Le troppe promesse della politica

Trasferire i condannati stranieri è una promessa che nessun Governo può mantenere

Scontare la pena nel proprio paese di origine: a dispetto di tanti proclami di politici, ci sono detenuti che aspettano da anni di poter scontare la pena a casa loro

 

di Elton Kalica, marzo 2008

 

Sono quattordici anni che abito in questo paese e alla vigilia di ogni elezione puntualmente sento i politici parlare di lotta agli immigrati che delinquono e immancabilmente promettere di mandare tutti gli stranieri condannati in Italia a scontare la pena nel proprio Paese. Tempo fa avrei anche potuto crederci, visto che non ero abituato a dubitare delle cose dette per televisione, però mi trovo in carcere da dodici anni e, oltre ad aver assunto una natura sospettosa, sono diventato anche un buon conoscitore di questa matteria, dato che siamo in molti ad aver chiesto di scontare la pena vicino a casa, ma fino ad ora le persone trasferite sono pochissime rispetto alle richieste. Allora sono portato a pensare che quelle persone che hanno inserito questo “impegno” nel proprio programma politico non conoscano bene il tema del trasferimento delle persone detenute.

Racconto il mio caso per rendere meglio l’idea.

Dopo l’arresto per un reato grave nel 1997 vengo processato. Il giudizio non è dei più lunghi, quindi, dopo tutti i passaggi previsti dalla legge, la mia sentenza di condanna diventa definitiva nell’arco di quattro anni. Tutta la mia famiglia vive in Albania e l’unico modo che mi viene concesso per comunicare con loro è una telefonata di dieci minuti una volta a settimana. Il tempo passa e i miei genitori stanno sempre peggio senza vedermi, quindi nel 2001 decido di voler andare a scontare la pena in un carcere vicino a casa. Dopo essermi documentato ho scoperto l’esistenza della Convenzione di Strasburgo che disciplina i trasferimenti delle persone condannate. Per coincidenza scopro inoltre che è stata appena sottoscritta tra l’Italia e l’Albania e quindi tutti quelli che sono stati condannati definitivamente possono fare richiesta. Faccio subito la richiesta di essere trasferito in un carcere albanese.

Siamo nel 2008 e io sono ancora in Italia. La cosa curiosa è che mi risulta che il Ministro Castelli non ha firmato nemmeno una delle 445 richieste fatte dai condannati albanesi durante il periodo in cui è stato in carica. E nemmeno il suo successore pare abbia ancora firmato qualcuna di queste istanze.

Di fronte a queste lungaggini della burocrazia davvero non capisco su che cosa si basa chi urla e promette di mandare via gli immigrati condannati.

Voglio fare due conti. Se calcoliamo che in media la sentenza di condanna diventa definitiva dopo tre anni si ha già una riduzione delle persone che potrebbero essere trasferite, e cioè quelle che hanno delle condanne relativamente alte. Aggiungiamo l’attesa per il compimento della procedura internazionale di trasferimento, che è di altri tre anni, ciò conferma che questa misura può essere applicata a chi ha condanne davvero alte. Infine ricordiamoci che la Convenzione di Strasburgo stabilisce che deve essere il condannato a richiedere il trasferimento, e dunque può accadere che qualche condannato non voglia ritornare nel proprio paese dove magari ci sono delle condizioni carcerarie disumane. Il risultato mi sembra abbastanza chiaro: ad essere trasferiti nel proprio paese sarebbe davvero un piccolo numero di detenuti, quindi non può mai essere una soluzione del problema sicurezza.

Sono dodici anni che mi faccio la galera in questo paese e alla vigilia di ogni elezione puntualmente sento i politici parlare di sicurezza, però in tutti i discorsi vedo soltanto propaganda e a volte odio: propaganda perché promettono cose palesemente irrealizzabili e odio perché cercano di convincere la gente che i veri problemi di questo paese sono gli stranieri, i tossicodipendenti, gli zingari e i mendicanti, promettendo repressione. E vedo che sempre più persone sono coinvolte in questo clima di intolleranza, un clima in cui non vivono bene né i detenuti e nemmeno le persone “regolari”, italiane o straniere che siano.