In carcere, la scuola può riempirti la vita

 

Da una lettera di un ragazzo albanese, detenuto in Alta Sicurezza: "è strano come per l’ennesima volta a portare luce nella mia cella sia stata la scuola"

 

Di Elton Kalica, ottobre 2001

 

Questa è una specie di pagina di "diario carcerario" che ci ha mandato un detenuto albanese della sezione di "Alta Sicurezza". La pubblichiamo perché esprime efficacemente la sensazione di vuoto di una "ordinaria giornata di carcere", là dove non ci sono attività di nessun tipo e la gente consuma la sua vita in branda, e anche perché altrettanto bene spiega quanto sia importante il ruolo della scuola in realtà come queste. Una buona notizia: da ottobre 2001, in Alta Sicurezza funziona un corso regolare di scuola superiore, gestito dall’Istituto Tecnico Commerciale A. Gramsci.

 

Fa caldo, il sole a quadri batte dentro la cella come se volesse sostituire la torcia elettrica che la guardia usa di notte. I muri si sono riscaldati ed emettono calore forse più del sole stesso. La televisione sintonizzata sempre su M.T.V. ormai funziona solo da sfondo. Io, sdraiato sul letto leggo un romanzo che mi ha tenuto con il fiato sospeso fino ai tre quarti: ora però, all’epilogo, mi delude al punto, che prendo in considerazione l’idea di gettarlo fuori dalla finestra.

In questa normale routine di vita carceraria, ultimamente ho come la sensazione di una mancanza. È come quando esci di fretta ed hai l’impressione di avere dimenticato qualcosa, ma non sai cosa. Così anche io, immerso nella monotonia delle mie giornate, sento qualcosa che non va ma non so cosa. Comunque avere sensazioni difficilmente decifrabili è una cosa normale per me. A stare in cella 20 ore al giorno ed avere il corpo fermo così a lungo, tutta l’esistenza o meglio l’attività si sposta all’interno della testa, nel cervello, dove sensazioni, pensieri, domande, complessi, stress e depressioni sono funzioni e disfunzioni più che normalissime. Perciò, come al solito non ci penso più di tanto e riprendo a leggere. Leggo a voce alta così almeno caccio via tutti i pensieri e magari miglioro anche il mio italiano.

Mentre leggo mi viene voglia di prendere un caffè. Così, mi alzo e mi affido alla vecchia macchinetta, la quale in tema di compagnia è seconda solo ai libri. Appena verso il caffè nella tazza e riprendo a leggere sento chiamare dalla guardia il mio cognome: "Kalica venga al terminale"; "Subito agente!"

Vedo che chiama anche altri compagni. Di solito cerco di trovare un "link" tra i nomi per riuscire a prevedere il motivo della chiamata e magari la destinazione che comunque è sempre limitata tra ufficio matricola, visita medica o al massimo infermeria, questa volta sono uscito come un robot, senza pensare a niente. Avrei preferito prendere il caffè prima. Non so se mi devo disperare perché non trovo la tranquillità nella tranquillità e non posso dire: "Aspetta che mi prendo il caffè prima", o devo saltare di gioia perché comunque ho l’occasione di uscire fuori dalla cella e posso percorrere tutto il corridoio e magari fermarmi a scambiare due parole con qualche compagno.

Entro nella stanza a fianco del terminale dove è situata l’aula scolastica e vedo con grande sorpresa e grande gioia le professoresse Rossella e Luisa sorridenti come sempre che scambiano qualche parola con gli altri compagni arrivati prima di me. Sono molto felice di rivedere le professoresse che si sono date con tutta l’anima per insegnarci ad apprendere la cultura e farci sostenere gli esami. Lavoro per niente facile. Le saluto e dopo avere parlato un po’ delle ferie estive, mi accorgo che hanno portato i diplomi.

"Olà", dico sorpreso, "di bene in meglio!".

Penso: veramente una giornata fortunata, sono fuori dalla cella, sto conversando con delle splendide signore e sto per ricevere un diploma in una lingua straniera. Perfetto, se tenessi un diario sono sicuro che avrei riempito intere pagine con questa giornata.

L’atmosfera è calorosa e molto toccante, è più o meno come un dopo festa di compleanno dove ti senti bene perché pensi di essere cresciuto in un anno, ma poi ti senti un po’ male pensando ai tempi che non tornano più e ti si forma un nodo nello stomaco. Con questa esatta sensazione saluto le professoresse. Ci scambiamo i migliori auguri e ritorno in cella percorrendo il lungo e fresco corridoio salutando qualche compagno che si affaccia dal blindato.

Questa pagina del libro la sto rileggendo per la terza volta senza riuscire a concentrarmi, non riesco a non pensare alla scuola. Metto il libro giù ed ecco che, come una illuminazione, riesco a vedere chiaro e capisco la sensazione di mancanza che mi pesava da qualche ora. Mi passano per la mente le mattine trascorse nell’aula scolastica studiando il paleolitico e lo Statuto Albertino e mi accorgo che ciò che mi manca è la scuola. E’ strano come per l’ennesima volta a portare luce nella mia cella e a migliorare la mia giornata sia stata la scuola media "G. Parini". È bastata solo la loro presenza per farmi dimenticare il caldo, la sofferenza, la noia. Grazie di cuore a tutti i professori.