C.S.M.

 

In carcere dopo l’appello

Procedimenti troppo lunghi? È colpa del legislatore

 

La Nuova Venezia, 7 luglio 2001

 

In carcere dopo una condanna confermata in appello per i reati più gravi; restrizioni delle impugnazioni; più pene alternative alla detenzione da applicare già in primo grado; sospensione della pena condizionata al risarcimento del danno; meno reati penali. È la ricetta del CSM per far fronte alla “grave situazione di inefficienza del processo penale”. È contenuta nella relazione al Parlamento sullo stato della Giustizia che la Commissione Riforma di Palazzo dei marescialli si appresta a licenziare forse già lunedì prossimo. Un documento che è un vero e proprio atto di accusa al potere legislativo cui viene attribuita la responsabilità della”insopportabile dilatazione dei tempi processuali”, proprio mentre su questo tema è ripresa la polemica sulla scia della sentenza Mannino. “I principali fattori dell’inefficienza e dell’inefficacia del processo penale sono la tendenza inflazionistica della legislazione penale e li fatto che le innovazioni introdotte in campo processuale non sono state accompagnate da alcuna previsione delle ricadute ordinamentali e organizzative che esse comportano” sentenzia la Commissione che punta il dito contro “la vorticosa sovrapposizione di istituti e garanzie che ha raggiunto li suo culmine con la riforma costituzionale del giusto processo”. Che fare allora? Premesso che l’obbligatorietà dell’azione penale è un principio “irrinunciabile”, occorre puntare su un “diritto penale minimo”, cioè su un codice penale ridotto all’osso, su uno stop, con la riserva di codice, alle leggi speciali che prevedono sempre nuove forme di reati e su una maggiore possibilità, ma con precisi paletti, di ricorrere all’archiviazione per “l’irrilevanza del fatto”, per i reati bagatellari, che non offendono cioè la collettività. Carcere dopo appello. La proposta è consentire il “ripristino delle misure cautelari, anche aldilà degli attuali termini massimi. nell’ipotesi in cui l’imputato di gravi reati sia stato condannato in primo grado e che la sentenza di condanna sia stata confermata in appello”. “A fronte di una duplice sentenza di condanna gli indizi di colpevolezza che giustificano la misura cautelare possono acquistare una consistenza elevatissima altrettanto può dirsi del pericolo di fuga e delle reiterazione dei reati” spiega la Commissione. che assicura:

un meccanismo del genere “sarebbe compatibile con la presunzione dì innocenza oltre che idoneo ad evitare automatismi”. Restrizione delle impugnazioni. “Pensare ad una ragionevole riduzione del ricorso per Cassazione eliminando la deducibilità del difetto di motivazione, tranne in caso di materiale mancanza della stessa”. Ma non basta: si potrebbe riflettere anche su una “rigorosa e cauta riduzione delle tipologie delle decisioni appellabili”.

 

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