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Il disagio dei famigliari dei reclusi
Il disagio dei famigliari dei reclusi, quando capita che più componenti della stessa famiglia finiscano in galera contemporaneamente. Se i sacrifici di chi sta fuori sono troppo pesanti, si corre il rischio che si disgreghi la famiglia e con essa anche la volontà di cambiare di chi sta in carcere
Di Enrico Flachi, maggio 2001
Ho provato inizialmente un senso di "non difficoltà" nel descrivere la mia impressione in merito a questo tema. Il fatto è che pensavo fosse più facile, ma, a mano a mano che m’inoltravo nell’argomento, una serie di problemi emotivi mi costringeva a fare delle riflessioni. La prima è: che idea posso dare, alle persone che leggono quello che scrivo, di me e dei miei famigliari, sia detenuti che liberi? i miei famigliari saranno d’accordo sul fatto che io scriva della nostra famiglia, e di tutti i disagi che da loro sono stati affrontati in tutti questi anni? Queste ed altre sono le riflessioni che ho fatto, ed è con queste che mi sono trovato a fare i conti. Non voglio che la sfera famigliare, la sfera delle persone che amo, venga mai sfiorata, o venga tirata in causa, per nessuna ragione al mondo, ne difendo morbosamente la dignità, l’orgoglio. Detto questo, non posso nascondere le sofferenze, i sacrifici, le rinunce che un figlio, un marito, un fratello, una madre, trovandosi rinchiusi in un carcere, apportano alla famiglia. Sono convinto però che le cose in futuro possono cambiare, per me è stato così, ed è questo che mi ha dato la forza di raccontare. Molti passi in avanti sono stati fatti per noi detenuti, anche se molti di noi hanno pagato a caro prezzo per questi cambiamenti. Certo abbiamo perduto tante cose buone e corrette di un tempo, tante altre però le abbiamo guadagnate e sono state per noi importanti, hanno agevolato, reso meno dura la vita all’interno di questi luoghi, ci hanno dato speranza, e motivi validi per cambiare, con lo studio, con altri lavori che un tempo erano impensabili all’interno delle carceri. Allora, mi sono detto, perché temere di esprimere il mio pensiero, se questo, aggiunto ad altre voci, può far sì che molti famigliari possano in futuro sentirsi gravare addosso meno il peso di una condanna, che di riflesso è data anche a loro senza che abbiano alcuna colpa, se non quella di amare e non abbandonare un proprio parente detenuto?
È solo parlando di questi problemi che si riesce a farli emergere, e chissà che chi se ne deve occupare istituzionalmente trovi tra queste righe spunti per individuare possibili soluzioni Mentre ero in galera, all’improvviso mi sono visto raggiungere da nove famigliari, fratelli, zii, cognati… mandati in carceri diverse, su tutto il territorio nazionale, a seguito di una mega - operazione che con estrema facilità ha coinvolto anche chi, come si è poi dimostrato in sede processuale, è risultato innocente. Alcuni di loro si sono fatti cinque anni di galera, poi però gli è stato riconosciuto un esiguo risarcimento danni, che naturalmente non rende giustizia a tanta sofferenza. Credo non sia difficile immaginare il calvario dei famigliari rimasti fuori, i lunghi viaggi per i colloqui, che essendo in carceri diversi avvenivano un po’ tutti i giorni della settimana: il mercoledì partivano per la Puglia, il martedì ad Opera, il giovedì suddivisi tra il carcere di Padova e quello di Vigevano, il venerdì al carcere di Pavia. Le spese ed i disagi erano elevati. I disagi: facevano la media di 2500 chilometri settimanali per farci i colloqui. Le spese: benzina, autostrada, acquisto dei generi alimentari e vestiario per noi e per loro, soldi versati sui nostri conti per permetterci di acquistare il necessario in carcere, soldi agli avvocati. Per quattro giorni alla settimana intere famiglie erano impegnate solo per i colloqui, preparare pacchi su pacchi, programmare i viaggi. Da un paio di anni però finalmente sono state accolte le richieste dei miei due fratelli per poter essere tutti e tre nello stesso carcere! Gli altri fratelli, gli zii, sono usciti assolti, grazie a Dio! Ma per cinque anni i miei famigliari hanno subito una condanna ancor più pesante della nostra. Eppure sarebbe bastato un gesto umano, almeno per coloro che non hanno mai fatto nulla di male, concedere il trasferimento nello stesso carcere per far fare tanti sacrifici in meno a coloro che con amore ci hanno sempre seguito, con l’unica "colpa" di continuare a volerci bene. La stanchezza psicologica, e fisica, i bambini sballottati per lunghe ore di macchina per poter vedere il proprio padre, quei genitori che hanno visto crescere i figli fino ad un certo punto, per poi vederli sparire nel nulla, e dover faticare per incontrarli e parlar loro poco e in fretta. E bisogna anche tener presente che ogni sacrificio era fatto per un’ora di colloquio, o massimo due se andava bene. Sono situazioni che, in molti casi, hanno disgregato affetti, legami, e ciò porta all’inasprimento d’animo e ad un allontanamento dalla famiglia, e quindi dal tessuto sociale, di chi è detenuto. Qualcuno vuole davvero recuperare le persone, dar loro modo di reinserirsi nella società? Sono in molti, assistenti sociali, educatrici, operatori penitenziari, volontari, che si attivano con questo scopo. Per risolvere problemi complessi, spesso si cercano però soluzioni altrettanto difficili, io non ho certo la bacchetta magica, ma posso dire almeno quanto abbia influito favorevolmente il fatto che siamo stati assegnati finalmente, dopo molti anni, tutti e tre noi fratelli nello stesso carcere. Io penso che questa possa essere la soluzione di qualche problema, perché, alleggerendo i disagi nostri e dei nostri famigliari, si può fare in modo che il carcere non distrugga quello che per noi è più vitale: gli affetti. Disintegrare i nostri affetti significa disintegrare il nostro desiderio di cambiamento.
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