Quei reati commessi da detenuti che hanno usato male la loro libertà

Storie di “benefici” finiti male. Quando l’orrore della cronaca nera si abbatte come un macigno sul destino di chi sta in carcere

 

a cura della Redazione

 

In questi giorni c’è stato un momento in cui noi che stiamo in carcere non avevamo più neppure voglia di aprire i giornali o guardare la televisione: le notizie di apertura erano infatti macigni, storie tragiche di gente che, uscita dalla galera, è tornata ad ammazzare. Poi abbiamo deciso di non nasconderci ma di affrontare con un po’ di coraggio una questione scottante come questa: dove è in gioco il nostro futuro, e il senso che può avere, per la società, accettare un sistema che permette, a chi commette un reato, di scontare parte della pena con un percorso graduale di uscita dal carcere, attraverso i permessi premio prima e il lavoro in regime di semilibertà poi. Le testimonianze che riportiamo cercano di convincere i cittadini “liberi” che questo sistema è buono e giusto, e che i rischi sono pochi, e sono senz’altro meno che non se le persone condannate si facessero tutta la carcerazione in galera e uscissero, alla fine, incattivite, senza più affetti, senza una rete di protezione ad accoglierle. Ma ci piacerebbe, su questo tema, confrontarci proprio con quelli che stanno “fuori” e con le loro inevitabili paure.

 

Conoscevo Antonio Dorio

 

di Altin Demiri, febbraio 2006

 

Dopo anni trascorsi dietro le sbarre spesso mi sento “incattivito” dai tanti problemi personali: la lontananza dal mio paese, dagli affetti, dalle speranze che si traducono in miraggi… Ma il culmine della delusione lo raggiungo quando si verificano gravi reati commessi da detenuti in permesso premio o in misura alternativa, come l’ultimo, Antonio Dorio, che, pochi giorni fa, nei pressi di Ferrara, dopo aver ucciso un carabiniere ha perso a sua volta la vita. Vorrei riuscire a trasmettere i miei sentimenti nel modo più giusto, per far capire che determinati fatti non hanno scosso solo l’opinione pubblica, ma hanno turbato anche me e tanti altri miei compagni di galera. Comprendo quindi lo sdegno e le critiche, c’è poco da fare per difendere la “categoria” alla quale appartengo. Certo che questo fatto è terribile e fa male, fa male anche a chi, come tanti di noi, cerca di mediare e di riconciliarsi con la società che abbiamo offeso, riprendendo le relazioni di pacifica convivenza che abbiamo “rotto” nel momento in cui abbiamo commesso reati.

Questi episodi infatti rimettono ogni volta in discussione un lavoro fatto di anni e anni di sacrifici messi in campo da molti operatori, dalle associazioni di volontariato e infine anche dalla maggioranza delle persone detenute che cercano di scontare la propria condanna il più serenamente possibile. Conoscevo molto bene il detenuto Antonio Dorio, sono stato per ben cinque anni in sezione con lui nel carcere di Bologna. Lo ricordo come una persona che si impegnava, che frequentava le varie attività, e ancora mi chiedo, a pochi giorni dai terribili fatti di cui è stato protagonista, cosa non abbia funzionato. Dopo l’evasione da un permesso premio forse ha perso la testa, forse era drogato, e la consapevolezza che quando sarebbe stato ripreso non avrebbe più ottenuto benefici lo ha fatto precipitare a un punto “di non ritorno”. Ma ormai poco importa: so soltanto che, proprio perché anch’io sono detenuto, devo avere la forza di dire che certi fatti così atroci non dovrebbero mai succedere, e devo farlo con la stessa lealtà e solidarietà con le quali cerco di difendere i diritti dei detenuti affinché ci sia concesso un futuro migliore.

Dobbiamo avere il coraggio di giudicare noi stessi, di prendere una posizione e di condannare questi gravissimi casi, ma con la stessa determinazione dobbiamo dire che non vogliamo tornare indietro di trent’anni, quando la pena era solo punizione e il recupero del reo non interessava a nessuno. A coloro che affermano che i benefici penitenziari sono portatori di ulteriore criminalità dico che non è vero, e che non si devono mai fare queste inutili generalizzazioni. Se si reagisce emanando leggi più restrittive si rischia di far precipitare nel baratro – e di privare di tutte le speranze – anche le persone detenute che vogliono tornare a vivere onestamente, e comunque rispondere al male con il male non porta da nessuna parte.