Note al capitolo 5

(1) Basti pensare che il sovraffollamento raggiungeva livelli record in quell'anno, rappresentando il 57,5%, mentre nel 2001 rappresenta il 17% (Fonte, Direzione generale dei servizi penitenziari).

(2) In particolare, la visita effettuata nell'Ottobre '96 è una visita ad hoc del CPT, al fine di verificare se fossero migliorate le terrificanti condizioni in cui versava il carcere di Porto durante la visita del maggio'95."Sovraffollamento, assenza di igiene, forti tensioni e violenze tra i ristretti,alto consumo di droghe", sono solo alcune delle denunce registrate dal CPT anche nella visita del '96, riscontrando miglioramenti appena nell'Aprile '99, in occasione di una nuova visita. Purtroppo, l'esempio di Porto, non è un caso isolato. Per maggiori ragguagli, è consultabile il sito del CPT.

(3) Dubbia, in quanto la logica del profitto, indissolubile all'investimento privato, puo' comportare effetti negativi sulla questione penitenziaria. Un esempio è costituito da una recente vicenda statunitense, dove la diminuizione del numero dei detenuti di alcune carceri privatizzate, "che ovunque sarebbe stata salutata come un risultato di grande rilevanza sociale, è stato percepito dalle società private che gestiscono penitenziari come una sciagura, tale da indurre le stesse ad avviare un azione di lobbing per spingere i giudici a tornare ad applicazioni più severe della legge"..La notizia è riferita da M. Ruotolo, Diritti dei detenuti e Costituzione, Torino, 2002, premessa, pagina XIV.

(4) Fonte, Direzione generale dei servizi penitenziari.

(5) il CPT, in visita nel '95, denuncia il mal costume diffuso di utilizzare il "pappagallo"; nonostante l'istallazione di molti sanitari negli istituti di pena, l'uso del balde igienico continua ad essere presente come testimoniato dalle denunce riportate dal Provedor de Justiça nel RSP 2003.

(6) Despacho del 30 Gennaio del 1996, pubblicato nel Diario da Republica, 2.serie

(7) A.M.Rodrigues, Novo olhar sobre a questao penitenciaria, Coimbra, 2002, 179. In questo testo l'autrice riporta il testo integrale della proposta di riforma -di cui lei stessa è una degli autori - dell'esecuzione penale, PCREP (vedi nota 9), esponendo le 'motivazioni' che hanno portato alla stesura del diploma.

(8) Ibid., 180.

(9) Projecto de proposta de lei de execuçao das penas e medidas privativas de liberdade, da ora in poi PCREP.

(10) Vedi nota 7.

(11) A.M.Rodrigues., cit., 53.

(12) Su questo tema, in Italia, vedi A.Bernasconi, Articolo 13 -Individualizzazione del trattamento, in V.Grevi -G.Giostra -F. Della Casa, Ordinamento penitenziario.Commento articolo per articolo, Padova, 1997, 112.

(13) È interessante notare che l'autrice (nota 3, pag.66), per affermare la necessità del riconoscimento di uno statuto (di cittadinanza) dei diritti dei ristretti, parte dalle parole di Bettiol - Diritto penale (1978) - il quale evidenzia come il principio di legalità "vive" nell'esecuzione penale.

(14) Ibid., 54 e 55.

(15) Basti pensare che il preambolo del decreto lei 265/79 parla di "semigiurisdizionalità" della esecuzione; l'unico intervento giurisdizionale del giudice della esecuzione è previsto per l'internamento in cella disciplinare per un tempo superiore agli otto giorni (vedi 4.2.3 e s.).

(16) Ibid., 90 e s.

(17) Ibid.,183.

(18) Vedi 4.2.1.

(19) Ibid., 207.

(20) Se il presente diploma diventasse legge, sarebbe implicitamente abrogata - in quanto non riprodotta - la dubbia norma sancita dall'art.64, n.2 del decreto lei 265/79, che prevede la possibilità di obbligare il ristretto a realizzare servizi ausiliari nell'istituto fino a tre mesi l'anno (o per un periodo superiore se c'è il consenso del ristretto).

(21) L'art.55, n.6 PCREP recita: "L'esercizio di attività lavorative, nei termini del n.1, art.52, deve essere tenuta in considerazione nell'evoluzione del comportamento del recluso, tenendo in vista la finalità dell'esecuzione previste negli art.1 e 2".

(22) Portaria 183/2003

(23) Art.54, n.1 PCREP.

(24) PCREP, 19.

(25) RSP 2003, 343 e s.

(26) In antitesi alla posizione portoghese, è il Real decreto spagnolo 190/96 che all'art.138 prevede come alternative, e non sussidiarie, la possibilità di lavorare alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria o di entità giuridiche estranee alla stessa. Ancora più antagonista è il recente progetto di legge penitenziaria francese che prevede come sussidiario, questa volta, il lavoro svolto alle dipendenze dell'amministrazione. (Cf. p. 24, I. do Document de présentation générale de l'avant projet de loi sur la peine et le service public pénitentiaire).

(27) Ibid., 206. In Italia, la posizione della dottrina è oscillante. A favore del riconoscimento dei diritti sindacali dei ristretti che lavorano in carcere (in attuazione dell'art.48,n.11 reg.esec), sulla base della considerazione dell'assenza 'aprioristica' di ragioni di sicurezza che ne ostacolino l'esercizio, vedi M.Ruotolo, cit.,181 ss.

(28) In questo ultimo caso tale possibilità è postergata all'installazione di "unidade de maes" e "unidade de pais" negli stabilimenti (n.4, art.124).

(29) EP de Funchal e de Vale de Judeus.

(30) Detto progetto è maturato a seguito di una raccomandazione del Provedor de Justica a sostegno dell'istituzione di tale regime, in occasione della visita agli istituti di pena decorsa nel'96.

(31) Si ricordi che detto regolamento prevede come destinatari di tale regime solo i condannati che non beneficino di licenze d'uscita dall'istituto.

(32) RSP2003, 453 s..

(33) RSP2003, 455 s.

(34) Si ricordi che al Provedor è attribuito il potere di sollevare questione di legittimità costituzionale durante l'esercizio delle proprie funzioni.

(35) In questo senso, G.Canotilho, V.Moreira, Constituicao...anotada, cit., 171.

(36) Vedi par.3.2.e

(37) SUMMARY RECORD OF THE PUBLIC PART* OF THE 308th MEETING, Held at the Palais des Nations, Geneva, on Friday, 14 November 1997.

(38) 'Ogni Stato Parte prende provvedimenti legislativi, amministrativi, giudiziari ed altri provvedimenti efficaci per impedire che atti di tortura siano compiuti in un territorio sotto la sua giurisdizione.'

(39) Per rilievi critici riguardo l'inadempimento agli obblighi internazionali dello stato italiano in tema di tortura, si rinvia a M.Palma, La tortura "rattoppata", consultabile partendo dal sito della Chiesa evangelica valdese. Nella seconda parte dell'intervento, è analizzata la (già citata) proposta di legge sull' introduzione del reato di tortura: "Questa posizione traballante sembrava essere arrivata al termine nelle scorse settimane: una proposta di legge di introduzione del reato specifico nel nostro codice è arrivata alla discussione della Camera, con un apparente accordo di tutte le forze politiche. Una proposta semplice, che riprendeva la definizione di tortura data dalla Convenzione e prevedeva una pena da sei mesi a dieci anni per i maltrattamenti da parte delle forze dell'ordine di persone fermate o arrestate, per ottenerne confessioni o informazioni o per intimidirle o umiliarle. Una norma con valore preventivo, quale messaggio verso quella cultura di copertura, troppe volte presentata come «spirito di corpo», che è di grave danno per chi invece opera correttamente.
Ovviamente gran parte della tortura ha la forma della minaccia: di infliggere sofferenze, di colpire persone care, di detenere indefinitamente e segretamente, di simulare un incidente per giustificare un'eventuale uccisione... la minaccia è parte costitutiva della sensazione di essere nella disponibilità del proprio aguzzino, che si determina nella vittima. Un improvvido emendamento della Lega Nord ha proposto che laddove il testo menzionava le violenze e le minacce a cui la persona è sottoposta, venisse aggiunto l'aggettivo «reiterate». La maggioranza ha approvato. Quindi violenze e minacce, se esercitate una sola volta, non rientrano nell'area di azione del nuovo reato: per una volta «si può». Non solo, ma basta cambiare ogni volta colui che opera per non configurare mai tale responsabilità penale. Una norma ineffettiva, oltre che eticamente inaccettabile.
La corsa ai ripari di coloro che hanno votato per ordine di schieramento, al di là del contenuto, è andata nella direzione di riservare solo alle minacce quella richiesta di reiterazione. Debole rattoppo: anche una sola volta la minaccia di supplizio o di rivalsa su un'altra persona cara, nel contesto intimidente in cui si attua e nella situazione psicologica di minorità della persona a cui è rivolta, è di per sé contraria a quella proibizione assoluta, che non ammette deroghe. Dunque conviene rinunciare alla legge e attendere tempi migliori. Ma, quando interessi di alleanze e gruppi prendono il sopravvento sui valori fondamentali, tutti dovremmo fermarci un attimo a riflettere. Perché tutti stiamo perdendo qualcosa."

(40) Ad essere più corretti esiste la previsione (leggi, vigore formale) del garante nazionale dei diritti ('forti') dei cittadini liberi. Tale norma, a più di dieci anni dalla sua entrata in vigore non ha ancora trovato attuazione e regolamentazione.

(41) G.Polo, Un mondo di paura, editoriale del quotidiano Il Manifesto, 7 settembre 2004. La politica della (in)sicurezza oggetto di questo editoriale è (soprattutto) quella internazionale. Ciò nonostante, si riportano, di seguito, i tratti salienti dell'articolo poiché delineano le fonti primarie della politica dell'emergenza criminale, internazionale e non. Si ricorda, inoltre, che l'articolo è stato pubblicato subito dopo i drammatici eventi della carneficina 'asilo di Beslan "La politica della paura governa il mondo. [..]. Chi sequestra e uccide centinaia di bambini non vuole raccogliere consenso alla propria «causa», pensa solo che spaventando il nemico la sua follia avrà effetto. Chi distrugge una «provincia» che si proclama indipendente non vuole convincere i suoi abitanti ma semplicemente trasformarli in sudditi schiavizzati dal timore delle armi. Come, altrove nel mondo, chi viola l'habeas corpus di un individuo o il diritto internazionale: per dimostrare che conta solo la forza, sovrana assoluta perché arbitraria. E' il ritorno al premoderno, al «signore» che tutto può perché tutti spaventa. [..]E' lì che muore la politica dell'occidente democratico, nel pubblico che diventa spettatore e smette di chiedersi il perché, d'interrogarsi e dire. Fino a ieri nel fiducioso spettacolo dei trionfi del capitalismo, oggi nell'annichilente conta dei massacri. Ci è ancora permesso - come atto di difesa - di ritrarci (ma ancora per quanto?), di accendere una candela o esporre una bandiera arcobaleno: manifestare la nostra distanza. Forse non basta, perché rischiamo di diventare strumento di una nuova rimozione, quella delle cause delle nostre paure. Di quanto abbiamo fatto pagare agli altri i costi delle nostre democrazie che per questa via si sono progressivamente indebolite, di come abbiamo costruito le élite che quelle democrazie stanno distruggendo facendo dello stato di emergenza una filosofia di governo. Gli orrori ceceni o mediorientali, l'11 settembre di New York o l'11 marzo di Madrid, gli attori dei massacri, non sono alieni piombati sulla terra all'improvviso e senza ragioni: chiamano in causa noi, il nostro modello di vita, la nostra concezione del mondo, non solo perché poi ci ricadono addosso. Mettono in discussione le radici della nostra libertà, di chi pensandosi più forte si è poco curato delle libertà altrui, finendo per mettere a repentaglio le proprie. Ed è forse questa la cosa che fa più paura."

(42) Non anche nei centri di detenzione per immigrati. Questo dato, come già osservato, testimonia un disinteressamento generalizzato (se non globale) nei confronti della classe debole, rectius, etnia, migrante. In Italia è da osservare che i centri di permanenza (leggi, detenzione) temporanea possono essere visitati esclusivamente da parlamentari (non anche magistrato di sorveglianza) e dai membri del CPT; opinabile, rectius, intollerabile, è il fatto che i parlamentari in visita non hanno il diritto di parlare con i ristretti. Esiste, quindi, una differenza giuridica, una discriminazione sostanziale tra ristretti comuni e ristretti in 'gabbie etniche': i primi possono interloquire con i parlamentari, pure se si fossero macchiati del 'peggiore' dei reati; i secondi, per la sola colpa di essere 'presunti' irregolari (e non assassini, stupratori, politici corrotti o altro), non hanno riconosciuta tale prerogativa. Si ribadisce, queste differenziazioni non rispondono a parametri di logica ma ad un ordine ideologico, non adempiono a quanto prescritto dal Trattato di Ginevra e dall'art.10 della Cost.it, ma alla volontà dei vari Legislatori, italiano, portoghese e 'democratici', di attuare un controllo sociale totale si stampo post-coloniale.

(43) A questo proposito il Provedor cita Condorcet, il quale sostiene che la democrazia rappresentativa deve mirare a realizzare i veri interessi del popolo, non le ipotetiche o reali opinioni dello stesso.

(44) Vedi 5.1.

(45) Al contrario, il Portogallo è tra i primi paesi dell'U.E. per il numero di ristretti su 100000 abitanti e per la durata media della carcerazione (vedi capitolo secondo).

(46) Ad es., alcuni giudici ritengono il furto reato contro il patrimonio, altri contro la persona; ciò comporta non solo pene diverse per la stessa fattispecie, ma anche una ingiustificata discriminazione nell'ottenere benefici penitenziari e liberazione condizionale.

(47) Vedi 4.2.1.

(48) Dati riferiti al I semestre 2002.

(49) Numerose le denuncie presentate al Provedor, concernenti l'inefficienza nella trasmissione di notizie tra i vari soggetti (tribunale, DGSP..) preposti all'esecuzione della pena. La forte burocratizzazione, la lentezza, il mancato coordinamento aumentano le situazioni di iniquità e, talvolta, comportano inutili dispendi di energia.

(50) Comparabile, a grandi linee, al nostro C.S.S.A.

(51) Il Provedor, a proposito di quest'ultimo dato, invita però legislatore e amministrazione a non adottare decisioni come quella di destinare un ala del carcere di Tires a detenuti uomini; al contrario, 'suggerisce' di destinare questo padiglione al fine di migliorare le condizioni delle detenute, ad es., destinandolo alle visite intime delle stesse.

(52) La motivazione di questo squilibrio, della 'enormità' del numero di donne ristrette per questo tipo di reato sono ravvisabile nell'usanza, locale ed internazionale, di 'usare' le donne come "postine" da parte delle famiglie narco trafficanti. La notizia mi è stata riferita durante una intervista (inedita) al 'Procurador' del STJ, E.M.Costa.

(53) Relazione illustrativa al Progetto di Legge n.411(Istituzione del Garante dei ristretti) presentato alla Camera dei Deputati il 1 Giugno 2001 (primo firmatario on.Pisapia), citata e commentata de M.Ruotolo, Diritti dei detenuti e Costituzione, Torino, 2002, 233; nello stesso senso, F.Della Casa, intervento al Convegno "Tra custodi e custoditi"del 5/11/02, consultabile partendo dal sito A buon diritto (vedi oltre).

(54) Si fa riferimento, a titolo di esempio e per la sola città di Roma, rispettivamente, all'istituzione del Garante dei ristretti locale e regionale; all'Osservatorio dell'Associazione Antigone; al Comitato 'Odio il carcere', in particolare, alle azioni di sensibilizzazione pubblica (sulla drammatica condizione delle carceri della capitale) che si svolgono da diversi anni -ad es., la festa di Capodanno avanti il carcere di Rebibbia con musica dal vivo (anche per le orecchie 'ristrette') e ('contro')informazione in diretta sull'emittente locale Radio Onda Rossa -.

(55) M.Ruotolo, cit., 233.

(56) Uno dei frutti di tale Osservatorio, è rappresentato dalla pubblicazione di S.Anastasia -P.Gonnella (a cura di), Inchiesta sulle carceri italiane, Roma, 2002.

(57) Per approfondimenti della vicenda, si rinvia agli articoli di M.Bartocci e altri comparsi sulle pagine del quotidiano Il Manifesto nei giorni immediatamente successivi al 24 Agosto 2004.

(58) La mancanza di un Garante dei ristretti in Italia è stata denunciata, a più riprese, dal CPT e dal CAT che hanno raccomandato al governo italiano di sopperire a tale lacuna contraria ad accordi internazionali ratificati (in pompa magna) dai vari governi italiani (in ultimo, nel 2002, il Protocollo addizionale della Convenzione CAT che prevede proprio l'istituzione di garanti nazionali indipendenti per la tutela dei diritti dei ristretti, affinché tali figure nazionali creino una collaborazione 'virtuosa' con il Comitato CAT.

(59) Ad oggi sono stati istituiti garanti dei ristretti 'locali' nella regione Lazio, e nei comuni di Roma, Firenze e Torino. Progetti e proposte per l'istituzione del Garante sono inoltre presenti in diverse parti del paese, da Bari a Milano.

Per l'aggiornamento e per una più pregnante analisi di queste notizie, si consiglia di consultare i seguenti siti: Associazione Antigone, A buon diritto, Ristretti.

(60) In Portogallo il Provedor svolge le proprie funzioni a favore dei soggetti ristretti negli istituti sopra menzionati, con esclusione dei ristretti in Centri di permanenza temporanea (!).

Parte della dottrina italiana, (F.Della Casa, cit.), sostiene, oltre l'utilità di istituire il Difensore civico a garanzia dei cittadini ristretti nei luoghi sopra menzionati, di "estendere il raggio d'azione del difensore civico ai soggetti che stanno fruendo di una misura alternativa o che sono sottoposti alla libertà vigilata. Si tratta infatti di soggetti che, godendo di una libertà attenuata e sub condicione, si trovano, a loro volta, in una situazione di particolare fragilità nei confronti degli apparati che vigilano sulla corretta esecuzione di tali misure." Sul piano comparativo, si tenga presente che un potere del genere è attribuito all'Ombudsman inglese. Al contrario, nelle proposte di legge italiana sopra menzionate, manca tale previsione.

(61) Art.6 Atto C.411; Art.6 Atto C. 3344.

(62) F.Della Casa, cit.

La sentenza della Corte Costituzionale citata, la 26/1999, dichiara l'incostituzionalità per omissione degli artt. 35 e 69 O.P. nella parte in cui tali disposizioni non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei diritti del detenuto. Tuttavia, avendo la Corte adottato una sentenza additiva di principio, e continuando a persistere il silenzio del legislatore in merito, la tutela giurisdizionale dei diritti del ristretto in carcere continua ad essere limitata alle ipotesi previste dagli artt. 14 ter, 41 bis, n.2, 30 bis e ter, 53 bis, 69,n.6O.P., mentre resta in vita il procedimento -non giurisdizionale - de plano sui reclami 'generici' ex art.35. Per approfondimenti sulla sentenza sopra menzionata, si rinvia a M.Ruotolo, cit., 189 ss., ivi riferimenti bibliografici.

(63) F.Della Casa, cit.

(64) M.Ruotolo, cit., 202.

L'altro diritto - Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità