Quei continui ostacoli che rendono

difficile la vita a chi sta in carcere

 

Di Ernesto Doni, dicembre 2003

 

Per natura non sono portato a "pensare male", e a sospettare un dispetto dietro ogni divieto che viene opposto a una mia richiesta che ritengo legittima e meritevole di essere assecondata. Immagino, quindi, che a Padova come in altre carceri, rispondano negativamente a ogni nostra richiesta di estendere a due ore il colloquio del sabato non per il gusto di dirci di no, ma per motivi di carattere organizzativo (personale ridotto rispetto ai giorni feriali, per esempio) che rendono più problematica la concessione di questo "beneficio" il sabato piuttosto che il giovedì o il venerdì (giorni in cui il "raddoppio" d’orario viene perlopiù concesso).

Ciò nonostante, ritengo che per molti di noi – o meglio, per i parenti di molti di noi – il colloquio di due ore al sabato non rappresenti un "optional" di poco conto, bensì una sacrosanta esigenza, alla quale dovrebbe essere data una risposta. Mi riferisco, evidentemente, a quei parenti che – per venire a trovare i loro cari detenuti – devono affrontare viaggi di una certa lunghezza e complessità (si pensi per esempio a quelli che risiedono in località lontane e decentrate, e che se vengono in treno devono sottostare anche al gioco snervante delle coincidenze…). Ebbene, queste persone, questi parenti, spesso per venire a colloquio "bruciano" un’intera giornata, fra viaggio di andata e ritorno e lunga attesa prima di accedere alla sala colloqui: come non riconoscergli, allora, il diritto a un incontro un po’ meno striminzito, visto che a un simile tour de force non possono certo sottoporsi tutte le settimane, ma se va bene una volta al mese?

Qualcuno potrebbe proporre che allora rinuncino a venire in visita proprio il sabato, che lo facciano il giovedì o il venerdì, giorni in cui il "raddoppio" viene generalmente concesso. Ma è un’argomentazione spuntata, dato che il giovedì e il venerdì sono giornate lavorative per tutti, anche per i parenti dei carcerati. Qualcuno potrebbe dire che, allora, dovrebbero prendersi un giorno di ferie: ma perché mai, oltre a sobbarcarsi lo stress di un lungo viaggio, queste persone dovrebbero anche bruciarsi una giornata di ferie, o rinunciare agli introiti di una giornata (se lavoratori autonomi)?

Come si vede, insomma, non è per capriccio che alcuni di noi si ostinano a chiedere l’estensione a due ore dei colloqui del sabato, nonostante questa aspirazione venga regolarmente frustrata. Perché, allora, non si cerca di trovare una soluzione intermedia, di buon senso, che tenga conto sì dei problemi di carattere organizzativo dell’Istituto, ma anche delle legittime, sacrosante esigenze dei parenti che – per venire ai colloqui – devono affrontare viaggi lunghi e magari disagevoli?

Io mi permetto di avanzare una proposta che in tutta franchezza non mi sembra proprio inattuabile. Anche perché non si tratta di una mia "invenzione", ma di un collaudato sistema che ho personalmente visto all’opera nel carcere di Pesaro, presso il quale sono stato "ospite" qualche anno fa. Il problema, in quell’Istituto, lo hanno affrontato – e risolto – in questo semplicissimo modo: raddoppio automatico dell’orario dei colloqui del sabato per i soli parenti residenti a oltre 250-300 chilometri da Pesaro. Già così il numero dei parenti (e dei detenuti) aventi diritto a un colloquio di due ore si ridurrebbe drasticamente, dato che di solito la maggioranza dei "clienti" di un carcere non proviene da tanto lontano. Ma la selezione potrebbe essere resa ancora più rigida ripartendo i detenuti aventi diritto al "raddoppio" in due unici turni mensili: che so, primo sabato del mese per quelli dalla A alla L, terzo sabato del mese per quelli dalla M alla Z.

A me questa pare una proposta assennata, che tiene conto sia delle valide ragioni dei parenti provenienti da località più lontane, sia delle presumibili buone ragioni delle Direzioni, che nelle giornate di sabato possono evidentemente contare su un numero più limitato di agenti delegati al controllo.

L’accoglienza che il  carcere riserva ai parenti molto anziani. Ancora un problema vorrei affrontare, in tema di colloqui: l’accoglienza che viene riservata ai parenti in visita molto anziani (ultrasettantenni) o disabili. Mi risulta (e ne ho anzi le "prove", visto che mia madre ha ottant’anni) che attualmente essi – prima di accedere alla sala colloqui – devono sottostare alla stessa, lunga e snervante trafila che è riservata agli altri. Quando è venuta a trovarmi mia madre ha dovuto sopportare un’ora e mezza d’attesa, in piedi, prima di poter entrare in sala colloqui. A me pare un trattamento gravemente irrispettoso, direi anzi inumano, per una persona di quell’età, e mi chiedo e chiedo, pertanto, perché non venga creata una sorta di "corridoio preferenziale" per le persone molto anziane o portatrici di gravi handicap. Sarebbe un atto di civiltà, che non necessariamente comporterebbe una riduzione dei livelli di sicurezza: nessuno infatti pretende che anziani o disabili non siano perquisiti, si chiede, soltanto, che i tempi di controllo e di attesa vengano nei loro confronti decisamente accelerati, in modo che una visita a un parente detenuto non si trasformi in un’insopportabile e immeritata (mica hanno reati da scontare, loro!) "via crucis".