Oggi si respira un clima di violenza contagiosa

 

di Elton Kalica, settembre 2008

 

Essendo questa la mia prima esperienza di detenzione, quando entrai in carcere undici anni fa, credevo che il braccio di Alta Sicurezza in cui fui messo rappresentasse un po’ tutte le carceri italiane. I miei compagni di detenzione per la maggior parte erano imputati o condannati per associazione mafiosa, traffico internazionale di stupefacenti e sequestro di persona, tutti reati esclusi da qualsiasi beneficio di legge. Nei successivi cinque anni in cui rimasi intrappolato in quel braccio isolato, la mia rieducazione doveva realizzarsi in un ambiente dove le uniche persone che vedevo erano gli altri quarantanove detenuti e gli agenti, il che mi portò a credere che fino al mio fine pena non ci sarebbe stato nient’altro che una quotidiana lotta per la sopravvivenza in un luogo di miseria, di dolore e di abbrutimento. 

Poi, a un certo punto della mia detenzione, la direzione del carcere mi trasferì in una sezione cosiddetta comune. Anche lì ho trovato una cella uguale a quella precedente, ma per lo meno i detenuti erano diversi. La loro visione del carcere cambiava totalmente perché i loro progetti di vita erano proiettati fuori dal carcere e mi sono accorto da subito che parlavano una lingua arricchita da vocaboli per me nuovi, come “permesso premio”, “semilibertà e lavoro esterno”, ed erano tutti impegnati a trovare un’opportunità fuori dal carcere per andare a lavorare durante il giorno. Così ho scoperto un carcere più umano, che offriva delle possibilità a chi era disposto a coglierle. Rimanere indifferente era impossibile, così ho cercato di impegnarmi a tal punto che mi sono guadagnato anche una laurea in Scienze Politiche e sto facendo un Master di secondo livello in Diritti Umani.

È triste però pensare che non è più così. Se fossi uscito oggi dal reparto di Alta Sicurezza, non avrei trovato una situazione tanto diversa da quella che lasciavo. Con le modifiche di legge avvenute negli ultimi anni, anche nelle sezioni comuni sono sempre di più le persone che non possono sperare in una misura alternativa, e questa mancanza di prospettive si può vedere nella frustrazione dei detenuti, che invece di darsi da fare per cercare un lavoro fuori pensano a litigare e a far casino. Il carcere dovrebbe fare in modo che le persone imparino ad osservare la legge e a controllare i propri istinti, ma io vedo intorno a me sempre più persone schiacciate da un sistema puramente punitivo, e questo sicuramente non aiuta la nostra rieducazione.

Oggi il clima che si respira è quello di una violenza fuori controllo, e le grida che quotidianamente echeggiano per i corridoi denunciano malcontento, frustrazione e disagio. La paura è che questo clima finisca per produrre un vortice di violenza in grado di trascinarsi dietro tutti, detenuti e agenti.