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50 numeri e tanta, tantissima galera Attualmente siamo ventuno detenuti a lavorare in redazione e, sommando le condanne, si superano i duecentocinquanta anni di galera, senza contare un ergastolo. Questo è dovuto anche alla presenza di un buon numero di stranieri, che alza di molto la media delle condanne
di Elton Kalica, luglio 2005
Fare un giornale dal carcere non ha niente di nuovo. Decine sono le testate sparse tra le carceri italiane, giornali che sono prodotti rigorosamente da detenuti, poi redatti e stampati con l’aiuto dei volontari. Ma fare un giornale che raggiunga il suo cinquantesimo numero senza alcuna interruzione ha certamente qualcosa di straordinario, visto che pochi ci riescono. In realtà, tanti giornali non solo non hanno avuto la nostra fortuna di sopravivere così a lungo, ma addirittura parecchi tentativi sono falliti sul nascere, oppure si sono spenti dopo appena qualche numero. Quante volte abbiamo visto, felicemente, nascere giornali carcerari ricchi di storie interessanti e di idee, e poi, con rammarico, li abbiamo visti puntualmente chiudere. Noi di Ristretti conosciamo bene le cause, e, se dobbiamo cercare di trovare qualcuno, o qualcosa, a cui imputare questi spiacevoli effetti ci risulterà assai semplice. Basta andare per esclusione. Sicuramente non si può puntare il dito contro il lavoro dei volontari. L’Italia è un paese di volontari dove ogni città, o paesino che sia, ha un’associazione di volontari che opera nel sociale, e vi sono sempre più numerosi quelli che sono attivi all’interno del carcere più vicino: sono persone sempre disposte ad aiutare il prossimo, ma anche cariche d’inventiva e capacità umana. Perciò, se un giornale non riesce a prendere il volo, oppure cade appena decollato, non è certo per la cattiva organizzazione dei volontari. L’altra variabile che rimane da considerare sono i detenuti. Sono loro l’anima, da cui il giornale prende l’energia per sopravvivere, perché sono loro il motore che produce la pregiata informazione, mentre i volontari sono certamente dei buoni timonieri, che non si possono però esprimere al meglio senza una macchina funzionante. Ma allora, se è colpa dei detenuti se tanti giornali si sono eclissati, cosa abbiamo di diverso noi di Ristretti Orizzonti, e altri giornali come noi, che portiamo avanti una nave così “inaffondabile”? Sarà la nostra bravura, la volontà, la passione o che altro? Sicuramente queste caratteristiche ci sono – di certo non sono mancate nemmeno a quelle persone che ci hanno creduto, e che poi hanno visto fallire i propri tentativi – ma in realtà la verità è un’altra, e molto semplice. La corazza della nave Ristretti Orizzonti è fatta di anni di galera. Di persone che portano insieme sul groppone centinaia di anni di galera, e che hanno deciso di investirli in un modo produttivo. Prima di tutto in se stessi per rafforzarsi le spalle e la mente, e poi sul lavoro della redazione per mantenere in vita il giornale dedicandogli passione e amore, con la convinzione di fare la cosa giusta. Fare un giornale in un carcere giudiziario, dove si entra e si esce con il ritmo delle stagioni, comporta naturalmente difficoltà logiche. A meno che non capiti un arresto in massa di giornalisti, o di gente ben istruita e con la voglia di passare le giornate in redazione, le probabilità del buon esito del giornale sono minime. Un carcere giudiziario non è l’ambiente ideale per fare nascere un giornale, poiché la gente vi fa poca galera, e passa quel breve periodo d’isolamento combattendo con le ansie dell’attesa, e le angosce del processo. In questo modo, i tentativi dei volontari di mettere su un’attività si rivelano sempre dei lavori basati sul brevissimo tempo, e condizionati dalla composizione momentanea della popolazione detenuta. Alla Casa di reclusione di Padova, fino a qualche tempo fa, veniva mandato chi aveva una condanna superiore ai cinque anni, e solo da questa massa di condannati è potuta emergere quella dozzina di persone che hanno fondato Ristretti Orizzonti. Un dato certo è che, mettendo insieme le loro sentenze, si superavano i duecento anni di galera, con in più qualche ergastolo: un ingente capitale “immobile” da investire con profitto in qualsiasi attività.
Oggi, guardando indietro, vediamo le centinaia di anni di galera che hanno portato nella redazione i detenuti
Però c’è da tenere in considerazione anche un dato assai rilevante. Con grande consapevolezza noi detenuti siamo riusciti a togliere tutti questi anni all’ozio della branda e del televisore a colori, e abbiamo trovato il coraggio di sbatterli con franchezza intorno ad un tavolo per sfruttarli con lo studio e con il lavoro, sono stati questi due momenti importanti che ci distinguono da tanti altri nostri compagni di sofferenza che continuano a trovare difficile abbandonare le telenovele, e i talk show. Tuttavia, non si può negare che questa nostra esperienza ha, in seguito, contagiato decine di persone. E lo fa tuttora. Ma, purtroppo, i detenuti coinvolti potevano essere molti di più, conosco delle persone intelligenti e con una notevole quantità d’anni di galera da fare, ma che non sono riuscite a rinunciare alla propria branda, o semplicemente non sono abituate a regalare il proprio tempo, sicuramente per niente prezioso, a un ideale che, di conseguenza, paga soltanto idealmente. E gli stranieri, ringraziando i loro misfatti e la “generosità” dei giudici nel dare gli anni di pena a iosa, hanno accumulato abbastanza galera da diventare spesso delle colonne portanti per Ristretti Orizzonti L’altra fortuna della nostra redazione è stata quella di non essere mai rimasta vuota. A riempirla sono stati italiani, albanesi, romeni, turchi, tunisini, marocchini, e quasi tutti hanno messo insieme quella tolleranza conosciuta solamente da chi ha fatto tanti anni di carcerazione, con l’obiettivo di fare una corretta informazione, di produrre un buon giornale. Attualmente siamo ventuno detenuti a lavorare nelle attività di Ristretti Orizzonti e, sommando le nostre condanne si superanno i duecentocinquanta anni di galera, senza contare un ergastolo. In realtà, questo è dovuto anche alla presenza di un buon numero di immigrati, che alza di molto la media delle condanne, ed è un elemento che va a rafforzare l’importanza che gli anni di galera giocano nella vita del nostro giornale, soprattutto per quanto riguarda il coinvolgimento degli stranieri. Superare dapprima le difficoltà che comportano sia la lingua italiana sia la mentalità e la cultura, per poi formarsi, e acquisire abbastanza competenze da poter lavorare in un giornale, significa impiegare degli anni. E gli stranieri di Ristretti Orizzonti, ringraziando i loro misfatti e la generosità dei giudici nel dare gli anni di pena a iosa, hanno accumulato abbastanza galera da diventare spesso delle colonne portanti per Ristretti Orizzonti. Affianco agli italiani, i detenuti stranieri hanno imparato a scrivere articoli, a curare le pagine web, a impaginare il giornale, a organizzare la spedizione e a fare perfino interviste per corrispondenza: difficile trovare, in un carcere giudiziario, persone con la capacità di svolgere questi compiti, sicuramente vitali per un giornale, se non si ha il tempo di insegnarglielo. Oggi si festeggia il cinquantesimo numero del nostro giornale, indubbiamente una fonte di soddisfazione per chi vi ha contribuito per anni. Certo che le feste di anniversario ti lasciano sempre un retrogusto amaro, perché si pensa al tempo andato. Noi di Ristretti Orizzonti oggi, guardando indietro, vediamo le centinaia di anni di galera che hanno portato nella redazione i detenuti, e ci rallegra solo l’idea di avere avuto la fortuna di essere capitati in un carcere dove i tanti anni di galera creano la condizione giusta per produrre un giornale importante, ma certo se penso che potevo capitare in un Paese dove i giudici danno gli anni di pena con il contagocce e dove i detenuti li espiano per la maggior parte in misure diverse dal carcere, l’amarezza è grande. |
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