Dal T.S.O. all’O.P.G.

 

Dal T.S.O. all’O.P.G., come una semplice visita dallo psichiatra, può costare quasi due mesi di "manicomio criminale"

 

Di Elton Kalica, agosto 2003

 

Camminando lungo l’interminabile corridoio, ho incontrato un compagno di detenzione che chiamerò Mauro. So che è stato via per un bel po’, ma della sua assenza mi accorgo solo adesso che lo vedo, e mi incuriosisco, perché è una di quelle tante assenze silenziose che nessuno commenta mai, visto che qui c’è sempre gente che viene e che va. E allora gli chiedo di raccontarmi dove è stato. Capisco subito che lui gradisce l’idea di parlare e di sfogarsi con qualcuno, cosicché non posso fare altro che ascoltare in silenzio. La sua storia si rivela curiosa. Mauro, dopo più di tre anni di carcere, ha fatto una visita specialistica dallo psichiatra. Il dottore lo ha ricevuto con un sorriso e, dopo aver ascoltato con pazienza i suoi lamenti, ha fatto la diagnosi e prescritto la cura. In realtà la cura era il ricovero obbligatorio.

"Sognavo sempre delle cose strane" confessa Mauro. "Mi svegliavo alla mattina con un senso di stanchezza e pensavo a quello che avevo appena sognato. A volte erano immagini tetre e buie. Soffrivo, mi angosciavo e mi svegliavo tutto sudato. Allora la mattinata era rovinata. Quella era per me già in partenza una brutta giornata: mi chiudevo in me e non parlavo con nessuno. Mi prendeva una tristezza che mi pareva irreversibile, e che di solito durava delle ore. Poi, spesso, riuscivo a dimenticare questo mio malumore scrivendo una lettera oppure ascoltando della musica.

Ma non era sempre così. Altre volte i miei sogni erano belli, avventurosi o rilassanti. Allora mi svegliavo con la voglia di parlare a tutti, di scherzare, di divertirmi e andavo a fare qualche partita a carte coi miei compagni." Mauro racconta questi risvegli e mi guarda con degli occhi indagatori, come se cercasse di capire dalla mia espressione se c’è qualcosa di strano in lui. Rimango immobile per non influenzare e interrompere il suo racconto. "Dallo psichiatra ero andato a chiedere se era normale avere questi sbalzi d’umore. Gli spiegai tutto in maniera dettagliata, in modo da dargli più elementi possibile sulla mia condizione. Mi prescrisse subito dei farmaci. Seguii questa cura per circa una settimana, ma mi accorsi che le mattine erano sempre uguali: aprivo gli occhi ed ero triste e melanconico". Parla e mi rivolge uno sguardo dolce, come se volesse scusarsi con me della cattiva riuscita della cura e con gli stessi occhi volesse creare un sottofondo al suo racconto, come a dire che mica è colpa sua se la testa continua a fargli degli scherzi.

"Chiesi un altro colloquio con lo psichiatra", continua Mauro. "Lui mi chiamò relativamente presto, dopo due giorni. Non mi diede il tempo di finire che si mise a scrivere qualcosa. Mi disse che era tutto apposto e che non mi dovevo preoccupare. Dopo nemmeno tre ore, mi chiamano in accettazione e mi comunicano che lo psichiatra ha raccomandato il Trattamento Sanitario Obbligatorio (T.S.O.) in una struttura specializzata. La struttura specializzata naturalmente non può essere altro che l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario (O.P.G.) di Reggio Emilia. In pochi minuti mi trovo in un furgone blindato in viaggio verso il luogo di cura". Ferma il suo racconto, Mauro, come se tentasse di raccogliere per un attimo i ricordi sparsi nel suo cervello. Mauro è sui venticinque anni ma ne dimostra meno. Forse per la sua magrezza o forse per i capelli tagliati corti con il ciuffo che ricorda i bambini dell’asilo. Cerca di nascondere la sua altezza tenendo le spalle strette e curve come se stesse trasportando due pesanti e invisibili borse. Dopo un istante di pausa, sembra aver riordinato i suoi ricordi. Io aspetto che continui con il viaggio, invece la sua mente è già arrivata all’ospedale. "Appena arrivato al manicomio, l’ambiente mi si è presentato come una realtà molto crudele: pazienti legati sul letto, canti stonati di gente con le menti che sembravano del tutto assenti, grida strazianti provenienti da un altro tempo. Un vero incubo. Me la stavo facendo addosso. Tremavo dall’ansia. Sono riuscito a trovare un po’ di raccoglimento solo dopo essere entrato in cella. Per mia fortuna mi hanno messo in una cella dove ho trovato un ragazzo che, come me, era stato portato là per dei disturbi di poco conto. Veniva dal carcere di Torino, e si era visto trasferire per cura dopo una breve visita dallo psichiatra. Invece l’altro inquilino della nostra cella era proprio malato: disteso sulla branda c’era solamente un corpo abbandonato da ogni normale attività del cervello. Non c’era nessun tipo di controllo o di guida dentro quell’essere. Mi sono subito sentito molto dispiaciuto per quel ragazzo.

Lo specialista, dopo avermi visitato, arrivò alla conclusione che io non soffrivo di nessuna patologia grave e quindi disse che, dopo i circa venti giorni d’osservazione che la procedura prevede, sarei tornato in carcere. Poi continuò con le prescrizioni: "Ti faccio uno scalo del Talofen e del Seroquen, poiché questa cura è inutile. Devi prendere poi solo l’Anafranin che è un antidepressivo, e il Tegratel che è uno stabilizzatore dell’umore. Con questo vedrai che sarai più sereno e tranquillo".

Invece dei venti giorni d’osservazione, rimasi per cinquantadue, di giorni. Un vero incubo. Scene tremende che si ripetevano in continuazione. Facce sofferenti, corpi appesantiti dai farmaci, anonime vite che si trascinavano lentamente, appoggiate sui muri. Questo era lo spettacolo che mi somministravano ogni giorno per curarmi dalla mia grave malattia".

E con questa breve descrizione di quel grosso contenitore di dolore che è l’O.P.G, con occhi da pianto, come per sottolineare che non sarebbe mai in grado di descrivere realmente quello che ha visto in quei cinquantadue giorni, ma soprattutto promettendomi che non andrà più a farsi visitare da nessuno psichiatra di nessun carcere, Mauro conclude il racconto della sua avventura. Ci salutiamo e ci diamo un abbraccio forte, da uomini sani.