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Ascoltare per imparare l’umiltà I nostri famigliari sono sì delle vittime, ma perché noi abbiamo scelto di punirli Anch’io considero vittime i miei famigliari, mia figlia sta crescendo senza di me, ma loro sanno che se sono qui è per colpa mia e hanno scelto di continuare comunque a volermi bene
di Dritan Iberisha, giugno 2008
Di solito quando mi presento dico nome e cognome, oppure dichiaro la mia origine albanese, ma ora voglio iniziare raccontando di essere in carcere per aver ucciso due persone. Mi vergogno tanto a dirlo, ma ormai il mio reato è questo e fa parte di me, come ne fanno parte il nome e la mia origine. Ho detto subito il mio reato perché voglio raccontare le emozioni che ha provocato in me il convegno “Sto imparando a non odiare”. Era la prima volta in vita mia che partecipavo a un convegno, sia in carcere sia nella vita libera, e in quelle poche ore mi sono ritrovato in un mondo diverso dal mio. Mi sentivo strano a stare in mezzo a così tanta gente, e nonostante stia in carcere da quattordici anni mi sembrava di essere in un posto estraneo. Quando è iniziato il convegno mi sono seduto con altri carcerati e ascoltavo in silenzio le parole di tutti quelli che hanno parlato e raccontato le loro storie. Devo dire che ogni parola detta si incastrava subito dentro di me e sono rimasto continuamente con gli occhi incollati sulle persone che parlavano. A volte però c’erano affermazioni che mi colpivano maggiormente. Ad esempio quando ho sentito che il padre di Andrea Casalegno è stato ucciso dai terroristi praticamente perché era un giornalista intelligente e sensibile, sono rimasto particolarmente confuso. Mi sono chiesto come sia possibile una COSA ASSURDA come uccidere un essere umano perché intelligente, e in un certo senso mi sono sentito quasi “giustificato” in quello che ho fatto, perché io ho ucciso per vendicarmi perché mi avevano ucciso un famigliare. Però ascoltando Casalegno mi sono reso conto che il punto non è mai la motivazione dell’omicidio, che non c’è comunque mai nessuna buona ragione per uccidere, perché il male che si produce è enorme e non si cancella nemmeno dopo anni e anni. Anche Silvia Giralucci ha detto qualcosa che mi ha toccato. Per lei gli assassini devono camminare a testa bassa per tutta la vita. Per la mia mentalità da albanese penso che lei abbia ragione, perché non è giusto che una vittima innocente veda le persone che le hanno ucciso un famigliare comportarsi con strafottenza, sentendosi del tutto libere. Io mi rendo conto che chi ha ucciso, come me, anche se ha scontato la sua pena, deve ricordare ogni mattina il male che ha fatto, deve pensare che lui è vivo, ma altri non ci sono più, e deve avere rispetto per i famigliari delle vittime, comportandosi con umiltà e con la consapevolezza che sono innocenti e soffrono ancora oggi, e che nessuno gli può restituire i loro cari.
Quello schiaffo mi ha fatto capire quanto stava male
Dopo il convegno ho sentito alcuni detenuti dire che anche i nostri famigliari sono delle vittime, visto che i nostri figli crescono senza i padri o senza le madri, che stanno scontando la loro pena. Io penso che il discorso dei nostri famigliari cambia rispetto ai famigliari delle persone che abbiamo ucciso. Anch’io considero vittime i miei famigliari, mia figlia sta crescendo senza di me e altri miei cari senza colpe stanno soffrendo forse peggio di me, ma loro sanno che se sono qui è per colpa mia e hanno scelto di continuare a volermi bene. Invece i famigliari delle vittime soffrono per colpa di altri, e non hanno scelto loro di separarsi dal proprio caro. Per questo dico che i nostri famigliari sono sì delle vittime, ma perché noi abbiamo scelto di punirli quando abbiamo “deciso” con il nostro comportamento di venire in galera. Nel convegno ha parlato anche il padre di un nostro compagno detenuto, e mentre parlava mi sono ricordato di mio padre e gli occhi mi si sono riempiti di lacrime. Sono tornato indietro al 1980, quando per la prima volta sono entrato in carcere per una rapina. Ero il primo della mia famiglia che entrava in carcere e tutti, famigliari e parenti, stavano male, si vergognavano di fronte ai vicini di casa, di fronte a tutti. Ma io ero stupido e a queste cose non pensavo minimamente. Poi, nel 1982 in Albania hanno dato un indulto generalizzato e io sono uscito dal carcere. All’uscita mi aspettavano tutti i miei famigliari ed io ero contento di essere di nuovo libero, così sono corso per abbracciarli, ma mio padre ha fatto un passo in avanti e invece di abbracciarmi mi ha dato uno schiaffo. Non mi aveva mai picchiato prima e quello schiaffo era molto significativo, perché mi ha fatto capire quanto stava male. Alla fine mi ha abbracciato anche lui dicendomi “Non ripeterlo mai più, perché la vita non è questa e non sei da solo in questo mondo”. Mio padre ci ha lasciati nel 1986 e sono sicuro che se fosse stato vivo oggi, e se veniva al convegno, avrebbe detto le stesse parole di quel padre che parlava quasi piangendo. Il coraggio che hanno dimostrato le persone che sono venute a parlare, a portare le loro testimonianze rimarrà per sempre dentro di me, e credo davvero che non lo dimenticherò mai, quindi posso solo dire grazie a tutti. |
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