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La dura realtà delle carceri della Sicilia
Ce la racconta il nostro "inviato per forza" in Sicilia Arjan Goga (lo hanno trasferito, o meglio "sballato" di brutto dal carcere Due Palazzi al carcere di Augusta)
Di Arjan Goga, aprile 2000
Mi sono domandato spesso: come mai non ci sono molte notizie sulle carceri delle Sicilia? Come mai dalla Sicilia non arrivano informazioni sul reinserimento e il recupero sociale dei detenuti, o per lo meno si sa molto poco? Ora che mi trovo in Sicilia qualcosa in più riesco a comprenderlo. C’è una ragione molto semplice, i mass media si occupano moltissimo della cronaca nera, perché fa vendere molti giornali e fa molto ascolto. E invece dimenticano la vita delle persone detenute, che spesso è un dramma. Si parla molto di criminalità, che senz’altro è un problema non solo siciliano o italiano, ma che tutte le società avanzate si trovano a dovere affrontare. Questa non è sicuramente una scusante, però bisogna tenere presente che molto, soprattutto in questa parte d’Italia, deriva dalla mancanza di occupazione, e le opportunità, che in questa regione vengono offerte ai giovani, qui mi dicono che sono veramente pochissime. Molti cadono nella scelta dell’illegalità, che alla fine è una scelta di sopravvivenza, e di conseguenza per loro si aprono le porte del carcere, che, se è duro per gli italiani, se possibile lo è ancor di più per gli stranieri. La loro vita diventa molto pesante, perché l’immigrazione è un campo abbandonato a se stesso, e qui esistono poche associazioni ad occuparsene come volontariato. La maggior parte degli stranieri in carcere è priva delle cose più necessarie, ed anche le relazioni famigliari ne risentono, dal momento che spesso non si riesce a comunicare con i propri cari, perché manca l’interprete per le telefonate, e per i colloqui neanche a parlarne, sia per il costo del viaggio sia perché il consolato italiano difficilmente rilascia permessi di ingresso per venire a fare visita ad un proprio parente detenuto in Italia. Tutto questo rende la loro vita in carcere molto angosciante e porta ad esasperazioni, ansie, paure. A volte alcuni di loro commettono degli errori, ed in carcere prendersi un rapporto o ancor peggio una denuncia è all’ordine del giorno… il che vale a dire prolungarsi la detenzione.
Per capire come sia la vita degli stranieri nelle carceri siciliane, ho parlato con Demir, curdo che da molti anni si trova in Sicilia. Demir da molti suoi compagni viene definito un "veterano" delle carceri della per la sua lunga permanenza in questi istituti di pena (ora è detenuto presso la Casa di Reclusione di Augusta).
Demir, quando hai lasciato il tuo paese d’origine? Ho lasciato il Kurdistan 35 anni fa, ero giovanissimo, avevo appena 15 anni, ero molto ambizioso, e soprattutto mi piaceva tanto studiare. La mia famiglia non era in grado di accontentarmi, in quanto avevamo difficoltà economiche. In quelle circostanze, presi una decisione forse un po’ affrettata: quella di andarmene in Austria, con la speranza che un giorno sarei tornato nel mio paese, per condurre una vita migliore e mettere a frutto i miei studi. Cos’è che non ha funzionato? Come mai hai lasciato l’Austria? Perché anche in Austria la vita per noi stranieri non era facile, all’inizio ho avuto moltissime difficoltà, non parlavo la lingua, non conoscevo nessuno e mi sono trovato in mezzo a una strada senza un posto per dormire, e così ho commesso dei piccoli reati che mi hanno portato dritto in galera. Dopo quatto mesi di detenzione sono stato rimesso in libertà, però non potevo condurre una vita normale in quanto ero schedato dalla polizia, e per questo ho deciso di andarmene dall’Austria.
Dove sei andato? Inizialmente in Germania, dove ho vissuto la maggior parte della mia vita da immigrato. Ho lavorato in diversi settori, però non mi è stato possibile stare a lungo in un luogo per il motivo che non avevo documenti in regola, e poi mi piaceva tanto viaggiare. Ho girato quasi tutta l’Europa in 25 anni. Oltre che in Austria e Germania, sono stato in Olanda, Belgio, Inghilterra, Svezia, Francia e molti altri paesi dell’est.
Quando sei venuto in Italia, e come mai ti trovi in carcere? Sono venuto nel giugno del 1990, avevo conosciuto molti italiani in vari paesi d’Europa, che mi raccontavano delle cose interessanti sull’Italia, dicendomi, che era bella, e io ero ansioso di visitarla. All’epoca lavoravo in una fabbrica in Germania. In occasione delle ferie, decisi di visitare l’Italia e di trascorrere le mie vacanze in Sicilia. Mi fermai a Termini (Palermo) per dieci giorni, e fu proprio il decimo giorno che mi fermarono i carabinieri, e mi costrinsero a seguirli in caserma per un semplice controllo. Durante il tragitto mi chiedevo: "Cosa ho fatto di male?" e speravo che ci fosse un malinteso…, ma una volta in caserma e dopo qualche ora d’interrogatorio capii il motivo per cui mi trovavo lì. Ero accusato di un omicidio. Non ne sapevo niente allora come non ne so niente ora. Mi portarono al carcere di Termini in attesa del processo, ero disperato e preoccupato, in quanto non avevo la possibilità di essere assistito da un difensore di fiducia. Mi sono allora affidato alla buona sorte, e soprattutto alla giustizia italiana. Molti miei compagni di sezione mi dicevano però: "Fidarsi è uguale a fregarsi". E’ stato proprio cosi, sono stato condannato a 23 anni di reclusione. Finora ne ho scontati dieci, in condizioni precarie sotto tutti i punti di vista, sia quello affettivo che economico, dal momento che i miei famigliari non mi possono aiutare, e purtroppo non so neppure se sono ancora vivi. Da quando mi trovo in carcere non ho avuto più loro notizie, forse mi credono morto o forse… chissà?! Una cosa è certa, mi mancano tanto. Ho provato a scrivere parecchie volte però non ho ricevuto risposta, questo mi fa pensare che non li vedrò mai più… Ci puoi raccontare come vanno le cose nelle carceri della Sicilia dal tuo punto di vista? Direi che le carceri della Sicilia sono un po’ trascurate dallo Stato italiano, secondo me è sbagliato costruire delle strutture carcerarie in luoghi dove mancano le cose più importante per la vita delle persone, ad esempio l’acqua. Forse sembra una sciocchezza, ma non dobbiamo dimenticare che ci troviamo in Sicilia, dove le temperature superano i 40 gradi durante tutta l’estate. Posso aggiungere che la mancanza dell’acqua influisce pesantemente sulla vita normale dell’istituto, docce, pulizie degli ambienti, insomma è un autentico problema per tutti. Anche nel campo del lavoro interno della popolazione detenuta ci sono delle grandi limitazioni, per fare un esempio pratico: personalmente in dieci anni di detenzione ho avuto l’opportunità di lavorare solo tre volte (a rotazione) per un totale di nove mesi di lavoro. Sicuramente ciò è legato al fatto che non ci sono fondi per finanziare attività lavorative. Direi che la direzione del carcere di Augusta sta facendo il possibile per favorire le attività interne, basti pensare che poco tempo fa non esisteva la possibilità di frequentare corsi per noi detenuti, ma da oltre un anno ci sono le scuole elementari, medie e superiori e sono stati avviati vari corsi, per elettricisti, di computer, mosaico. Sicuramente è poco in confronto al numero dei detenuti che ospita questo istituto, ma è certamente qualcosa di concreto. Nelle carceri della Sicilia ci sono pochi volontari che aiutano i detenuti, anche se sono molto attivi e devo ammettere che mi anno aiutato moltissimo in questi anni di detenzione. Ma vorrei dire che soprattutto i compagni di detenzione siciliani mi hanno aiutato tantissimo. La solidarietà è molto forte, e poi i siciliani sono molto socievoli, forse perché la terra di Sicilia è stata sempre terra di emigranti, e loro comprendono quindi le difficoltà in cui si può venire a trovare uno straniero.
Visto che la tua condanna è abbastanza lunga, cosa ti aspetti nei prossimi anni? Innanzi tutto spero che si vada verso una maggiore integrazione, e che possano sussistere delle opportunità lavorative, la detenzione da trascorrere nell’ozio forzato è infatti tremenda e, se si vuole parlare di recupero, non si può non tenerne conto. Spero anche che si possa fare di più per il reinserimento nella società dei detenuti, dando le possibilità, che vengono date a molti detenuti nelle carceri del nord, di usufruire di misure alternative, utilizzando cioè di più anche nelle carceri della Sicilia tutte le opportunità previste dall’ordinamento penitenziario. Per ora, la possibilità di usufruire di un articolo 21 (lavoro esterno) non è molto diffusa. Però sembra che anche in Sicilia si cerchi di andare verso un maggior impegno dei detenuti, sia scolastico che, si spera, lavorativo, e questo mi lascia ben sperare.
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