anche se mio padre è forse la persona che più ho amato, spesso nascevano incomprensioni, dovute a quella stranissima situazione. La mia casa, il posto in cui mi sentivo più sicuro, sereno, si era trasformata nel mio personale carcere. Ho resistito a quella situazione e non ho trasgredito agli obblighi soprattutto per amore di mio padre, ma è stata una prova veramente dura.
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