Note al capitolo 1

(1) La CE ha da tempo istituito organi e adottato provvedimenti, di diversa natura, al fine di promuovere una regolamentazione giuridica comune dei sistemi penali dei paesi membri. Tra questi, particolare rilevanza merita la CEDU (1950) istitutiva della Corte di Strasburgo. Il Consiglio d'Europa, dal canto suo, ha adottato la R (73) 5, successivamente confluita nella R (87) 3, che recepisce e 'adatta' al sistema europeo le 'Regole minime Standard per il trattamento dei detenuti' contenute nella Risoluzione dell'Onu del 30 Agosto 1955; nonché la 'Convenzione europea per la prevenzione della tortura e dei trattamenti o delle pene inumane o degradanti', nel 1987.

Per lo studio delle fonti internazionali di diritto penitenziario si rinvia a M.Ruotolo, Diritti dei detenuti e Costituzione, Torino, 2002, 36 ss; M.Canepa, S.Merlo, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 2002, 40 ss.

Ciò che in questa sede si vuole evidenziare è che, tra le priorità delle politiche 'assiologicamente' rivolte alla 'integrazione europea', rientra il sistema penale, quindi, oltre ai precetti e alle procedure penali, anche, l'esecuzione delle pene. Nel seguito della trattazione, si spera di dimostrare come questo settore sia sempre stato considerato come 'l'ultima ruota del carro' e dai singoli stati della CE, e dagli organi della Comunità stessa. Per il primo caso, si pensi al Portogallo, dove non esiste un insegnamento universitario o un manuale di diritto penitenziario né, cosa ben più grave, un regolamento di esecuzione, nonostante la riforma organica dell'esecuzione penale sia avvenuta nel '78 - quindi, nonostante siano state positivizzate, almeno sul piano della legge ordinaria, le regole penitenziarie, la discussione dottrinaria non si è assunta l'impegno civico, prima ancora che scientifico, di creare un compendio dell'esecuzione penale, al fine di promuovere la conoscenza e il miglioramento del sistema penitenziario; per il secondo esempio si pensi al Trattato di Schengen e al mandato d'arresto europeo -vedi oltre, in questo capitolo, nota 20 -.

(2) G.Neppi Modona, Ordinamento penitenziario, in Dig. disc. pen., IX, Torino, 1995, 46.

Assistiamo oggi ad una larga estensione dell'ordinamento penitenziario, o, più correttamente, del concetto di 'esecuzione penale' e del rapporto nel quale questo si concretizza.

Basti pensare all'esempio italiano, all'introduzione delle pene sostitutive (legge 689/81), delle sanzioni della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità (legge del 24 nov. 1999, istitutiva della competenza penale del giudice di pace), delle misure alternative (legge 354/75, in questa parte 'riscritta' dalla legge Gozzni del'86 e dalla legge Simeone del'98).

Ciò che rileva in questa prima parte del lavoro, introduttiva e 'definitoria', non è tanto l'effetto di tali riforme sul corollario pena=carcere -che sarà analizzato in un secondo momento -, quanto, piuttosto, sottolineare come il rapporto della esecuzione è oggi più che mai destinato a poter subire rilevanti modifiche, sia per quanto concerne la durata della pena, sia in relazione al contenuto della sanzione e alle modalità della sua esecuzione.

In particolare, i 'soggetti' del rapporto, non sono soltanto gli organi della polizia penitenziaria, chi lavora nelle carceri, il ristretto e gli organi giurisdizionali, ma anche la comunità libera con la quale il ristretto entra in contatto. Basta pensare l'affidamneto in prova, al lavoro all'esterno, o all'art.17, comma 2, ord. penit. - consente l'ingresso in istituto, previa autorizzazione e secondo le direttive del magistrato di sorveglianza, a coloro che abbiano concreto interesse per la risocializzazione dei detenuti - per comprendere la tendenza formale del legislatore italiano a sgretolare il sistema totale carcere, l'oligopolio amministrativo - giurisdizionale della esecuzione, a favore del concreto avvicinamento del ristretto alla vita libera -cfr art.27, comma 3 della Costit. it-.

(3) Si fa riferimento al modello della criminologia critica che adotta il paradigma dell'etichettamento o della reazione sociale; detto modello si propone, differentemente da atre correnti della criminologia (amministrativa, eziologia etc.), non solo di controllare la criminalità mediante la prevenzione della delinquenza, ma anche l'obbiettivo di controllarne le conseguenze. Gli strumenti utilizzati da questa corrente non sono solo 'penali', ma anche 'non penali'.

Per uno studio delle varie correnti della criminologia, si rinvia a A.Baratta, La politica criminale e il diritto penale della Costituzione. Nuove riflessioni sul modello integrato delle scienze penali, in M.Di Meglio (a cura di), La questione criminale nella società globale, Atti del Convegno Internazionale tenutosi a Napoli dal 10 al 12 Dicembre 1998, Napoli, 1999, 348 ss..

(4) Ibid, 342

(5) In questo senso, Ibid., 348 e ss.

(6) Ibid, 349 e 350.

(7) Ibid, 353

(8) Ibid, 353 e 354.

(9) Per i concetti di 'politica penale dell'emergenza', 'sotto sistema penale d'eccezione', si rinvia a L.Ferrajoli, Diritto e ragione, Bari, 2002, 844 ss. In particolare, pag.850 ss., dove l'autore denuncia 'l'incompatibilità tra stato di diritto e diritto penale d'eccezione.'

(10) A.Baratta, La politica criminale...della Costituzione, cit., 359.

(11) Ossia, ad una giustificazione -tipica dello stato assoluto - che trova fondamento nello Stato stesso; alla visione auto-poietica si contrappone quella etero-poietica -propria dello stato di diritto -, dove il sistema penale, così come l'intero sistema giuridico e statuale, trova una sua ragion d'essere in un quid esterno che, negli stati moderni, è rappresentato dalla tutela dei diritti fondamentali e universali. Tale distinzione è proposta e approfondita da L.Ferrajoli, Diritto e ragione...;, cit., in particolare, si veda pag..928 ss.

(12) In questo senso, Ibid., 947 ss.

(13) In questo senso, Ibid, 898 ss.; dello stesso autore, vedi anche La pena in una società democratica, in M.Palma (a cura di), Il vaso di Pandora. Carcere e pena dopo le riforme, Roma, 1997, 18.

(14) In tal senso vedi Canotilho, 1982, 349; Denninger, 1990, 27 e 226, citati da A.Baratta, La politica criminale.. della Ccstituzione, cit., nota 35, 356. In Italia si rinvia agli studi di P.Ridola, Libertà e diritti nello sviluppo storico del costituzionalismo, in R.Nania -P.Ridola, I diritti costituzionali, I, Torino, 2001.

(15) A questo proposito, si rinvia al concetto di diritto penale minimo, L.Ferrajoli, Diritto e ragione..., 81 ss., 325 ss.; F.Bricola, Teoria generale del reato, in NovissimoDigesto italiano, XIV, Torino, 1973, 7 ss. (ora in F.Bricola, Scritti di diritto penale, vol.I, tomo I, Milano, 1997, 539 ss.; vol.I, tomo II, Milano, 1997, 1475 ss.); M.Pavarini, La penalistica civile e la criminologia ovvero discutendo di diritto penale minimo, in S.Anastasia -M.Palma, (a cura di), La bilancia e la misura, Milano, 2001, 80 ss.

(16) L.Ferrajoli, La pena...democratica,, cit., 27. Anche per la giovane Repubblica portoghese vale un discorso simile. Le uniche riforme organiche successive al 25 Aprile '74 sono rappresentate, essenzialmente, dal decreto lei 265/79 (legge penitenziaria) e dalle diverse riforme che hanno riguardato il CP e il CPP (le più recenti risalgono, rispettivamente, al '95 e al '98); nessuna legge organica ha riguardato, invece, l'attuazione della 'democrazia sostanziale', dell'interpetrazione e applicazione dinamica della Costituzione, ossia, l'attuazione di quei valori che in Italia sono nobilmente espressi, in primis, dall'art.3, n.2 della Costituzione.

(17) A.Baratta, La politica criminale...della Costituzione, cit., 345. Nello stesso senso, vedi anche T.Pitch -C.Ventimiglia, Che genere di sicurezza, Milano, 2001.

(18) A tale proposito si plaude la sentenza della Corte costituzionale italiana, 222/2004 dell'8/7/04: la Corte "dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), introdotto dall'art. 2 del decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51 (Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all'immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera), convertito, con modificazioni, nella legge 7 giugno 2002, n. 106, nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida debba svolgersi in contraddittorio prima dell'esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa."

Il legislatore 'democratico' è allora intervenuto con decreto legge ed ha previsto come giudice competente il giudice di pace. L'incostituzionalità 'oltranzista' di questa decisione è chiaramente espressa nelle parole di Livio Pepino (Presidente Magistratura Democratica) tratte dall'articolo La cartina di tornasole, comparso sul quotidiano Il Manifesto il 7 settembre 2004, pag.12: "La Corte costituzionale, meno di due mesi fa, era stata chiara: sui diritti fondamentali non può esserci un trattamento diverso tra nativi e migranti. Che tra i diritti fondamentali ci siano la libertà personale e il diritto di difesa, poi, è cosa del tutto evidente: non a caso due delle prime sentenze della Corte (n. 2 e 11 del 1956) dichiararono proprio l'illegittimità della traduzione coattiva del rimpatriando a seguito di foglio di via obbligatorio, se non disposta dal giudice e se basata su «elementi vaghi e incerti che lascerebbero aperto l'adito ad arbitri». Ma allora l'Italia era ancora un paese di emigranti... Cinquant'anni dopo la Corte - aggredita per questo dai nostri xenofobi di ogni colore - ha riaffermato il principio e ne ha reso esplicita la necessaria applicazione anche ai migranti.
La sentenza del giudice delle leggi ha messo in crisi uno dei punti fondamentali della Bossi-Fini e ha costretto il governo a intervenire con decreto legge. L'intervento era in gran parte vincolato, ché l'introduzione del controllo giudiziario sulla legittimità dell'espulsione e la possibilità per il destinatario del provvedimento di esporre le proprie ragioni erano una strada obbligata, già scritta dalla Corte costituzionale. Restava al governo l'individuazione del giudice a cui attribuire tale controllo.
La strada seguita è stata quella di attribuire la competenza al giudice di pace: cioè la scelta peggiore, caratterizzata da evidente irrazionalità e da altrettanto rilevanti dubbi di costituzionalità (quantomeno per violazione del principio di uguaglianza). Nulla, evidentemente, contro il giudice di pace, ma un rilievo elementare: quest'ultimo non è una «brutta copia» meno costosa del giudice professionale, ma un magistrato diverso, destinato a occuparsi delle questioni caratterizzate da minor tecnicismo e senza incidenza sui diritti fondamentali, tanto che la sua competenza penale è rigorosamente limitata dalla esclusione dei provvedimenti che incidono sulla libertà personale, rimasti tutti nella competenza esclusiva del giudice professionale.
La diversa scelta effettuata ora con riferimento al sistema delle espulsioni ha, dunque, una sola spiegazione: la libertà dei migranti vale, per il governo, meno di quella dei nativi. E c'è la riprova: il conflitto (reale o apparente) emerso nel governo all'atto della adozione del decreto non è stato sulla questione di principio ma sui costi economici dell'estensione della competenza del giudice di pace e sulla quantità delle espulsioni (a gogò o col contagocce) che il nuovo sistema deve consentire...
È una ulteriore tappa del cammino verso un sistema di cittadinanza differenziata che caratterizza sempre più il nostro paese. Le ferite sono già numerose, proprio in tema di tutela della libertà personale. Il riferimento principale è, ovviamente, ai centri di permanenza temporanea (più esattamente, centri di detenzione) la cui moltiplicazione anche all'estero, ma sotto la diretta responsabilità italiana, sembra essere solo rinviata.
Eppure, secondo il rapporto redatto nel gennaio scorso da Medici senza frontiere, in un anno (dal luglio 2002 al luglio 2003) sono entrate nei centri 16.924 persone, di cui 13.232 uomini e 3.392 donne. Il dato, ingente in sé, diventa impressionate se esaminato comparativamente: si tratta infatti di poco meno di un terzo dei detenuti presenti nelle carceri e di un numero pari a quello degli stranieri ristretti (17.007, di cui 1.072 donne). In sintesi: la detenzione amministrativa ha, per i migranti, la stessa estensione del carcere. L'effetto di sistema è dirompente. I centri di detenzione, scarsamente utili ai fini di eseguire le espulsioni, prefigurano, e in parte già realizzano, un carcere parallelo di dimensione prossima (almeno per alcune categorie di detenuti) a quello tradizionalee caratterizzato da una triplice assenza: il collegamento della detenzione con la commissione di un reato, la correlazione della stessa con la finalità dichiarata e l'effettività di un controllo giudiziario di merito sugli ingressi e sulle modalità della custodia.
La disciplina dell'immigrazione è la cartina di tornasole della nostra democrazia e del sistema di diritti che lo caratterizza. E il segnale che da essa viene - anche oggi - è inquietante: mentre celebra i suoi fasti come enunciato linguistico e come proclamazione propagandistica, la «libertà», intesa come valore e come situazione concreta delle persone, deperisce in maniera crescente. "

(19) La critica qui mossa contro il mandato d'arresto europeo non vuole respingere in toto l'utilità di adottare tale provvedimento da parte dello stato italiano. Più semplicemente, senza entrare nel merito dell'attuale discussione, vuole evidenziare come anche la CE miri a creare strumenti repressivi piuttosto che dare priorità, cronologica e assiologia, alla stesura di un buon testo costituzionale e all'attuazione di politiche sociali comunitarie, relegando ad extrema ratio l'intervento repressivo. Per una lucida analisi di questo punto, si rinvia a M.Palma, Le garanzie non sono mai troppe, in Fuoriluogo del 30 dicembre 2003, consultabile partendo dalla rassegna stampa del sito Ristretti.

(20) A.Baratta, La politica criminale...della Costituzione, cit., 343.

(21) Fonte, RSP2003

(22) Fonte, A.Naldi, Mondi a parte: stranieri in carcere, in S.Anastasia, P.Gonnella (a cura di), Inchiesta sulle carceri italiane, Roma, 2002, 34.

(23) Per approfondire il significato dell'asserzione 'diritti deboli' si rinvia aL.Ferrajoli, Diritto e ragione..., cit., 329; vedi anche par. 1.1.d del presente lavoro.

(24) Ibid., 947 ss.

(25) Ibid., 900. L'ultima espressione è di B. Gruggenberger, C.Offe, La legittimazione della maggioranza di fronte a minoranze, gruppi di pressione e movimenti sociali, in AA.VV., Rappresentanza, legittimazione e minoranze. L'esperienza storico-tedesca in un contesto comparativo, in Quaderni della fondazione Basso, Milano, 1986, 167, citato in L. .Ferrajoli, Diritto e ragione..., nota 6, 936. Nella stessa nota si legge: "Una tesi analoga è espressa da N.Bobbio, Il futuro della democrazia: una difesa delle regole del gioco, Torino, 1984, secondo cui "le norme costituzionali che attribuiscono questi diritti non sono propriamente regole del gioco: sono regole preliminari che permettono lo svolgimento del gioco".

(26) A quest'ultimo proposito si rinvia al cap.2

(27) In questo senso, A.Baratta, Diritto alla sicurezza o sicurezza dei diritti?,in S.Anastasia-M.Palma (a cura di), La bilancia e la misura, Milano, 2001, 22 s.

(28) F.de Andrè, Nell'ora di libertà, tratto dall'album Storia di un impiegato, 1971, ed.ricordi.

(29) L.Ferrajoli, La pena...democratica, cit., 26. Dello stesso autore, vedi anche Sulla crisi della legalità penale. Una proposta: la riserva di codice, in S.Anastasia -M.Palma, (a cura di), La bilancia e la misura, Milano, 2001.

(30) Per l'approfondimento di questo tema si rinvia a L.Ferrajoli, La pena...democratica, cit., 21 ss.; L. Ferrajoli, Diritto e ragione..., cit., da 741 a 745.

(31) Nella teoria del diritto penale minimo sopra menzionata, la legge del più debole assurge a giustificazione esterna dell'intero sistema penale, in alternativa alla legge del più forte che vigerebbe (e vige) in sua assenza: "non dunque, genericamente la difesa sociale, bensì la difesa del più debole, che nel momento del reato è la parte offesa, nel momento del processo è l'imputato e in quello dell'esecuzione penale è il reo." L.Ferrajoli, La pena...democratica..., cit., 19.

(32) Vedi nota 3.

(33) M.Canepa - S.Merlo, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 2002, 237.

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