Ma non sarebbe ora che qualcuno in carcere imparasse

a dare un po’ di informazioni corrette ai detenuti stranieri?

 

Non capire e non comunicare per molti di noi immigrati, chiusi qui dentro, ha significato perdersi anche il beneficio di finire un po’ prima la pena per buona condotta

 

Di Abdul, gennaio 2001

 

Molte cose sono migliorate in questa sezione 1°A della Casa di Reclusione di Padova, dove si trovano solo detenuti stranieri: da quasi un anno, ad esempio, ogni tanto andiamo anche in palestra e al campo. Un altro fatto positivo è che ora i lavoranti della sezione vengono scelti tra di noi, mentre prima erano di altri piani.

Purtroppo però quando non c’è possibilità di capirsi arrivano inevitabilmente i problemi, e il "problema dei problemi" è costituito proprio dalla lingua, la prima barriera che rende difficile la comunicazione tra un immigrato e gli operatori del carcere. Da qui nascono allora tanti rapporti disciplinari. C’è però una certa discrezionalità nel decidere di dare o non dare un rapporto: ci sono agenti che vi fanno ricorso con molta frequenza, altri lo fanno in maniera più misurata. Molti agenti a volte evitano di fare rapporto proprio perché vedono e capiscono la nostra situazione.

Ricordo che quest’estate un agente in un colpo solo ha compilato circa 26 rapporti disciplinari. Li chiamano rapporti collettivi: in pratica succede che uno sbaglia, e tutti si beccano il rapporto. E ricordo un’altra volta, che un detenuto tossicodipendente arrestato da pochi giorni stava molto male, aveva chiamato per tutta la sera, e aveva smesso solo quando era arrivata l’infermiera. Quando poi però aveva scoperto che il suo nome non risultava nella lista della terapia, anche se la mattina era stato in visita medica, ha ripreso di nuovo a fare casino; noi non ce la facevamo davvero più a sentire questo fracasso, e quindi abbiamo chiamato perché finalmente gli dessero qualcosa, e cosi potevamo andarcene a dormire, era quasi mezzanotte. Risultato: le gocce per farlo dormire arrivarono, ma tutti noi che eravamo vicini alla sua cella prendemmo rapporto per aver urlato. Il campanello non funziona quasi mai.

 

Secondo me la maggior parte dei casini nasce dalla mancanza di informazione, ed è anche per questo motivo che sono sorte delle tensioni tra detenuti ed agenti. Servirebbero degli avvisi in lingua originale sui diritti e doveri dei detenuti in carcere, questo soprattutto in sezioni giudiziarie come il 1°A in cui ci sono moltissimi che l’italiano lo capiscono appena, ma certamente non lo sanno leggere. Basterebbe poco, essendo la maggior parte d’origine maghrebina, basterebbe tradurre in francese ogni avviso e la stragrande maggioranza lo capirebbe.

Ma cosi come stanno le cose noi immigrati prendiamo rapporti con troppa facilità. Questo ci porta a grandi depressioni, anche perché spesso è proprio a causa della lingua che gli agenti non ci capiscono e fraintendono quello che diciamo. Oppure sentono una battuta, e pensano che li stiamo sfottendo, invece magari stiamo scherzando tra noi senza nessuna intenzione di offendere qualcuno.

Il 70% dei ragazzi che stanno in sezione sono definitivi, molti hanno condanne che arrivano anche a quattro anni, ed è frustrante il fatto che sono veramente pochissimi quelli che hanno preso i giorni di liberazione anticipata. Non capire e non comunicare per molti ha significato quindi perdersi anche il beneficio di finire un po’ prima la pena per "buona condotta".

Sarebbe molto importante per i detenuti immigrati, anche per queste questioni riguardanti il comportamento e il rispetto delle regole, che finalmente ci fosse un mediatore culturale, e certamente molti problemi si risolverebbero sul nascere. Il nuovo Regolamento Penitenziario lo prevede, ma per ora, almeno a Padova, non ce n’è traccia, e questa assenza pesa molto, in quanto essere in una terra straniera, lontani dalle proprie radici e dalla propria casa e non conoscere lingua, usi, cultura del paese in cui ci troviamo, ci lascia del tutto indifesi in situazioni difficili come il carcere.

Anche un colloquio con l’educatrice, l’assistente sociale o un volontario, oppure con il proprio difensore, diventa un’impresa e molto spesso la comunicazione è cosi difficoltosa che ci rinunciamo. Chi si trova al 1°A è praticamente escluso dalla vita sociale del carcere, solo da poco alcuni di noi hanno iniziato a frequentare dei corsi scolastici (alfabetizzazione), o corsi per ex alcolisti, in tutto al momento siamo in cinque impegnati in attività, compresi io e un altro ragazzo che ora lavoriamo nella redazione del giornale.

Sicuramente il problema dei rapporti disciplinari non è di facile soluzione, quello che spero è che in futuro io non debba pagare "colpe generali", se l’errore lo faccio io è giusto che paghi, ma prendere un rapporto solo perché mi trovo nel luogo in cui è successo un casino, e solo per questo perdere anche i 45 giorni di liberazione anticipata, non mi sembra né educativo né corretto.