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Chi vuole cancellare la speranza dal carcere?
di Andrea Andriotto, settembre 2008
Dopo aver passato i primi due anni di carcerazione a Rovigo, nel 1997 sono stato trasferito nella Casa di reclusione di Padova. Appena messo piede in cella ho sentito urla e insulti. Si trattava di due ragazzi che se le davano di santa ragione, tanto che uno dei due è finito all’ospedale. I miei compagni mi spiegarono che i due litigavano per il posto in doccia e che episodi simili si ripetevano spesso. Io, che arrivavo da un piccolo Istituto in cui fatti di quel genere non ne avevo mai visti, non potevo credere a quelle parole e pensavo si trattasse delle solite esagerazioni. Invece, alcuni giorni più tardi, un agente di polizia penitenziaria fu aggredito da tre detenuti. Nella stessa settimana scoppiò una megarissa tra detenuti nell’area dei passeggi. Il rapporto tra detenuti e agenti nella maggior parte dei casi era basato sulla mancanza di rispetto, e ogni pretesto era buono per far sì che anche una piccola questione finisse in violenza, verbale, ma spesso anche fisica. Quello che accomunava gran parte della popolazione detenuta era l’assenza totale di speranza. L’unica cosa certa era la data del fine pena, che al massimo poteva essere un po’ più ravvicinato con l’applicazione della liberazione anticipata, 45 giorni di sconto di pena ogni sei mesi di carcerazione, che per essere concessi richiedevano un comportamento ineccepibile. Dalla fine del 1997 però le cose hanno iniziato a cambiare. Prima di tutto la direzione dell’Istituto ha dato modo ai volontari di avviare diverse attività culturali e ricreative. Questo ha fatto sì che noi detenuti potessimo entrare in contatto con l’esterno, e confrontarci ogni giorno con persone “normali”. Più o meno nello stesso periodo, l’Ufficio di Sorveglianza di Padova ha iniziato a concedere di più i permessi premio. Questo, oltre a dar modo alle persone che usufruivano di questo beneficio di iniziare davvero un graduale percorso di reinserimento, ha creato una sorta di aspettativa per tutte le altre persone che in permesso non andavano ancora. Vedere gente nelle tue stesse condizioni, che inizia a uscire dal carcere e ha la possibilità di ricrearsi una parvenza di vita normale… be’, questa dimostrazione di fiducia da parte delle istituzioni ha fatto sì che nel giro di poco tempo questo Istituto diventasse un carcere vivibile, fatto anche di speranza. Oggi però le cose stanno cambiando e si ha l’impressione che quelle speranze stiano pian piano scomparendo. Le misure alternative vengono applicate molto meno, e sembra che pure i permessi premio siano concessi con il contagocce. Così, se fino ad un paio d’anni fa succedeva spesso che a sedar litigi e risse fossero gli stessi detenuti, per evitare casini a se stessi e agli altri, oggi si rischia che quelle stesse persone quando vedono qualcosa che non va si limitino a far finta di niente e si girino dall’altra parte. |
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