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Si ritorna sempre ad amare Il carcere dovrebbe privare le persone soltanto della loro libertà, ma non si limita a questo. Accanto alla libertà la detenzione degrada la mente che non pensa più, distrugge il fisico che non si muove più, inaridisce il cuore che non ama più
di Elton Kalica, novembre 2006
Non sono superstizioso e non mi spaventa quella vecchia credenza che vieta di raccontare un sogno, prima che trascorrano ventiquattro ore, pertanto, mentre faccio palestra, mi diverto a raccontare i miei sogni ad alcuni compagni di detenzione, che ormai sono stanchi di ripetermi che i sogni non si raccontano appena sveglio, ma che si scrivono su un foglio. La realtà è che il mio sonno è sempre tempestoso, un inconscio che si diverte tra avventure sconvolgenti e intensi eventi che si susseguono fino al risveglio: da quando sono in galera lavoro molto di fantasia per mantenere il contatto con una realtà da cui sono fisicamente lontano, e probabilmente la mia mente immagazzina delle informazioni che poi rielabora a modo suo e, quando dormo, mi trasporta in luoghi desiderati o temuti, in circostanze spesso bizzarre, in situazioni che soltanto l’inconscio può creare. I tanti anni trascorsi in carcere mi hanno cambiato poco il fisico e il carattere, mentre la cerchia d’amici e parenti, che un tempo quasi mi soffocava, adesso è sparita. Quello che mi resta è che, una volta l’anno, ricevo la visita dei miei genitori. L’Albania, il posto dove vivono i miei, è lontana ed ottenere un visto d’ingresso per venire in Italia non è per nulla facile. Ricordo che all’inizio della carcerazione non ero del tutto solo. Poche settimane prima dell’arresto mi ero innamorato di una ragazza, una immigrata albanese che viveva a Milano insieme alla sua famiglia. Nonostante tutta la mia faccenda giudiziaria, lei aveva continuato a starmi vicino durante il processo. Non poteva venire a trovarmi, ma in compenso mi scriveva regolarmente, raccontandomi tutto ciò che le succedeva a scuola e quante pagine del suo diario dedicava al desiderio di vedermi di nuovo fuori. Poi giunse la condanna, diciassette anni di pena, e decisi di fare ciò che ogni condannato orgoglioso fa: le dissi di dimenticarmi, di continuare la sua vita senza pensare alla mia disgrazia e senza dover rinunciare a nulla soltanto per mantenere fede ad un amore adolescenziale. Lei pianse, si dibatté per alcuni giorni, e poi accettò la mia proposta. Smise di scrivermi e io la dimenticai. Adesso sono passati dieci anni, sono ancora in carcere e non rimpiango per nulla di aver contribuito ad interrompere una relazione che avrebbe prodotto soltanto dolore ad entrambi. Fare diciassette anni di carcere e basta è un conto, fare diciassette anni di carcere amando una donna – che puoi vedere soltanto per qualche ora al mese, divisi da un tavolo e senza poterla abbracciare, baciare, sentirne l’odore della pelle – è una tortura. Meglio una carcerazione in solitudine e senza coinvolgimenti sentimentali. Tuttavia, questo non significa che sono solo, lontano dagli sguardi della gente. Mi occupo di varie attività all’interno del carcere e questo mi permette di avere il privilegio di stare dieci ore al giorno fuori dalla cella. Essere a contatto con educatori, docenti, insegnanti, assistenti sociali e volontari mi aiuta a tenermi attivo e a non atrofizzarmi come i pochi mobili della mia cella, come il cancello che la guardia apre lentamente ogni mattina. E quando guardo le persone che ogni mattina entrano in carcere, cariche di vitalità e di energia, mi dimentico del dolore che traspira dalle mura di cemento e nel corridoio dove un agente nervoso fa la conta delle solite cinquanta persone avvilite; mi dimentico della cattiveria che il destino ha dimostrato nei miei confronti, e, fin quando sto con le persone che vengono da fuori, mi sento uno di loro. Ma la cosa non è sempre piacevole. Questa mattina non ho raccontato il mio sogno a nessuno: e pensare che era un sogno bellissimo, durato abbastanza da poter vedere tutto quello che vorrei un giorno si realizzasse. Avrei voluto non finisse mai, stare in quel letto abbracciandola, baciandole i capelli, ad occhi chiusi per non ritrovarmi in una cella. Il sogno che non volevo raccontare ai miei compagni non era affatto la scena di sesso in cui mi ritrovo in modo ricorrente. Invece, decisi di mantenere il silenzio perché il mio inconscio mi aveva portato in uno scenario molto semplice: un tavolino, un foglio di carta e io che scrivevo una lettera, mentre un sentimento mi stringeva forte il petto. Non era una sensazione nuova, anzi conoscevo talmente bene quella sensazione che per un momento mi era venuto il dubbio che si trattasse di una circostanza già vissuta in passato. Tutto mi era così familiare, la lettera, le parole d’amore che scrivevo, il cuore che batteva: era ovvio che ero innamorato, ma di chi? Io che ho deciso deliberatamente di interrompere un amore perché sto in carcere, adesso, nel sogno, mi ritrovo col cuore che batte forte per una donna. Era una cosa molto strana perché nel sogno riempivo velocemente il foglio di carta scrivendo di questa donna, di come sin dal primo giorno che l’avevo vista si era creata tra noi una tenera e appassionata amicizia. Di come l’abbracciavo continuamente con i pensieri, la baciavo con gli occhi della mente, come cercavo sempre d’averla vicino, e se non la vedevo almeno per qualche minuto, mi sentivo inquieto e non vedevo l’ora che ritornasse. Non m’imbarazzava tanto il fatto che scrivevo nel sogno – l’inconscio è sempre stato beffardo con me e spesso mi porta in circostanze bizzarre che poi trovo imbarazzante raccontare – quanto perché ero completamente innamorato. Quando parlo con i miei compagni di possibili storie d’amore, tanti sostengono che in galera chi non ama soffre a metà. Come si fa a non dare atto che chi non ha una moglie o una fidanzata che l’aspetta fuori soffre meno? Tuttavia, dopo aver sognato qualcosa che avevo dimenticato da anni, dopo aver sentito battere forte il cuore per una donna – continuo a conservare la sua immagine nonostante il sogno sia finito –, dopo aver rivissuto una sensazione forte come quella del mio primo amore, sto persino dubitando della validità della convinzione che in galera si vive bene da soli: sognandomi innamorato ho scoperto qualcosa che mi manca, e che mi accorgo ha una grande importanza di cui prima non mi rendevo conto. In galera si vive bene da soli, ma si vive sempre a metà. È bastato poco per sentirmi per qualche minuto una persona intera. Stamani ho cercato di ritrovare il mio sogno, per comunicare di nuovo le mie emozioni, ma non era facile. Ho creato con la fantasia la sua immagine e ho iniziato a scriverle, senza lasciare tanto trasparire il bisogno che ho di una donna così, per non farla scappare da subito. Quindi mi sono concentrato sulle parole da dire e mi sono sforzato di pensarla come una persona da conquistare, per provare le mie forze, provare la capacità che ho di ricostruire un rapporto dignitoso, ma dopo un po’ ho ceduto e ho confessato il mio desiderio. Inevitabilmente sono cascato in quella meravigliosa artificiosità che hanno gli sguardi degli amanti e a quel punto ho tentato di fare un discorso che è risultato disastrato, perché seguiva vie contrarie a tutte le regole della logica, mentre lei, cauta, si univa soltanto con la sua complicità. Alla fine ho concluso la lettera con delle parole che non avevano niente di innocente. Dopo dieci anni di carcere, per quanto mi sia isolato per paura di scoprirmi innamorato, alla fine forse è successo davvero, o forse solo in sogno, ma quella situazione così irreale che è venuta a crearsi mi ha causato un forte sconvolgimento fisico – e dire che mi sono sempre reputato un uomo dallo stomaco forte –, mi ha fatto capire quanto il destino è cinico, e mi ha fatto sentire quanto io sono piccolo e impotente rispetto alle circostanze che la vita impone. Volevo abbracciarla forte ma non si poteva, e i suoi occhi mi si sono ripresentati nella loro forma più provocante per incastrarmi nell’angolo della sofferta solitudine della notte, senza concedermi alcuna speranza di fuga, e mentre disperato cercavo di alzare le difese, mi sono ritrovato in un sogno dove la tenevo tra le braccia, con la pazza voglia di stare in quel letto abbracciandola, baciandole i capelli, a occhi chiusi per non ritrovarmi sveglio in una cella. Vorrei tanto che avessero ragione quelli che non credono nell’amore di un condannato, e che il mio amore fosse soltanto un capriccio passeggero, dovuto all’isolamento del carcere e alla mancanza di donne. Avrei voluto anche che i miei tentativi di cancellare per sempre i miei sentimenti fossero riusciti, così come desidererei che, fin quando sto in galera, la parola amore sparisse per sempre dal mio vocabolario, ma purtroppo nulla di ciò può succedere. Il carcere dovrebbe privare le persone unicamente della loro libertà, ma non si limita soltanto a questo. Accanto alla libertà la detenzione degrada la mente che non pensa più, distrugge il fisico che non si muove più, inaridisce il cuore che non ama più, e tutte queste sono violenze gratuite che lo Stato compie ogni giorno su migliaia di detenuti, ma che non hanno effetto su di me, che studio per mantenere la mente giovane, mi alleno per tenere il fisico vivo, e che da oggi ho un cuore che ha cominciato a battere forte per una persona, che sembra fatta soltanto per essere amata. In galera la sofferenza ti cambia, ti insegna e ti matura, ma il cuore rimane sempre avido d’amore e d’affetto, e nemmeno le sbarre o il cemento sono riuscite a proibirmi di innamorarmi. Non bastano né dieci né cento anni di galera per fermare la forza del mio cuore che è abituato ad amare una donna bella. E questo cuore, dovunque incontri quella donna, che sia una discoteca o il corridoio di un carcere, batterà sempre forte, come sa battere soltanto nel petto di chi sa amare. |
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