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Quando il carcere era una lotta per la sopravvivenza In cella alla ricerca della speranza, che forse se ne va Dopo una stagione di rivolte, la legge Gozzini ne ha aperto una di speranze, ma oggi sono in tanti a voler tornare al carcere chiuso e duro degli anni Settanta
di Bruno De Matteis, ottobre 2008
Non credo i politici sappiano più di tanto com’era la situazione carceraria degli anni Settanta, che i detenuti invece hanno vissuto sulla propria pelle. Sì, i detenuti che di quegli anni ancora portano i segni, anni in cui il carcere era una lotta per la sopravvivenza, anni in cui vigeva la legge del più forte, visto che non c’erano i benefici penitenziari e quindi qualsiasi barlume di speranza era una mera illusione. Poi un grande uomo presentò una proposta di legge, che fu approvata e divenne la legge Gozzini. Le carceri cominciarono a cambiare, e soprattutto si cominciò a credere ancora in qualcosa. Ma oggi non passa giorno che qualche politico non attacchi questa legge minacciando di limitarne al massimo l’applicazione. Io voglio allora parlare della mia esperienza detentiva, che purtroppo dura dal lontano 1973, quando la Gozzini non c’era. Trentacinque anni fa, quando ancora nelle carceri non esisteva neanche la televisione. Fu proprio in quell’anno, infatti, che in alcuni istituti del sud Italia fu introdotto un televisore, così la sera ci veniva concesso di stare due ore, tutti riuniti in uno stanzone, a guardare la tv come se fosse un cinema. Non ci vuole molto a immaginare il clima che si respirava, visto che per venti ore al giorno eravamo chiusi in cella, non c’erano scuole né altre attività, il mangiare era pessimo, le violenze all’ordine del giorno. Basta guardare le rivolte che sono successe negli anni Settanta, dove tantissime persone detenute hanno poi preso anni e anni di carcere, a volte solo per difendere un minimo di dignità umana. Sull’onda del terrorismo, nel 1977 “inaugurarono” le cosiddette carceri speciali, dove venivano rinchiusi tutti i rivoltosi, nonché i brigatisti che venivano arrestati. Si finì col mischiare, e anche agitare, una miscela esplosiva che nel giro di poco tempo si tramutò negli omicidi in carcere, nei sequestri di decine di guardie carcerarie. Moltissimi detenuti “comuni” si ritrovarono nella condizione di perdere ogni speranza e di commettere reiteratamente reati e rivolte all’interno degli istituti, affidandosi a slogans rivoluzionari e alle utopie romantiche che hanno fatto presa su tanti. È chiaro però che non sto giustificando nulla, tantomeno addossando colpe a fattori ambientali o sociali, so bene, e meglio di chiunque altro, che per quanto mi concerne sono stato l’artefice della mia catastrofe e dell’altrui dolore. Le violenze comunque non portarono a nulla di buono, se non a una ulteriore limitazione dei diritti. Negli anni le carceri si sono evolute, soprattutto dopo l’entrata in scena del volontariato, le prime persone che hanno cominciato a distribuire i saggi consigli di credere in un domani migliore e diverso, un domani di libertà, e dopo tante battaglie che hanno coinvolto i direttori delle carceri e i Magistrati di Sorveglianza che hanno compreso che tutti possiamo avere un lato debole, oggi si ha la fortuna di credere davvero in un futuro diverso. Tutto questo ha portato anche a un cambiamento dei detenuti, è stata data loro fiducia, fiducia che hanno in gran parte ricambiato, se è vero che soltanto lo 0.45 per cento di chi usufruisce di benefici penitenziari torna a commettere reati durante la fruizione degli stessi.
Dobbiamo aspettarci una nuova stagione di rivolte nelle carceri?
A leggere oggi le proposte di modifica della legge Gozzini mi sono sentito scorrere lungo la schiena un brivido freddo, e mi sono tornati in mente i tanti anni trascorsi nelle carceri speciali, e d’altronde come potrei dimenticare che a soli 22 anni ero nello speciale di Termini Imerese, giorni, mesi, anni che mi hanno segnato per tutta la vita? Oggi sono un ergastolano detenuto ininterrottamente da oltre 16 anni, e spesso vedo immagini che ho vissuto e che spero non tornino più, non tanto per me, che ormai ho una certa età, ma per i tanti giovani che già in libertà sono mine vaganti, e che rinchiusi in carcere con pene lunghissime, e senza alcuna speranza, diventerebbero quanto di più disastroso si possa immaginare. La Gozzini secondo me è stata la miglior cura che si poteva trovare per il vero recupero di chi ha sbagliato e si trova a scontare una condanna. Lo Stato e la società hanno i mezzi per aiutarci, anziché punirci ancor di più con nuove restrizioni devono farci sentire uomini vivi, senza strumentalizzare solo l’esemplarità della pena. Anche perché riesce assai difficile immaginare che abbia un senso una pena definitiva e totale, una pena che recide totalmente qualsiasi legame dell’uomo colpevole con la società dalla quale proviene, una pena che spegne, che uccide completamente ogni speranza. Per quanto gravi possano essere le colpe delle quali un uomo si è macchiato, i delitti che egli ha commesso, non si può rinunciare per nessuno, e a priori, alla speranza che possa veramente riscattarsi e reinserirsi nel contesto sociale dal quale proviene. Non si può condannare un uomo alla morte civile, senza tener conto che, con gli anni, si diventa uomini diversi. È incomprensibile come lo Stato rischi di allontanare da sè il vero senso della giustizia. Se per caso dovesse essere approvata una di queste proposte di legge che vogliono stravolgere la legge Gozzini – e lo dico senza alcun intento di minaccia, oramai rifuggo da qualsiasi forma di quella violenza, che mi ha già fatto distruggere la mia vita e quella di altri – allora ci si aspetti pure una nuova stagione di rivolte nelle carceri. |
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