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Un mandato di cattura
Che succede se ti comunicano un mandato di cattura mentre sei in misura alternativa, e poi però ti assolvono?
Di Daniele, gennaio 2003
E venne il giorno che mi concessero la semilibertà! Abituato da anni al "classico" stile di vita del carcere, dove il massimo dei pensieri è di trovare il modo di accorciare il tempo di permanenza e preoccuparsi che le persone a te care stiano bene, non nego l’emozione e la tensione nel trovarmi a dover affrontare questa nuova esperienza. Il mondo esterno non lo ricordavo letteralmente più, così iniziò una vera e propria lotta per "ambientarmi". Ero stato assunto da una cooperativa sociale che si occupava di riciclaggio di materiale plastico, pulizie ed altre attività. Io fui assegnato al riciclaggio, il mio lavoro consisteva nel separare le bottiglie di plastica, i contenitori, che viaggiavano su un tappeto rotante e, quando passavano davanti a me, io dovevo effettuare la scelta. Non era complicato, ma non ero più abituato a restare tante ore in piedi e a mantenere continuamente l’attenzione su una determinata azione, e per giunta così ripetitiva, per sette ore: era per me molto pesante. Ero a pezzi! Stanco, ma appagato di aver trascorso la mia giornata fuori dalle mura carcerarie, non vedevo l’ora di addormentarmi in modo che giungesse in fretta il mattino per uscire. Di certo avrei voluto consumare i miei pasti assieme ai miei famigliari, seduto a tavola e parlando del più e del meno. Ma il luogo dove lavoravo era lontano da casa mia e il tempo che il programma mi assegnava era sufficiente per lavorare e pranzare. L’incontro con i miei famigliari avveniva solo di domenica, perché non lavoravo e avevo il permesso ed il tempo di recarmi a casa. Sempre per il poco tempo a me concesso trovavo anche difficoltà nel relazionarmi e socializzare con le persone che conoscevo. A volte l’ossessione "dell’orologio" mi creava delle ansie e la paura di sbagliare qualcosa che il regolamento imponeva, e sapevo che se ciò fosse accaduto avrei dovuto subire un accertamento da parte dell’istituto e conseguenti richiami. Il periodo che rimasi in semilibertà fu di otto mesi, me ne mancavano solo sei e poi avrei terminato la mia pena, ne intravedevo ormai il traguardo. Una mattina mentre mi apprestavo ad uscire mi vennero incontro un certo numero di agenti e finanzieri, che mi comunicavano un mandato di cattura, e fui dirottato subito dall’uscita principale alla sezione del carcere: nuovamente il mondo mi crollava addosso! Non riuscivo a comprendere il perché di questo nuovo mandato, e di fatti ben presto il tribunale della libertà ordinò l’immediata scarcerazione. Per un meccanismo della legge, il mio beneficio fu però revocato, nel medesimo tempo mi licenziarono, perché fu segnalata la mia impossibilità a recarmi presso la ditta dove lavoravo, per l’avvenuto arresto. Se solo avessero atteso il tempo necessario, che serve al Tribunale della Libertà per valutare se confermare o meno l’arresto, di certo io non avrei perso il lavoro, e terminata la mia carcerazione avrei mantenuto il mio impiego. Sono comunque sempre convinto che queste misure alternative alla detenzione siano fondamentali per il detenuto che si avvia a riprendere una vita da libero, anche se i margini in cui poter curare gli affetti, migliorare i rapporti sociali e lavorativi non concedono molto spazio.
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