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Perché, una volta usciti dal carcere, la maggior parte di noi torna a commettere reati?
Chi commette un reato e finisce in carcere fa una specie di salto di una barriera etica, morale e culturale che lo fa precipitare molto in basso, e tutte le sue convinzioni, l’educazione ricevuta, le paure indotte, vengono a cadere inesorabilmente
Di Alessandro Pinti, dicembre 2000
Partendo dalla mia esperienza personale, e da quella di tantissimi ragazzi della mia generazione, proverò a dare un’interpretazione del perché una volta usciti dal carcere la maggior parte di noi ricommette reati, e spesso più gravi di quelli precedenti. Il carcere quindi che diventa una sorta di scuola di delinquenza, poco propenso al recupero e al successivo reinserimento dei detenuti nella società: nell’immaginario collettivo, ma anche nella realtà dei fatti, le cose stanno proprio così! Sarò molto sincero in questo mio ragionamento, partendo proprio da me, che dopo tantissimi anni di carcere, al termine di un percorso trattamentale interno intenso e vissuto con partecipazione, ottenni la liberazione condizionale, e mi ritrovo ora nuovamente in carcere con una condanna a vita. Non sono stato né costretto "dagli amici", o "dall’ambiente", insomma non condizionato da motivazioni esterne alle mie convinzioni, né ho ricommesso reati per necessità. Ma su questo tornerò più avanti. Chi commette un reato e finisce in carcere, fa una specie di salto di una barriera etica, morale e culturale che lo fa precipitare molto in basso, e tutte le sue convinzioni, l’educazione ricevuta, le paure indotte, vengono a cadere inesorabilmente. A questo punto ha due possibilità: la prima di ritornare presto libero, spaventato dall’esperienza, e con tutte le sue forze ricostruire la sua vita, le sue relazioni sociali, e tornare alla vita di prima ancor più terrorizzato dal carcere. Questa è una persona che difficilmente ricommetterà reati. Ma c’è una seconda possibilità, ed è che queste persone perdano nella disperazione tutte le loro remore morali e culturali, in poche parole una volta finite in carcere non ne abbiano più paura. Tornate libere, laddove precedentemente si fermavano al solo pensiero dell’illegalità, in questa nuova condizione saranno tentate per convenienza, e non più spaventate, a commettere reati. Sono una maggioranza silenziosa, nel senso che non sono visibili in quanto delinquenti occasionali e comunque prudenti e responsabili di piccoli reati. C’è poi la recidiva che riguarda il delinquente per eccellenza, il criminale professionale, che dell’illegalità ha fatto una scelta di vita, come il sottoscritto. Questo zoccolo duro è presente costantemente nelle carceri, e costituisce il "materiale" umano sul quale, una volta che si trova in espiazione di una pena definitiva, si riversano risorse rieducative e trattamentali,. Non intendo certo generalizzare, ma conti alla mano la maggior parte di queste persone ha avuto molte esperienze di recidiva, e in prospettiva saranno sempre loro i futuri detenuti, e forse ancora una volta si cercherà di "sottoporli a trattamento" per rieducarli! Sono convinto di una cosa: non esiste né rieducazione né consapevole ridefinizione degli errori commessi attraverso un processo autocritico del proprio passato, come invece è espressamente indicato nel nuovo regolamento penitenziario, in relazione alla concessione dei benefici alternativi al carcere. Non che questo sia in assoluto escluso, anzi ritengo sia possibile, ma sicuramente non generalizzabile! Ognuno di noi ha comunque l’occasione per cambiare vita, modelli di riferimento, e valori, e soprattutto per convincersi che il commettere crimini, ad un certo punto della propria esistenza, non conviene più. Questo complesso meccanismo "opportunistico", ma anche di sincero desiderio di dare un taglio col passato, necessita di percorsi dove siano esaltati i valori e la lealtà del detenuto nei confronti di chi lo aiuta in questo suo tormentato percorso, dove nessuno gli deve però "calare dall’alto un progetto" che non accetterebbe mai, e tantomeno pretendere pentimenti esistenziali di tipo religioso o uno snaturamento della sua personalità, una sorta di destrutturazione interiore con imprevedibili effetti una volta che sia tornato libero. Ogni progetto reinseritivo, ogni occasione interna per allontanarsi dalla convenienza a delinquere, devono essere certo favoriti, ma gestiti con criteri di assoluta "laicità" e tenendo sempre presente la personalità, quella vera e non di finzione, del detenuto "criminale professionale" o comunque tendenzialmente tale.
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