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Un albanese in galera legge "L’orda, quando gli albanesi eravamo noi"
E si consola del suo presente scoprendo il nostro duro passato di emigranti
Di Elton Kalica, marzo 2003
Un coraggioso viaggio nel passato, ma proiettato anche verso il futuro. Dalla prima pagina sino all’ultima mi sono sentito preso per mano e guidato in questo percorso di sofferenza e di dolore, di rabbia e di vergogna e di sporcizia. Un viaggio nel passato, perché l’autore va, indietro nel tempo, a visitare le baracche degli emigranti italiani in America, dove, odiati da tanti, vivono ogni giorno la paura insieme alle preoccupazioni e alle ansie della vita quotidiana, e dove succede anche di essere linciati. Poi va a visitare le miniere del nord Europa e trova altre baracche sudice, dove altri emigranti dormono a turno nello stesso vecchio letto; poi va ad assistere ad altri linciaggi di emigranti in Australia, dove altri emigranti si sono già dimenticati del loro ancora vicino e sofferto passato; ma non si dimentica neppure dei vetrai francesi, che impiegano in tutte le mansioni più dure i bambini per la loro agilità e il basso costo del lavoro, quindi va a visitare anche loro e a vederli morire. E il viaggio continua poi sulle navi cariche di ragazze napoletane, pugliesi e venete, trasportate in Egitto dai loro compaesani, amici o semplicemente trafficanti per fare la più vecchia delle professioni; e poi va "in visita" da serial killer, da assassini, da terroristi e da anarchici, tutti italiani emigrati, e il suo non è più un viaggio ma un vero pellegrinaggio pieno di soste nei posti della sofferenza, della vergogna o, semplicemente, dove questo vostro paese ha scritto tante pagine della sua storia. Inutile commentare le mie sensazioni da albanese in galera: sarebbe un infierire. Ho fatto leggere il libro ad uno skin-head che sta qui in galera e finalmente l’ho visto… soffrire, ho visto per un secondo passare nei suoi occhi l’illuminazione e, forse, qualcosa è cambiato. Comunque una cosa è certa, finito di leggere, ti guardi intorno e realizzi che sono pochi quelli che ricordano o che vogliono ricordare, quelli che capiscono o che vogliono capire, sono in pochi a voler ricordare questo passato tra i ragazzi, i padri, le madri italiani, ma soprattutto nei tribunali che giudicano noi migranti. Allora ti senti di offrire questo scritto come l’ultima speranza di cambiare qualcosa nelle tante menti confuse e anche in quelle lucide.
Non è uno scritto comune, non è un romanzo del quale tra due mesi non ti ricordi più neanche il protagonista. Questo non è il solito libro commerciale di successo che spera di trasformarsi in grande film e invadere i cinema. Non è nulla di spettacolare, se non un libro di storia e d’attualità, di cultura e di formazione, di politica e di sociologia. Un libro che tutti i genitori dovrebbero regalare ai loro figli, che tutti gli insegnanti dovrebbero imporre ai propri studenti e che i mass media dovrebbe pubblicizzare. Un libro da leggere soprattutto oggi che l’Italia vive con sorpresa e preoccupazione il fenomeno dell’emigrazione, oggi che, ad un tratto, si è dimenticata del vicino passato. Questo libro ricorda le pagine più oscure della storia dell’emigrazione italiana, pagine fondamentali per imparare che il nonno o lo zio si è spezzato la schiena da emigrante in una atmosfera miserabile, circondato dall’odio dei padroni e a volte dalle faccende criminali di alcuni compaesani. Queste pagine illustrano una realtà che spesso non è chiara e lineare come i calli sulle mani degli operai, e che comunque ha sempre dei colori tragici. Significativi gli episodi d’intolleranza e xenofobia subiti dagli italiani in paesi quali l’Australia, l’America del Nord come quella del Sud. In Australia è successo che una intera comunità linciava e costringeva gli italiani ad andarsene, in America epiteti come mafioso, anarchico, bombarolo e sovversivo hanno etichettato una intera generazione di emigranti.
"L’orda" è un libro per conoscere, e ancora di più per non dimenticare che l’emigrazione è soprattutto questo: e non si può dimenticarsi infatti degli italiani linciati, ammazzati, impiccati o incarcerati solo perché emigranti; non si deve dimenticarsi dei bambini italiani venduti e sfruttati, nelle vetrerie francesi, fino alla morte; non si deve dimenticarsi delle centinaia di donne italiane che si prostituivano per le strade del Cairo. Ma non si deve soprattutto dimenticare che le facce della povertà sono tantissime e che i ragazzi d’oggi, le ragazze, i comuni, le regioni, il governo e anche i giudici stessi, figli e nipoti della povertà, dovrebbero assumere atteggiamenti comprensivi e diversi dalla xenofobia e dal razzismo subiti dai loro genitori. Il titolo: "Quando gli albanesi eravamo noi" non vuole solo spingere il lettore indietro a guardare il passato, ma anche invitarlo a girarsi a guardare avanti e ad assumere un giusto atteggiamento verso il futuro.
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