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Un delinquente fuori dal comune
Storia di Muhamed, ex insegnante della ex Jugoslavia ladro per caso
Di Danko Vukomanovic, febbraio 2002
Durante numerosi trasferimenti per giustizia ho conosciuto moltissimi miei paesani provenienti da tutte le parti della "ex Jugoslavia". Il volto che non dimenticherò mai è di un uomo di nome Muhamed. Veniva da Mostar, città tristemente nota per la distruzione del ponte, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità, che aveva dato il nome alla città stessa, perché in lingua slava la parola "mostar" significa guardiano del ponte. Passeggiava da solo, era magrissimo, aveva lo sguardo perduto ed impaurito, diffidente. Gli altri ogni tanto gli rivolgevano qualche parola ironizzando, prendendolo in giro. Aveva una cinquantina di anni, ma le rughe e la barba bianca erano di un settantenne. Qualcosa mi diceva che dovevo avvicinarlo e cercare di sfondare la sua fortezza, costruita per difendersi dagli altri, ma che contemporaneamente era la sua personale prigione. Appena mi accostai sentii che aveva un altro sistema difensivo, era l’odore insopportabile di un uomo che non si lavava da settimane. Il primo scambio di parole mi fece capire che non era un delinquente, aveva un linguaggio di una persona colta e non amava vantare imprese malavitose di soldi fatti in fretta, di macchine e gioielli e donne. Mi disse che era insegnante in un istituto tecnico superiore a Mostar, e che all’inizio della guerra aveva portato in un posto sicuro sua moglie e i due figli. Lui era rimasto ancora un paio di mesi a Mostar, poi chissà come e perché si era ritrovato a Trieste senza una lira in tasca, senza conoscere una parola di italiano. Disse che aveva girovagato per giorni, sporco, affamato, sbandato, finché era stato avvicinato da un paesano che gli aveva fatto la proposta di andare con lui a prendere lo stereo della macchina parcheggiata lì vicino alla stazione e venderlo per aver "soldi da mangiare". Lui, nella sua ingenuità, era convinto che la macchina e lo stereo fossero del suo "nuovo amico" che voleva aiutarlo. "L’amico" di Muhamed era invece convinto di aver trovato uno che gli facesse "da palo" mentre lui rubava. Il doppio errore di valutazione ebbe conseguenze catastrofiche per Muhamed. Durante la prima azione scattò l’antifurto, e il suo "amico" si mise a correre via e sparì in gran fretta. Muhamed, non capendo nulla, rimase fermo, ma, quando il guardiano del parcheggio l’afferrò cercando di trattenerlo, nel tentativo di svincolarsi gli diede una spinta e il guardiano, scivolando sull’asfalto bagnato, si procurò una distorsione della caviglia. Nel frattempo arrivò la Polizia e Muhamed, ex insegnante dalla ex Jugoslavia, finì in carcere. Con il solito "avvocato" d’ufficio, non avendo nessuna esperienza giuridica, con l’interprete che traduceva solo le domande rivoltegli dal giudice, fu condannato alla pena di "anni quattro mesi sei di reclusione per concorso in rapina, lesioni personali e resistenza a pubblico ufficiale". Se avesse saputo e potuto raccontare ai giudici tutta la storia, probabilmente sarebbe stato rilasciato con sospensione condizionale. Dopo aver sentito che la sua fortezza si era aperta ho deciso di rivolgergli la domanda che riguardava il suo odore. La risposta è stata forse più imbarazzante della sua vicenda giuridica. Mi disse di non aver fatto la doccia da quando era entrato in carcere (un paio di mesi prima) poiché temeva di essere sodomizzato, cioè gli altri vedendo un uomo perduto l’avevano convinto, per scherzo (bello scherzo), che il "sesso di gruppo" rappresentasse una specie di "battesimo carcerario". E lui, richiamando alla memoria le scene viste nei film americani girati ad Alcatraz, si era convinto della storia. Il giorno dopo io partii per Milano e lui rimase a Trieste. Quando sono ritornato ho saputo che l’hanno trasferito a Torino: non ho potuto verificare se sono riuscito a convincerlo a farsi la doccia. |
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