Matriarcato in carcere?

Ci sono donne capaci di mettere in riga anche i più duri

Noi detenuti siamo un po’ come un paese in guerra, che solo quando ha mandato ormai tutti gli uomini al fronte, e nelle fabbriche e negli ospedali vanno solo le donne, allora capisce che senza di loro si muore

 

di Elton Kalica, giugno 2008

 

Credo sia abbastanza riconosciuto il maschilismo di molti detenuti, e anche il fatto che siamo pieni di noi, convinti di essere persone forti, pronti ad affrontare ogni pericolo a rischio anche della nostra stessa vita. Solo che momentaneamente abbiamo un piccolo problema: siamo un po’ costretti a stare in gabbia. D’altro canto, anche le persone libere hanno a volte di noi una immagine pressoché simile e ci credono uomini duri, abituati a imporci con la forza e sempre intolleranti ad ogni regola o restrizione. Forse è proprio così, e questa caratteristica dei detenuti non interessa solo l’Italia ma un po’ tutte le carceri del mondo; forse siamo finiti qui proprio per il nostro carattere ribelle ed orgoglioso. Di certo, se questa è la regola del detenuto “standard”, esiste anche una straordinaria eccezione che si trova proprio nella nostra redazione di Ristretti Orizzonti dove, da dieci anni, a comandare con coraggio e autorevolezza noi detenuti è una donna.

Qualcuno potrebbe pensare che, se ciò accade, è perché noi siamo un gruppo di detenuti particolari, dalla mentalità aperta, e che quindi siamo poco rappresentativi. Però, anche se cercare le ragioni nella tipologia dei detenuti redattori è comprensibile – basta pensare che ancora oggi sono molte le persone che guardano con sfiducia le capacità delle donne ai posti di comando, credendole tutte ugualmente inadeguate a occupare posizioni dove servono autorità e durezza – invece bisogna sapere che la nostra redazione è molto eterogenea. Ci sono persone provenienti da ogni parte del mondo, aderenti a diverse religioni, differenti culture e appartenenti a tutte le fasce d’età. Ma stranamente siamo tutti disposti a riconoscere l’intelligenza e la determinazione di una donna particolare.

Ornella non è solo il solito direttore di un giornale al quale importa assegnare compiti, controllare il rendimento o verificare i risultati. Se lei decide di usare la sua autorevolezza lo fa per costringere tutti noi a discutere. E questo ce lo impone con tutte le sue forze, perché sostiene sempre che è dal confronto che deve nascere ogni numero del giornale. Spesso si finisce anche per litigare poiché magari a qualcuno non va bene l’argomento, a volte gli animi si accendono e si sentono le urla fino alle celle del secondo piano, ma siamo convinti che questo sia il prezzo che dobbiamo pagare.

La cosa più importante è che Ornella e le volontarie che lavorano al giornale non si tirano mai indietro, di qualsiasi cosa si discuta, perché nessun argomento deve essere snobbato, o trascurato perché troppo complesso e delicato, ma va affrontato ragionando insieme: un imperativo, da cui non si scappa, è che bisogna ragionare collettivamente per riuscire a renderci conto di quello che ci è successo e continua a succedere intorno a noi, e solo così forse arriveremo anche ad assumere coscienza del nostro destino e delle nostre responsabilità.

Accade pure che questo chiodo fisso di volerci far aprire gli occhi non viene capito, succede che qualcuno si stringe nelle spalle consigliando di lasciar stare perché non vale la pena discutere, ma niente scoraggia mai queste donne che il giorno successivo ritornano ancora più cariche di argomenti e determinate a metterci in riga e farci cambiare idea, se necessario.

 

Volontarie coraggiose che costantemente presidiano la galera

 

Non so se nell’antichità ce ne sono state molte, di società basate sul matriarcato; non so se l’antica e assurda credenza, secondo cui le donne sono per natura inferiori agli uomini, sia da imputare del tutto alle religioni; certo c’è una grossa responsabilità di noi uomini, che storicamente abbiamo voluto avere il controllo assoluto sulle nostre donne, ma io di una cosa sono sicuro: le donne sono state le prime ad essere discriminate. Sono state umiliate e maltrattate molto prima degli schiavi, prima degli ebrei, prima dei rom e prima di noi immigrati. E allora noi che siamo i più emarginati dovremmo capire meglio di chiunque quanto hanno sofferto, e quanto rispetto invece meritano.

Se oggi nel carcere di Padova si sta un po’ meglio è proprio grazie a tutte queste volontarie coraggiose che costantemente presidiano la galera, pronte a dare battaglia per i nostri diritti. Posso affermare che basta questo per convincere chiunque che la perdita più grande dell’essere umano è stata quella di aver impedito per secoli alle donne di agire in libertà.

È triste però pensare che un uomo debba entrare in galera per capire l’importanza delle donne. Noi detenuti siamo un po’ come un paese in guerra, che solo quando ha mandato ormai tutti gli uomini al fronte, e nelle fabbriche, negli ospedali e a raccogliere le patate vanno le donne, allora capisce che senza di loro si muore. Anche noi, una volta finiti qui dentro siamo stati costretti a vedere come le nostre madri, le nostre sorelle e le nostre mogli sono andate a lavorare per portare la pagnotta a casa, e portarla, in un certo senso, anche a colloquio. E allora guardiamo Ornella e tutte le volontarie che entrano qui e ci rendiamo conto che, in fin dei conti, la nostra forza fisica non ci è stata tanto utile nella vita, e che loro, le donne, senza avere bisogno della nostra forza sono riuscite a vivere meglio di noi e sono in grado anche di prendersi cura di noi.