Io non sarei mai andato a lavorare per un misero stipendio

 

di A., ottobre 2006

 

Sono nato in un paese della provincia di Padova, dove la criminalità negli anni Ottanta era molto diffusa. Mentre frequentavo ancora le scuole medie, avevo già notato che i ragazzi un po’ più grandi di me viaggiavano con grosse moto, erano vestiti all’ultimo grido, e una delle cose che più mi colpiva era quell’aria di onnipotenza che riuscivano ad avere. Sapevo che non erano figli di gente ricca e mi chiedevo come riuscissero ad avere tutto quel lusso alla loro età. Io volevo diventare come loro! Ero affascinato dalla vita che riuscivano a fare.

I miei primi furti li ho fatti solo per divertimento: rubavamo le Fiat Cinquecento e facevamo le gare di velocità. Le usavamo come fossero degli autoscontri, finché un giorno la polizia ci intercettò e ne seguì un rocambolesco inseguimento, dove noi riuscimmo a scappare tra le stradine della campagna. Le nostre avventure iniziarono ad essere raccontate tra la gente, nei bar. Ormai s’era sparsa la voce e io mi gasavo sempre di più a sapere che gli altri parlavano di me. Fino a quando un pomeriggio avvenne qualcosa di inaspettato. I ragazzi più grandi, quelli che andavano a rubare per i soldi, mi chiesero di entrare in “batteria” con loro.

Il primo furto in un appartamento mi permise di comprarmi i miei primi vestiti firmati e di togliermi qualche altro sfizio. Da quel giorno iniziò l’escalation: case, ville, negozi, supermercati, fabbriche, casseforti. I soldi erano sempre di più. In poco tempo riuscii ad acquistare anche una moto. Ero sempre vestito tutto firmato e pieno di cose di valore addosso. Quello che avevo sempre sognato si stava realizzando. Un po’ alla volta riuscii ad avere “un nome” nel mondo della malavita, ero qualcuno e mi meritavo il rispetto di tutti. Non mi interessavano i soldi, volevo una posizione in quell’ambiente, e adesso ce l’avevo. Mi sentivo forte e intoccabile.

Avevo appena 17 anni quando ho preso in mano per la prima volta un’arma. Serviva per il grande salto: basta con i semplici furti, per aumentare i guadagni bisognava compiere qualche rapina. Mi piaceva tutto di quella vita. Riuscivo ad avere quello che volevo: macchine, moto, ragazze che frequentavano solo “la crème” della zona. Loro, benché fossero di buona famiglia, sembravano attratte dal mio mondo, erano contente di viaggiare in grosse auto, anche se a volte si trattava di macchine rubate. Io mi divertivo, avevo tutto quello che i ragazzi della mia età non potevano avere. Ero al “top”.

Quando i miei genitori, onesti lavoratori, s’accorsero che qualcosa non andava, che avevo troppi soldi e frequentavo gente “poco presentabile”, tentarono di recuperarmi in tutti i modi. Parlandomi, minacciandomi, chiudendomi in casa. Ma non c’era verso, me ne fregavo di quello che dicevano e scappavo. Gli spiegavo che la vita normale, quella che stavano conducendo loro da sempre, a me non piaceva. Io non sarei mai andato a lavorare per un misero stipendio. Loro non ne avevano colpa, ero cresciuto in un paese che offriva poco e quel poco era infarcito di criminalità. Pur essendo vissuto sempre in quell’ambiente, non avrei certo pensato però di finire in galera. Mi sentivo onnipotente e non avevo mai neppure immaginato la possibilità che mi prendessero. E invece alla fine per me c’è stato solo il carcere.