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Studiare oppure respirare?
In carcere, chi studia o si dedica ad attività culturali è condannato a non andare mai all’aria
Di Elton Kalica, novembre 2003
Se si parla con i professori dell’ Istituto Tecnico Commerciale A. Gramsci, a proposito del loro rapporto con gli studenti "speciali" del carcere Due Palazzi, si percepisce in loro impegno, comprensione e una certa gratificazione umana e professionale, ma nello stesso tempo anche una certa sfiducia nella costanza del loro impegno. Non è infatti una "passeggiata" impostare e poi seguire un programma di studio con i detenuti, ovvero con persone che non solo sono state perlopiù disinteressate alla scuola negli anni della gioventù, ma che poi hanno continuato a rifiutare anche la disciplina e l’ordine civile, al punto di finire in carcere. Ma proprio per queste difficoltà, tanto più notevole è la soddisfazione che si legge nei loro occhi quando poi, grazie al loro insegnamento e al sorprendente impegno dei detenuti, al momento degli scrutini emergono lo studio e lo sforzo di questi speciali studenti per fare un altro passo importante verso il diploma. Quest’anno i maturandi sono stati tre, per la gioia dei professori che hanno sudato quattro anni di camicie. Quello che stona con questo dato ottimistico è la constatazione che, a fronte dei parecchi che sono partiti, troppo pochi sono arrivati alla "meta". Basta guardare le statistiche e si nota che gli studenti - 15-16 al momento dell’iscrizione al primo anno – al secondo anno già si riducono a una decina, per poi divenire 5-6 il terzo anno, tre soltanto dei quali arrivano poi al traguardo del diploma. Questa "perdita di studenti per strada" è determinata da diversi fattori, alcuni dei quali si possono considerare superabili, con un po’ di buona volontà e di impegno personale, altri di forza maggiore, in quanto dipendenti dalle stesse norme che regolano la vita carceraria. A scuola non si scherza mica, si studiano quattro o cinque materie al giorno. Questo per un tempo che, tra lezioni e lunghe attese, va dalle 8.30 alle 15.10. Inoltre il fatto di dover studiare per il giorno dopo ti costringe, quasi sempre, a rinunciare a diverse cose. Come per esempio la partita di carte o di ping-pong, che solitamente si fa di sera, oppure andare a lavare la biancheria, che significherebbe rientrare in cella alle 19.30; e poi limitare la corrispondenza, il cucinare qualche piatto di proprio gradimento etc. Tutto questo per concentrarsi solo sugli studi. Questa situazione può diventare molto più complicata se si ha per compagno di cella un tipo bisbetico, lagnoso, oppure uno di quelli che seguono con maniacale passione tutti i programmi televisivi di intrattenimento, dalla De Filippi alla D’Eusanio, da Gerry Scotti al Costanzo show. Se questo fenomeno di teledipendenza, che è ampiamente diffuso in carcere, si personifica nel tuo compagno di cella come una condanna accessoria, allora lo studio diventa davvero un’impresa! Tutto questo si può però considerare un problema trascurabile, e quindi superabile, poiché difficoltà simili le incontrano anche gli studenti liberi che si mantengono da sé. Ma l’attività di maggior importanza per i detenuti è l’aria. Questa consiste nell’andare a passeggiare in una cella un poco più grande ma senza soffitto: quindi "all’aria aperta". Due volte alla settimana questa passeggiata viene sostituita con una partita a pallone che si può fare nel campo sportivo o nel campetto chiuso della "palestra". Per ragioni di ordine e di sicurezza, l’arco di tempo in cui i detenuti possono usufruire di questi spazi si limita esclusivamente a questi orari: mattina 9.00 – 11.00; pomeriggio 13.30 – 15.00. Aria malsana e muscoli in stato di abbandono per chi studia in carcere Qui si fa avanti il grande dilemma... L’orario scolastico (ma anche quello delle attività culturali come la redazione del nostro giornale) è pressoché lo stesso dell’aria, per cui la frequentazione della scuola coincide con l’unica attività fisica concessa. Vale a dire che il detenuto deve decidere se andare a scuola (o in redazione), oppure se andare a passeggiare. Dico decidere perché una cosa, come s’è visto, esclude l’altra. Alle 8.30 vai a scuola, oppure aspetti le 9.00 per andare al passeggio. Alle 13.00, poi, lo stesso discorso. Questo è un problema non trascurabile, che il più delle volte costringe i detenuti ad abbandonare la scuola. Nove mesi di vita che passa soltanto tra l’aula scolastica del piano terra e la cella nel piano di sopra sono infatti un vero nemico per la salute. Questa staticità, non solo irrigidisce e dimagrisce i muscoli delle gambe, ma provoca anche la caduta dei capelli per la mancanza di sole e di aria, per non parlare delle malattie cardiovascolari. A vedere uno studente del terzo o quarto anno di fianco ad un detenuto che non frequenta la scuola, si nota una grande differenza. Subito ti colpisce il colore della pelle. Lo studente ha infatti il viso pallido e la pelle bianchissima, mentre l’altro è abbronzato e ha un aspetto vivo. Lo studente è magrissimo, oppure obeso, mentre l’altro ha un tono muscolare che dimostra la buona forma fisica di chi VIVE. Queste sono le prime cose che si notano: e che non sono una mia impressione personale, perché mi sono state confermate anche da professori e da altra gente che viene da fuori. Ora, nel carcere di Padova esiste un piano dove sono collocati i detenuti lavoranti: cuochi, spesini, operai etc. A questi la direzione, tenendo conto del fatto che andando a lavorare non possono passeggiare e prendere aria, ha concesso di poterlo fare dopo il lavoro, cioè dopo le 15.00. Ragionando per un attimo, e considerando da un lato l’attività di chi lavora tutta la giornata in piedi, e dall’altro di chi rimane fermo, seduto su una sedia per tutta la giornata, si può convenire che, se c’è qualcuno che ha più bisogno di andare a camminare un’ora, questi sono proprio gli studenti. Come tutti gli altri detenuti, gli studenti non possono accampare nessun tipo di pretesa nei confronti della direzione, in materia di organizzazione interna. È un dato pacificamente riconosciuto: queste sono le condizioni e puoi limitarti solo a scegliere tra lo studiare e il passeggiare. D’accordo, la regola generale è questa. Ma è pure vero che, come tutte le regole, anche questa ha un’eccezione: quella, appunto, che permette ai detenuti lavoranti di recarsi all’aria in orari diversi. Perché, allora, questa eccezione non viene estesa anche ai detenuti studenti, che come si è detto hanno una necessità di aria e di esercizio fisico ancora maggiore? Non si tratta insomma di avanzare pretese immotivate o di interferire nella gestione interna. Si tratta, più semplicemente, di chiedere che, se un detenuto sceglie come proprio percorso di reinserimento e di rieducazione quello dello studio, o delle attività culturali, sia considerato e trattato in maniera uguale a quella riservata a quei pochi che lavorano e producono. Se il lavoratore può passeggiare un’ora dopo il lavoro, non si vede perché non possa farlo anche lo studente, passeggiando un’ora dopo la scuola. Non è questione di divertimento e di rilassamento, ma di sopravvivenza. Ammalarsi in carcere significa accorciarsi la vita, di almeno dieci anni.
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