Ristretti è stato da subito anche una nostra creatura

 

Un percorso che mi ha aiutato a uscire dalla “galera dentro la galera”, da quel giro vizioso in cui è facile entrare quando hai contatti solamente con persone che stanno come te

 

di Andrea Andriotto, agosto 2005

 

Otto anni fa, quando per le prime volte ci riunivamo per riuscire a mettere insieme idee e scritti per realizzare il primo giornale dal carcere di Padova, non immaginavamo nemmeno che quelle riunioni incasinate, fatte in un’aula dove si svolgeva un’altra attività (la Rassegna Stampa), avrebbero portato a quello che c’è oggi: una vera e propria redazione all’interno di un carcere, un sito tra i più visitati del settore e le molte altre iniziative per avvicinare il dentro con il fuori.

Ricordo ancora chi con spocchia sosteneva convinto che questo giornalino non sarebbe sopravissuto più di un anno… e invece eccoci qui con il cinquantesimo numero. Avevo 23 anni ed ero detenuto da due quando partirono i primi incontri ed iniziarono ad uscire le prime idee…

La fortuna di Ristretti è stata quella di cominciare la sua storia nel posto giusto al momento giusto. C’è stato un incontro di forze che ne ha permesso, o quanto meno agevolato la nascita. Sicuramente la determinazione di Ornella, “la capa”, ma anche la disponibilità da parte dell’allora direzione del carcere, l’interesse vivo da parte di alcuni operatori e anche il coinvolgimento del gruppo di detenuti che oltre ad essere interessati e incuriositi da questa nuova iniziativa… vedevano ancora lontana la prospettiva di uscire: e così abbiamo avuto modo di appassionarci e affezionarci all’iniziativa, e contemporaneamente garantire una continuità.

Ristretti era anche roba nostra, era anche una nostra creatura… In otto anni la redazione e le attività sono decisamente cresciute, migliorate, si sono allargate… Noi abbiamo contribuito alla crescita di Ristretti, e automaticamente Ristretti ha contribuito alla nostra crescita, o almeno ha contribuito alla mia, di crescita, con il lavoro, il confronto, gli incontri, gli scontri, il continuo contatto con l’esterno. È stato il modo migliore per impegnare tutti quegli anni di galera…

Mi ha tenuto in vita. Mi ha permesso di imparare ad usare il computer, per esempio. A confrontarmi e a rapportarmi con gli altri in modo diverso, quasi naturale. Mi ha aiutato ad uscire dalla cella, ma non tanto dalla cella intesa come le quattro mura, ma dalla galera dentro la galera, da quel giro vizioso in cui è facile entrare quando hai contatti solamente con persone che stanno come te, che vivono i tuoi stessi disagi e le tue stesse disperazioni… quella galera fatta di luoghi comuni, di cattiveria compressa, di sotterfugi e di odio verso quasi tutto quello che rappresenta la società. La stessa società che ti costringe e ti isola all’interno di quelle quattro mura. Mi ha aiutato a sopravvivere.

 

Essere in continuo contatto con teste pensanti non può far altro che bene

 

Le persone che hanno partecipato negli anni alla redazione sono sempre state selezionate, oltre che per la pena (si privilegiavano persone con pene lunghe) anche per capacità e cultura, per cui molti di quelli con cui sono stato a contatto mi davano qualcosa, mi trasmettevano delle conoscenze, delle idee. Erano stimolanti per un ragazzo poco più che ventenne che aveva voglia di uscire da quella galera.

Ricordo con piacere il vecchio Claudio, un uomo che avrebbe potuto essere mio padre e che mi ha aiutato molto, forse a volte inconsapevolmente, mi ha trasmesso delle competenze, ma anche, e non è poco, la carica per andare avanti, per riuscire a mantenere una dignità pur essendo consapevole che in carcere si può essere alla mercé di persone che la dignità non sanno nemmeno cosa e dove stia. Di lui ricordo che mi diceva sempre: “Non risolvi i problemi piangendoti addosso!”.

Ma sono tante le persone che mi hanno lasciato qualcosa. Penso anche alle competenze tecniche, strettamente legate al lavoro di redazione… Come non posso dimenticarmi di Massimo, che mi ha dato le basi di quello che so oggi. Competenze che poi ho lasciato a mia volta in redazione alle persone che adesso sono là al posto mio.

Massimo era un tipo un po’ difficile, non era semplice stargli vicino, ero uno dei pochi che riusciva a lavorarci assieme, ma era preparato, sveglio e intelligente. Appena ho capito il tipo non me lo sono fatto scappare. Da Massimo ho imparato molto, a livello tecnico intendo, perché umanamente, devo dire la verità, era un po’ carente, guardava molto a se stesso e molto poco ai bisogni degli altri.

E non sto qui a fare la lista di tutte quelle persone che non mi sono state indifferenti e che mi hanno lasciato qualcosa, sono comunque tante. Lavorare in redazione mi ha permesso pure di essere più a contatto non solo con l’esterno, ma anche con l’istituzione, con gli operatori per esempio, il che non è cosa da poco in galera, dove si fatica a comunicare con chi dovrebbe decidere per te, o di te.

 

La forza del gruppo è stata il fatto di non accontentarsi mai

 

Nel corso degli anni ho cambiato diverse mansioni all’interno della redazione.Mi sono occupato per un periodo di scrivere delle iniziative che si svolgevano all’interno del carcere. Non avevo mai fatto un’intervista in vita mia, scrivevo come potevo… ma mi divertivo a fare domande agli altri. Nonostante tutto è piacevole ricordare di quando dovevamo spedire i primi numeri di Ristretti. Le etichette stampate e incollate con il vinavil una ad una sulle buste, i bolli leccati sino a rimanere senza saliva…

I primi computer che abbiamo avuto a disposizione erano del 1990, poco più che macchine da scrivere, ma funzionavano, e per noi che di computer ne sapevamo niente andarono più che bene per un po’ di tempo. Poi abbiamo iniziato ad evolverci, ad informatizzarci, abbiamo preso il primo computer nuovo per iniziare a fare grafica.

Con Massimo abbiamo creato il database per gli indirizzi degli abbonati (innovazione non da poco se si pensa che sino ad allora usavamo solamente il programma di scrittura). Ma tutto è stato sempre in evoluzione, credo sia stata anche questa la forza del gruppo, il fatto di non accontentarsi mai di quello che ci eravamo conquistati. Dalle iniziative alla gestione degli spazi concessi dalle istituzioni. Ogni anno c’è sempre qualcosa di più e di nuovo da fare.

Il bello di Ristretti e dell’associazione Il Granello di Senape è proprio il fatto che non ci si è mai fermati e limitati a scrivere solo il giornale. Certo il giornale è la prima creatura del gruppo, una delle più riuscite, ma non posso non pensare alle altre iniziative, come “Il carcere entra a scuola”, che dà un’informazione in modo diverso e riesce a “raggiungere le orecchie” delle persone che forse non avrebbero mai avuto modo di avvicinarsi all’argomento carcere e devianza, penso agli studenti soprattutto, ma anche ai loro insegnanti, che pure loro spesso hanno bisogno e voglia di confrontarsi.

Ho fatto parte della redazione interna per tutto il tempo della mia carcerazione, sino a quando sono stato ammesso al lavoro all’esterno. Nonostante sia difficile avere nostalgia della galera, ci sono stati momenti trascorsi in redazione che ricordo e continuerò a ricordare con piacere.